La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 9 giugno 2016

Due ore tra i misteri del Ttip

di Giulio Marcon
Lunedì 30 maggio, ore 10.00, via Veneto, Roma: sono davanti al palazzone che ospita il ministero dello Sviluppo economico. È qui che è stata allestita la Sala di lettura dei documenti della bozza di accordo del Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), tra Unione Europea e Stati Uniti. Da questo accordo dipendono per i prossimi anni i commerci ma anche gli standard ambientali, sanitari e sociali e delle tutele per i cittadini. Le trattative sono state condotte finora nella massima segretezza. Soltanto un “leak” di Greenpeace , a inizio maggio, ne ha rivelate alcune parti. Adesso, a seguito delle pressioni per una maggiore trasparenza, è stata istituita questa Sala di Lettura a cui sono ammessi solo i parlamentari e alcuni alti funzionari governativi.

Sono il primo ad arrivare. Al portone del ministero in Via Veneto mi ferma un carabiniere «Lei è nella lista?». Sì, sono un deputato. «L’accompagno al quarto piano. Sa le regole?». Le regole sono quelle stabilite dai negoziatori europei e dal governo italiano. «Gliele anticipo», dice il maresciallo: non si possono fare fotocopie, non si possono fare foto, non si possono trascrivere le pagine. Solo appunti a penna, da controllare alla fine.
Arrivo alla Sala lettura. Sulla porta mi aspettano quattro funzionari ministeriali. Mi rispiegano le regole: «Qui c’è l’armadietto dove può sistemare il suo cellulare. Ha tablet, computer?». No, solo un quadernino. Sulla porta della stanza c’è una targhetta “Sala lettura Ttip” e due bandiere: quella degli Stati Uniti e quella dell’Unione Europea. Nella stanza ci sono quattro scrivanie, su ciascuna qualche foglio bianco e un paio di penne. Un dizionario inglese-italiano per tutti (la bozza dell’accordo è solo in inglese).
Mi consegnano il faldone con otto voluminosi plichi. I funzionari rimangono nella stanza e mi scrutano con attenzione: sembrano i commissari di un concorso. Dopo un po’ arriva anche il mio collega di Sinistra Italiana,Florian Kronbichler. Si è alzato alle cinque del mattino per prendere il treno da Bolzano. Segue da sempre la vicenda Ttip, ha presentato interrogazioni parlamentari e question time. È anche grazie alla sua ostinazione altoatesina che la Sala di lettura è stata aperta.
Arriva il capo di gabinetto del ministro Carlo Calenda. Fa un giro dei tavoli con le braccia dietro la schiena, come fosse il capo dei commissari d’esame. Ci dà la mano, è laconico: «Tutto a posto? Buona lettura». Difficile fare una buona lettura visto che gli otto plichi (700-800 pagine) si possono leggere solo per un’ora. Dobbiamo fare un po’ di compassione, così i nostri controllori ci concedono un po’ di tempo in più: «Vi diamo il permesso di rimanere fino alle 12.15».
I plichi sono numerati con un pennarello, ma ogni volume non ha un indice e non c’è la numerazione della pagine. Sembra fatto apposta per far perdere tempo a chi legge. Ci vuole una mezz’ora per orientarsi in fascicoli di fotocopie allestiti alla buona.
Saltando di pagina in pagina trovo conferma dei rischi che questo accordo ci presenta: diminuzione degli standard sociali e ambientali dei prodotti e subalternità degli Stati alle imprese, che potranno chiamarli a rispondere davanti ad una sede arbitrale privata, qualora i governi vogliano introdurre norme a tutela dei consumatori. Noi riduciamo gli standard ambientali e sociali: in cambio avremo l’abbassamento dei dazi americani sulle merci europee.
In una pagina trovo la frase dei negoziatori «Ci impegniamo a mantenere la segretezza del trattato». Per l’arbitrato gli europei propongono un «periodo sperimentale di applicazione» e organismi di mediazione volontaria sulle controversie. «Ci penseremo», rispondono gli americani. Che dicono agli europei: «Bisogna eliminare le misure di controllo ridondanti». Si intende quelle sociali e ambientali. I negoziatori europei non fanno una piega.
Tutto viene previsto nei dettagli. Per i liquorisuperalcolici va tolta dalle etichette la data di fabbricazione, di imbottigliamento e di scadenza. “Ridondante”, evidentemente. Per le nuove autovetture gli europei vogliono che ci sia l’ultima versione del test Crashworthiness, cioè la capacità di un’autovettura di proteggere da un impatto i suoi occupanti. Gli americani vogliono la seconda versione, la terza costa troppo e gli americani sono “uncommitted” (non disponibili) a introdurlo.
“Ridondanti” sono evidentemente anche le spiegazioni sulle etichette dei cosmetici, magari per dire se ci sono sostanze pericolose o se si fanno test sugli animali. «Gli Stati Uniti», si dice nel primo fascicolo che sfogliamo, «non vogliono spingere le imprese in questa direzione». Per l’uso dei coloranti, gli europei chiedono di rispettare le regole sanitarie. Gli americani rispondono: «Mandateci una relazione, la studieremo».
Continuiamo a sfogliare le carte. Il tempo passa. Il funzionario guarda l’orologio e alza il sopracciglio, mancano 30 minuti. Ci affrettiamo. Gli Stati Uniti vogliono procedure non vincolanti per tanti aspetti dell’accordo. Talvolta i negoziatori europei balbettano qualche obiezione, spesso accettano. Così per la questione dei diritti sulla proprietà intellettuale. «Slow down», dicono gli americani e gli europei rallentano.
In realtà a leggere il Ttip sembra che a guadagnarci non siano nemmeno gli americani (intesi come cittadini), ma le medie e grandi imprese e - soprattutto - le multinazionali.A rimetterci i consumatori (americani ed europei) e lepiccole imprese (americane ed europee). Ancora non c’è niente di deciso, i negoziati sono in corso.
Quasi 200 pagine delle bozze degli accordi che leggiamo sono occupate dalla stime degli effetti presunti del Ttip sull’economia europea. Secondo le stime europee, il Pil Ue avrebbe un aumento extra dello 0,5 per cento l’anno, le esportazioni aumenterebbero dell’8,2 (e le importazioni del 7,4 ) e i salari dello 0,5 per cento. Tra le righe ci dicono anche che la produzione europea di auto calerà del 3 per cento, quella di acciaio del 2,5 e anche i produttori agricoli se la vedranno male.
Tutte stime per le quali non è fornito nelle carte del trattato alcun modello econometrico e di simulazione statistica credibile. Gli europei però sembrano ingoiare tutto: primato delle multinazionali sugli Stati, riduzione degli standard ambientali, meno tutele per i cittadini e meno sicurezza sui prodotti alimentari. Sono le 12.15. Il funzionario ci guarda accigliato. Le nostre due ore di trasparenza e di informazione le abbiamo avute. Mi accompagnano alla porta.

Fonte: L'Espresso online

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