La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 25 maggio 2016

Obama arma il Vietnam?

di Michelangelo Cocco
La decisione dell’amministrazione Obama di rimuovere l’embargo sulla vendita di armi al Vietnam “non si basa sulla Cina”, ha dichiarato ieri il presidente statunitense accanto al suo omologo Tran Dai Quang. Barack Obama, il cui realismo politico ha contribuito a riavvicinare Washington a vecchi, acerrimi nemici – Cuba e Iran, oltre al Vietnam – ha sostenuto che il crollo del tabù delle forniture belliche all’ex avversario comunista rappresenta solo un aspetto del miglioramento delle relazioni bilaterali con Hanoi. Pechino – attraverso l’agenzia Xinhua – ha fatto sapere di sperare che il “riavvicinamento” tra Washington e Hanoi “non venga usato dagli Stati Uniti come strumento per minacciare o anche danneggiare gli interessi strategici di un paese terzo” (la Cina, ndr) e che lo Stato confinante deve essere accorto nei suoi rapporti con l’ex invasore, perché quest’ultimo “è mosso da un’agenda insincera”.
Il New York Times riferisce che funzionari dell’amministrazione Usa da tempo ipotizzavano la cancellazione dell’embargo “anche in risposta al rafforzamento della Cina nel Mar cinese meridionale”.
Sicuramente ha un forte valore simbolico che lo Stato che ha bombardato per anni il Vietnam (anche con il micidiale defogliante “Agent Orange”) nella guerra che – conclusasi, dopo 20 anni, nel 1975 – causò la morte di un numero imprecisato di vietnamiti (stimati tra i 2 e i 5 milioni) e 58.226 americani, si dichiari pronto a rifornire di strumenti bellici il suo ex nemico.
Da un punto di vista pratico il Vietnam, il cui principale fornitore di armi è stato finora la Russia, potrà approvvigionarsi anche al mercato statunitense. Secondo l’autorevole istituto Sipri di Stoccolma, la spesa militare del paese asiatico è aumentata del 130% dal 2005 ad oggi. Tuttavia gli analisti non prevedono una corsa all’acquisto di materiale bellico a stelle e strisce, per una serie di motivi: il costo più elevato delle armi Usa rispetto a quelle della concorrenza; le clausole poste da Washington (ogni eventuale commessa sarà condizionata a progressi nel rispetto nel rispetto dei diritti umani ad Hanoi); la necessità di non irritare Pechino.
Ma l’ok alla rimozione di un divieto in vigore dal 1985, 41 anni dopo la caduta di Saigon e l’umiliazione subita per mano di vietcong ed esercito regolare nord vietnamita – è emblematica del progressivo, sostanziale riavvicinamento tra gli ex nemici, in funzione chiaramente, anche se non dichiaratamente, “anti-cinese”. Entrambi infatti, per motivi diversi, hanno la necessità di provare a contenere la seconda economia del mondo, ormai straripante in quello che considera un suo mare (il Mar cinese meridionale), una porzione di Oceano Pacifico attraverso la quale passano ogni anno commerci per un valore di 5.000 miliardi di dollari.
Lo stesso New York Times scrive che “funzionari statunitensi considerano la rimozione dell’embargo come parte di una strategia per aiutare il Vietnam a difendersi dalla crescente minaccia cinese nel Mar cinese meridionale. Alcuni analisti prevedono che, in cambio, il Vietnam possa concedere agli Stati Uniti l’accesso al porto d’acqua profonda di Cam Ranh Bay”.
Nel frattempo il sostegno Usa al Vietnam è soprattutto economico e politico, con l’intensificazione delle relazioni bilaterali: ieri Obama ha annunciato accordi commerciali con Hanoi per 16 miliardi di dollari, inclusi appalti nel settore dell’aviazione appannaggio di Boeing e Pratt & Whitney.
Il terzo presidente, dopo George W. Bus e Bill Clinton, a visitare il paese asiatico da quando, nel 1995, gli Usa riallacciarono le relazioni con il Vietnam, Obama vi passerà ben tre giorni e proverà anche a promuovere la Trans Pacific Partnership (Tpp), un obiettivo del suo mandato presidenziale probabilmente destinato a fallire, perché è molto difficile che il Congresso la approvi prima dello scadere, nel novembre prossimo, del mandato di Obama, e tutti e tre i suoi possibili successori sono contrari all’accordo di libero scambio che coinvolge undici paesi oltre agli Stati Uniti ed esclude la Cina.
Le relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Vietnam iniziarono a rafforzarsi dalla visita di Clinton del 2000 e, ulteriormente – con una prima, parziale rimozione dell’embargo sulla vendita di armi Usa – nel 2014, quando la Cina installò una piattaforma petrolifera nei pressi delle isole Paracel/Xisha (rivendicate anche dal Vietnam) e Hanoi chiese aiuto a Washington, insistendo per la rimozione totale dell’embargo sulle armi.
La mossa di Obama arriva in un momento in cui a Pechino c’è già agitazione per il verdetto sull’arbitrato internazionale chiesto dalle Filippine contro la linea di demarcazione adottata dalla Cina nota come “Nine dashed line”.
Secondo Xu Liping, dell’Accademia di scienze sociali di Pechino, “la decisione statunitense in un momento così delicato mira a spingere il Vietnam ad agire per contrastare le rivendicazioni cinesi nell’ambito delle dispute nel Mar cinese meridionale e non favorirà affatto l’allentamento della tensione nella regione”.
Obama eTran Dai Quang hanno sottoscritto un accordo di cooperazione in nove settori, tra cui le compensazioni di guerra e la ricerca scientifica. Tuttavia, ci si chiede, fin dove potrà arrivare questa collaborazione?
Da un punto di vista economico (la Cina è un enorme paese confinante) Hanoi non potrà rinnegare il rapporto privilegiato con la Cina, che rappresenta tuttora il suo principale partner commerciale e la prima fonte di importazioni. Anche se negli ultimi venti anni l’interscambio tra Vietnam e Usa è decuplicato e Hanoi è diventato il principale esportatore del Sud-est asiatico negli Stati Uniti.
Cina e Vietnam sono governati da partiti comunisti e collaborano da un punto di vista militare: eventuali pattugliamenti congiunti Usa-Vietnam nel Mar cinese meridionale sembrano un’ipotesi difficilmente percorribile.
Ma a Pechino cresce la sindrome da accerchiamento. Il Quotidiano del popolo invita Washington a mettere in discussione la sua politica nella regione Asia-Pacifico, il cosiddetto “Pivot to Asia” lanciato da Obama davanti al parlamento australiano il 17 novembre del 2011.
Secondo l’organo ufficiale del comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc), con questo viaggio asiatico (la prossima tappa sarà in Giappone) Obama mira a fare avanzare la sua strategia di riequilibrio verso l’Asia-Pacifico e a far fare progressi alla TPP.
Il giornale sottolinea ancora una volta la posizione del Pcc e di un paese che rivendica un ruolo da protagonista assoluto in Asia, compresa la sovranità sul 90% del Mar cinese meridionale.
Le dispute in quell’area – ribadisce Pechino – non riguardano gli Stati Uniti e devono essere risolte tra la Cina e gli altri governi asiatici che avanzano rivendicazioni territoriali (Vietnam, Filippine, Brunei, Malesia, Taiwan). A proposito dei pattugliamenti (marittimi e aerei) statunitensi per garantire la “libertà di navigazione” nell’area, il quotidiano lamenta che “il comportamento statunitense ha reso alcuni paesi più determinati e ha alimentato le loro illusioni di poter continuare a sfruttare interessi illegali nelle isole e sulle barriere coralline del Mar cinese meridionale”.

Fonte: cinaforum.net 

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