di Roberto Ciccarelli
La Corte di giustizia dell’Unione Europea deciderà se Uber è un’azienda di trasporto taxi o una piattaforma digitale. La richiesta di un chiarimento decisivo per il futuro del capitalismo di piattaforma in Europa è arrivata da un giudice di Barcellona che il 7 agosto 2015 ha rinviato la decisione ai giudici di Lussemburgo dopo un esposto dell’associazione spagnola «Taxi Elite» contro Uber.
IL GIUDICE SPAGNOLO ha chiesto alla Corte «se l’attività di intermediazione tra il proprietario di un veicolo e la persona che deve effettuare spostamenti all’interno di una città – attività che [Uber] svolge con fini di lucro e attraverso la gestione di mezzi informatici, interfaccia e applicazione di programmi informatici come «smartphone e piattaforme tecnologiche» permettendo alle persone di mettersi in contatto – debba essere considerata una mera attività di trasporto, un servizio elettronico di intermediazione o un servizio della società dell’informazione».
IL GIUDICE SPAGNOLO ha chiesto alla Corte «se l’attività di intermediazione tra il proprietario di un veicolo e la persona che deve effettuare spostamenti all’interno di una città – attività che [Uber] svolge con fini di lucro e attraverso la gestione di mezzi informatici, interfaccia e applicazione di programmi informatici come «smartphone e piattaforme tecnologiche» permettendo alle persone di mettersi in contatto – debba essere considerata una mera attività di trasporto, un servizio elettronico di intermediazione o un servizio della società dell’informazione».
LA SENTENZA non arriverà prima del prossimo marzo. Se la Corte deciderà che Uber è un servizio di trasporto, la multinazionale che vale oltre 60 miliardi di dollari dovrà rispettare la legislazione sul lavoro e sulla sicurezza e conformarsi alle leggi che regolano le attività delle compagnie e cooperative dei taxi. Se, invece, i giudici europei definiranno Uber come una «società di servizi di informazione» o un piattaforma digitale che permette solo l’incontro tra domanda di potenziali passeggeri e l’offerta dei lavoratori indipendenti, allora l’azienda diretta da Travis Kalanick potrà tornare alla carica con il servizio «UberPop», quello che permette a chiunque di usare la propria macchina e lavorare come «imprenditore di se stesso»: usare il proprio veicolo per trasportare clienti nelle città. È contro «UberPop» che i tassisti in tutta Europa sono insorti negli ultimi due anni, ottenendo come in Italia il divieto del servizio grazie a una sentenza del tribunale di Milano.
IL PANORAMA GIURIDICO si presenta frammentato in Europa. In Spagna, Irlanda o in Francia si ritiene che Uber dovrebbe essere trattata come un’azienda che fa trasporto. In Olanda – dove Uber ha sede – in Estonia, Islanda, Svizzera, Norvegia e Lussemburgo viene invece considerata come una piattaforma che connette il passeggero all’autista. A Lussemburgo si deciderà se la «gig economy», la nuova economia capitalistica dei servizi on demand via smartphone, rappresenta una «concorrenza sleale» rispetto ai servizi tradizionali, anche perché li scarica sui lavoratori.
DIETRO LA BATTAGLIA che spesso viene condotta a difesa delle rendite di posizione sui mercati tradizionali, ne esiste un’altra sulla possibilità di nominare e dunque regolare l’esistenza del lavoro sulle piattaforme digitali. Un «ambiente», e non solo un «supporto» tecnologico dove, probabilmente, si svilupperà il lavoro nella prossima generazione. Oggi il lavoro viene nascosto, o pagato con il nuovo cottimo digitale che ha provocato le proteste dei ciclo-fattorini di Foodora a Torino o di Deliveroo a Londra e Parigi. Se la Corte di giustizia europea definisse Uber come un’«azienda di trasporto», amplierebbe la portata della sentenza di primo grado adottata dal tribunale del lavoro di Londra che ha disposto l’assunzione di 40 mila autisti Uber Uk (Il manifesto, 30 ottobre).
IN INGHILTERRA gli autisti di Uber non sono piccoli imprenditori e non fanno un «lavoretto» nel tempo libero per integrare il reddito. Sono workers, cioè lavoratori subordinati, devono essere pagati con il salario minimo, anche se non hanno una tutela contro il licenziamento illegittimo come i dipendenti veri e propri. Il pronunciamento di Lussemburgo sulla natura di Uber è la premessa per estendere al diritto comunitario la decisione inglese adottata in un paese di common law.
IN ATTESA DELLA RELAZIONE del parlamento europeo sulla «sharing economy», e delle linee guida della Commissione Ue, la sentenza della Corte metterebbe a punto le norme in maniera più stringente per multinazionali come Airbnb e gli altri «brand» della «gig economy», come Deliveroo che si sta espandendo in Italia.
Fonte: Il manifesto
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