La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 6 maggio 2016

Augias, i 30 di Internet e l’epoca della barbarie

di Paolo Ercolani 
Velocità, quantità, superficialità. Sono i tre mantra alla base del sistema tecno-finanziario perfettamente incarnato da Internet. Tre veri e propri arconti dell’universo tecno-economico che si ergono specularmente contro altri tre pilastri del mondo umano, distruggendoli e sostituendoli.
La conoscenza e la coscienza di un individuo, infatti, si erano sorretti nel «vecchio mondo» sulla «lentezza» (che consente un apprendere più duraturo), sulla «qualità» (informazioni e nozioni selezionate attraverso filtri che escludano ciarpame e palesi scorrettezze), nonché sulla «profondità» che, a discapito di una superficialità che tutto abbraccia ma nulla conosce per davvero, consente di scavare fino alle radici di una questione così da permettere il formarsi di un’idea supportata, argomentata e soprattutto autonomamente elaborata.
La logica totalitaria
La «galassia Internet», da questo punto di vista, rappresenta lo specchio più fedele di un mondo in cui ci è dato sopravvivere solo e soltanto a patto di sottometterci a quella vera e propria logica totalitaria in cui tutto deve risultare veloce, superficiale e produttore di una quantità indifferente a ogni parametro qualitativo.
Marshall McLuhan, pioniere degli studi sui mass media (quando ancora la Rete era ben lungi dal comparire), sosteneva che essi sono riusciti in un’operazione sfuggita persino ai regimi totalitari della prima metà del Novecento.
Questa operazione è consistita nell’entrare nelle nostre case, nella nostra sfera privata, perfino nel nostro cervello grazie a una tecnologia, quella elettronica, per sua natura incurante e non limitata dalle normali barriere che separano sfera pubblica e sfera privata.
Per il tramite dei nostri apparecchi digitali, oggigiorno, incontriamo persone, acquisiamo informazioni su ogni questione, ci formiamo idee e abbiamo modo di esprimerle a un grande uditorio (sui social network, perlopiù).
Essi incontrano persone per nostro conto, cercano e selezionano informazioni, gestiscono il nostro comunicare con gli altri, veicolano le nostre idee come le nostre «azioni» (comprare, votare, corteggiare etc.).
Sempre di più ogni singola porzione del nostro esistere avviene attraverso il tramite di queste macchine, che sarebbe sciocco, deleterio e oltremodo dannoso illudersi che siano neutre, impersonali, non connotate da alcuna ideologia come vorrebbe farci credere chi parla di epoca «post-ideologica».
Anzi, volendo essere obiettivi, possiamo affermare che Internet non è portatore di un’ideologia.
L’ideologia Internet
La Rete è un’ideologia, è la vera e propria sovrastruttura di un sistema economico, quello della tecno-finanza oggi imperante, che ha tutto l’interesse ad affermare un terreno in cui l’essere umano sia soggiogato dagli imperativi categorici della velocità, della quantità e della superficialità.
Ossia da meccanismi che producono individui informati su tutto ma veramente a conoscenza di quasi nulla (salvo pontificare su quel tutto che non conoscono), abilissimi nel risolvere problemi (che però sono individuati e affermati come tali da altri), velocissimi (e superficialissimi) nell’elaborare percorsi efficaci salvo essere incapaci di avere chiari in testa il punto da cui partono e soprattutto la mèta finale verso cui si vogliono spingere.
Ma soprattutto, individui resi incapaci (si parla di «analfabetismo funzionale»), di fermare e quindi capire sul serio e quindi elaborare le notizie diffuse dai media, con il paradosso di un’epoca in cui mai abbiamo avuto a disposizione così tante informazioni eppure mai siamo stati così incapaci di formarci un pensiero critico e autonomo, veramente nostro perché formato, elaborato e comunicato a fronte di un conoscere lento, approfondito e qualitativamente selezionato.
Ogni potere che voglia affermarsi e trionfare deve riuscire a minare dalle basi l’edificio della conoscenza critica e autonoma da parte dei propri cittadini (in questo modo resi di fatto sudditi).
Polli da combattimento
Internet, da questo punto di vista, rappresenta il più moderno (e forse più fenomenale) strumento che il potere, che oggi è un potere tecno-finanziario, ha avuto ed ha a disposizione per impregnare il mondo umano di velocità, quantità e superficialità.
Producendo, specie nelle nuove generazioni, dei «polli da combattimento» esclusivamente votati a promuovere e realizzare gli obiettivi del potere stesso in maniera veloce, superficiale e rispondente ai criteri (strettamente numerici) dell’economia finanziaria e della sua logica esclusivamente orientata al profitto.
Certo, Internet non è solo questo né la mia intende essere un’operazione reazionaria, volta alla maledizione delle nuove tecnologie.
Ma che nessuno, che mi risulti, in occasione della celebrazione dei trent’anni di Internet in Italia, abbia neppure accennato al fatto che questi trent’anni sono stati (anche) quelli in cui abbiamo assistito a una mortificazione di tutto ciò che è conoscenza e cultura, a favore della barbarie anarchica e volgare veicolata attraverso la grande Rete, costituisce per me un oltremodo significativo motivo di inquietudine e sbigottimento.
Al momento della sua nascita Internet aveva promesso più uguaglianza, più democrazia, più conoscenza per tutti.
Ad oggi, invece, ci ritroviamo a tutti gli effetti in un’epoca «post-democratica», con una nuova economia (strettamente legata alla Rete) che ha allargato la forbice fra i pochi ricchissimi e i molti sempre più poveri, e con un’opinione pubblica forse mai così scollegata dalla sfera pubblica e ingorante, di cui si riesce a percepire perlopiù soltanto la chiassosa e sterile volgarità che ogni giorno si riversa sui social network.
Né questa deriva esclude nessuno, come dimostra il recentissimo caso di un uomo solitamente dotto e prudente come Corrado Augias, che interviene in una nota trasmissione per parlare di una bambina stuprata e uccisa, colpevolizzando (anche) la madre che la truccava e vestiva come un’adulta.
Il vomitatoio pubblico
Quale superficialità di giudizio e di sensibilità al tempo stesso, quale incosciente imbarbarimento dell’animo e della pubblica pronuncia può spingere un uomo ad aggravare in questo modo il dolore di una famiglia già colpita dalla più dura delle disgrazie?! Sulla base di cosa, poi, di una semplice fotografia come si potrebbe fare (appunto) su un qualsiasi social network?!
Certo, ha le sue ragioni Paola Tavella, sull’Huffington Post (http://www.huffingtonpost.it/2016/05/04/augias-fortuna-loffredo_n_9835864.html), a richiamare l’attenzione sulla mercificazione del corpo delle bambine, e su una certa omologazione ai voleri di un mercato che ti riconosce soltanto se ti riveli “vendibile” (in senso lato), come da intenzione effettiva anche di Augias.
Ma farlo in questa circostanza, con quelle parole moralistiche, produce soltanto due effetti concreti: 1) aumenta in maniera intollerabile e vergognosa il dolore di una famiglia già provata dalla perdita della figlia; 2) sembra giustificare, o almeno voler comprendere, la logica perversa (e già vista in tempi bui) secondo cui a cercarsi le attenzioni del maniaco è in qualche modo la vittima, «conciata» in maniera inopportuna rispetto al decoro (all’età, al paese in cui vive, alla cultura in cui si trova, alla posizione sociale, la lista sarebbe lunga…).
Né hanno fatto bella figura coloro che, ovviamente in Rete e sempre all’insegna della superficialità e della barbarie da «vomitatoio pubblico delle frustrazioni private», si sono scagliati con violenza verbale contro Augias.
Mostrando come ormai sia merce rara non tanto la hegeliana categoria della «distinzione» (perché nessun accadimento della vicenda umana si può comprendere in senso unilaterale), quanto i ben più semplici buon senso e apertura alla complessità del reale.
Il fenomeno Internet, di cui il mainstream mediatico è chiamato a celebrare esclusivamente le magnifiche sorti e progressive, si rivela in realtà complesso e doverosamente criticabile come ogni fenomeno umano. Tanto più quando si rivela lo specchio fedele di un’epoca altrettanto complessa e contraddittoria, e per certi versi barbara.
Tutte cose che richiedono un essere umano in grado di andare oltre la velocità, la mera quantità e la superficialità.

Fonte: il manifesto 

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