di Antonio Sciotto
Un No «consapevole» e «responsabile», mai di pancia, e che non può farsi carico dei ricatti e catastrofismi diffusi in questi giorni sul dopo referendum: la segretaria Cgil Susanna Camusso, Carlo Smuraglia dell’Anpi e Francesca Chiavacci dell’Arci ieri hanno diffuso l’ultimo appello per il voto di domenica sulla riforma Boschi. «Non si tratta di una legge ordinaria ma della Costituzione, la nostra Carta fondamentale», perciò l’invito è a esprimersi sul contenuto, perché «modifiche sbagliate e destinate a non funzionare, così come lo stravolgimento del sistema ideato dai Costituenti, avrebbero effetti imprevedibili e disastrosi per l’equilibrio dei poteri, per la rappresentanza, per l’esercizio della sovranità popolare, in sostanza per la stessa democrazia».
La Cgil, pur non essendo entrata nel Comitato del No (a eccezione della Fiom), si è comunque impegnata in questi mesi per difendere l’integrità della Carta e in chiusura di campagna ci sembra utile riportare alcune riflessioni di delegati e segretari sindacali.
GIORDANA PALLONE lavora all’Ufficio riforme istituzionali della Cgil, quello dove si sono elaborate l’analisi e la critica della riforma renziana: «Abbiamo individuato tre macro aree su cui interviene il testo che dovremo votare domenica – spiega – Il nuovo Senato, il Titolo V e i rapporti con le autonomie locali, i criteri per l’elezione degli organi di garanzia. Abbiamo innanzitutto informato in modo neutro i nostri iscritti alle assemblee, esponendo poi le nostre perplessità. E soprattutto abbiamo sempre insistito su un punto: non si vota sul governo o sul premier, ma sulle regole della democrazia, quelle che determineranno le nostre istituzioni nei prossimi anni».
Secondo la Cgil, «il Senato non darà vera rappresentanza alle Regioni, non solo perché permane una confusione su come verrà eletto, ma anche perché è facile prevedere che consiglieri regionali e sindaci si raggrupperanno per appartenenza politica, non esprimendo le posizioni dei territori». Sul titolo V si verifica «un accentramento a Roma», mentre «l’elezione degli organi di garanzia rischia di essere subordinata alla legge elettorale, facendo venir meno la certezza del bilanciamento dei poteri».
Rischi che ravvisa anche PAOLO FANTI, professore associato di Biologia applicata all’Università della Basilicata e iscritto alla Flc. «La semplificazione di cui tanto si parla in realtà si traduce in uno spostamento di poteri a favore dell’esecutivo», spiega. «Mi pare che si vogliano risolvere i problemi dell’Italia come si fa con il nodo gordiano, con un taglio netto: ma la complessità, lo vedo anche nei sistemi che studio in Biologia, non si può affrontare in modo semplicistico». «La riforma punta solo sulla decisione, ma in democrazia esiste anche il momento del confronto di pareri opposti, che non si può tagliare con una scorciatoia».
È un no deciso anche da parte di MARIA LUISA GHIDOLI, educatrice in un nido di Siena e delegata Fp: «Mi pare – spiega – che ci sia un rischio per i nostri equilibri democratici e per la possibilità di partecipazione». Ma la firma delle linee guida per il contratto, siglate a quattro giorni dal voto, non convincerà magari qualcuno dei dipendenti pubblici? «Sicuramente non me, e credo neanche gli altri: voglio dire che ricordiamo bene i 7 anni di vuoto contrattuale, e poi siamo abituati a stare nel merito».
La stessa SERENA SORRENTINO, segretaria generale della Fp e che al tavolo con la ministra Marianna Madia ha partecipato e poi firmato, ieri twittava: «Se arrivo a un accordo che cancella leggi ingiuste #iofirmo. Se fanno pessima riforma Costituzione #iovotoNo. È autonomia». Insomma, tenere separati i rapporti con il governo dal giudizio sulla riforma.
Concetto che aveva già espresso una decina di giorni fa il segretario FiomMAURIZIO LANDINI durante il confronto con il premier Matteo Renzi a In mezz’ora: «Io non dico che Renzi è il pericolo della democrazia, ma vorrei mantenere una Costituzione che, anche se cambiano i governi o qualora dovesse arrivare il Trump di turno, possa tutelare la democrazia. Perché i governi passano, la Costituzione resta».
Non è facile prevedere come andrà il voto. I sondaggi, prima del silenzio imposto dalla legge due settimane fa, davano il No in vantaggio, ma nel frattempo tanta acqua è passata sotto i ponti: i vari endorsement delle istituzioni internazionali e degli ambienti finanziari, la questione del voto all’estero, il Sì di Romano Prodi. Nella sua scuola, lo scientifico Primo Levi di Roma, l’insegnante e delegata Flc VINCENZA MICCOLI però ha percepito una nettissima maggioranza di No.
«Per tradizione non dico mai quello che voto io, ma posso testimoniare che circa l’80% se non il 90% dei miei colleghi è per rigettare la riforma. E devo dire che lo stesso ho notato facendo un piccolo sondaggio tra gli studenti che voteranno». Certo, il campione è piccolo, ma è indicativo. Anche perché in questo caso pesa l’insoddisfazione degli insegnanti.
«Siamo stanchi, siamo i meno pagati in Europa e dopo la Buona scuola i carichi di lavoro sono enormemente cresciuti. Anche gli stessi 500 euro dati ai docenti: non si immaginano le file infinite, gli appuntamenti alle Poste, la burocrazia che si deve superare per poterli utilizzare. Io credo che al di là del merito, diversi insegnanti sceglieranno di dire No per cercare di cambiare le cose».
Nel voto di domenica confluiscono tanti elementi, per alcuni lavoratori senza dubbio si caricherà anche di altri significati. Si deve fare uno sforzo per tenere separati i vari temi: «Le difficoltà dell’Italia sono altre, non derivano dalla Costituzione e non si risolvono con questa riforma», osserva MARIA GRAZIA GABRIELLI, segretaria generale della Filcams.
«Se l’obiettivo è la riduzione dei costi della politica – riprende la segretaria dei lavoratori del commercio e del turismo – è possibile farlo con leggi ordinarie». «Non si tratta di essere contrari ad alcune modifiche della Costituzione, come nel caso del bicameralismo perfetto, ma devi decidere in quale direzione va il cambiamento. Noi non vogliamo un cambiamento come viene prodotto da questa riforma, che ha l’unico obiettivo di accentrare i poteri nelle mani dell’esecutivo a discapito della democrazia e della sovranità popolare».
Fonte: Il manifesto
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