di Rami G. Khouri
Non è mai un buon segno quando un governo afferma di promuovere la democrazia ma poi invia la polizia a intimidire e arrestare i giornalisti oppure reprime delle manifestazioni pubbliche e pacifiche. In tal senso, il raid del 1 maggio effettuatonella sede del sindacato dei giornalisti egiziani, al Cairo, è solo una delle ultime e più mosse di un governo arabo che vuole stabilire a quale tipo di informazione abbiano diritto i suoi cittadini.
Non è una tendenza nuova, visto che nel mondo arabo il primo ministero per l’informazione è nato in Egitto negli cinquanta, proprio per addomesticare la popolazione attraverso mezzi d’informazioni sottoposti al controllo del governo. L’esempio egiziano ha fatto scuola e, oggi, al controllo dei mezzi d’informazione si aggiunge la censura sui social media e la repressione delle attività della società civile.
Ha fatto bene l’ufficio della rappresentante per la politica estera dell’Ue, Federica Mogherini a condannare l’Egitto per la perquisizione al sindacato dei giornalisti al Cairo e per l’arresto di due cronisti che avevano preso parte a un sit-in di solidarietà con altri colleghi incarcerati. Nel comunicato si legge che “quest’ultimo preoccupante sviluppo conferma la tendenza a limitare lo spazio d’azione della società civile e la libertà d’espressione”, e che “la libertà di assemblea e quella di stampa sono essenziali per le democrazie, al fine di garantire che tutte le voci pacifiche siano ascoltate e rispettate”.
In Egitto e in tutti i paesi arabi si assiste a una costante perdita di credibilità ed efficacia dei parlamenti, del sistema giudiziario e di altre istituzioni che dovrebbero promuovere il pluralismo politico e la partecipazione popolare, o fare sì che il potere statale e il settore privato rispondano delle loro azioni. Per questo è particolarmente importante mantenere dei livelli accettabili di libertà d’espressione e di assemblea.
Nel 2014 l’Egitto ha vietato ogni manifestazione pubblica che non fosse approvata dallo stato, incarcerando sistematicamente gli attivisti della società civile e chiudendone gli uffici.
La polizia ha dichiarato di essere entrata negli uffici dell’associazione della stampa egiziana per arrestare due giornalisti accusati d’aver organizzato delle proteste destinate a “destabilizzare il paese”. La settimana precedente il governo aveva impedito ai sindacati di organizzare le manifestazioni per il 1 maggio, un fatto che aveva spinto i dirigenti dei sindacati indipendenti a esigere una maggiore libertà di assemblea.
Dalla sede dell’associazione della stampa, come da quella del sindacato degli avvocati, sono spesso partite le proteste contro la repressione e la censura messe in atto dal governo. Il mese scorso migliaia di persone avevano manifestato alla sede dell’associazione dei giornalisti criticando la decisione del presidente Al Sisi di cedere due isole del mar Rosso all’Arabia Saudita.
La libertà d’espressione e di assemblea nelle società arabe è l’ultimo baluardo contro un controllo totale dello stato sul pensiero, sulle azioni e sulle vite delle persone. La storia recente in Iraq, in Siria, in Libia, in Sudan e in altri paesi dimostra che i regimi autoritari hanno prosciugato ogni forma di dinamismo e di pluralismo sociale, fiaccando sia le strutture statali sia la popolazione.
Nei paesi arabi la censura e la mancanza di libertà di opinione hanno una storia che risale ai primi governi degli anni cinquanta. Dopo le primavere arabe del 2011, le misure restrittive sono diventate ancora più rigide.
Inoltre, di recente, è nata una controversia tra alcune organizzazioni che si occupano di diritti umani e di libertà di stampa e la Federazione internazionale dei giornalisti, che in collaborazione con la Federazione dei giornalisti arabi e la Lega araba vorrebbe creare uno speciale meccanismo di sostegno alla libertà di stampa nel mondo arabo. Chi si oppone al progetto spiega che, mettendo un simile meccanismo sotto il controllo della Lega araba, esso finirebbe per essere sorvegliato dai governi arabi e finirebbe al servizio delle loro politiche. Gli attivisti della società civile hanno diffuso un comunicato, la scorsa settimana, nel quale dichiaravano che, “nonostante le gravi violazioni che avvengono ogni giorno nel mondo arabo, la Lega araba, il Comitato araba dei diritti umani, la Rete araba delle istituzioni nazionali sui diritti umani e l’Unione parlamentare araba hanno clamorosamente evitato o non hanno saputo esprimere la loro condanna anche solo per una di queste violazioni”.
Dunque, hanno sollecitato il coinvolgimento delle Nazioni Uniti e dell’Unione europea affinché si accordino su una definizione esatta e una missione chiara per questo paventato meccanismo di promozione della libertà di stampa, che chiarisca come garantirne l’indipendenza e l’efficacia nel mondo arabo.
Una delle più importanti battaglie attualmente in corso nella regione riguarda proprio l’ampiezza dello spazio pubblico che i cittadini hanno a disposizione per esprimersi e dare voce a opinioni che differiscano da quelle dello stato, o le mettano in discussione.
Articolo pubblicato su The Daily Star, Libano
Traduzione di Federico Ferrone
Fonte: Internazionale
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