di Daniela Preziosi
Ha aspettato fino quasi all’ultimo per pronunciarsi, spiega il sindaco di Genova Marco Doria, perché il voto popolare gli ha dato «una responsabilità precisa in forza di un patto stipulato in cui ovviamente non era e non poteva essere prevista qualsivoglia posizione da tenere in occasioni di un referendum». Ma il suo è un No. Una scelta personale, ha scritto ieri su facebook in un lungo post che argomenta nel dettaglio le sue convinzioni. Una scelta «rispettosa» di quella di molti consiglieri della sua maggioranza – la forza maggiore è il Pd, e anche nella sua ‘Lista Doria’ le opinioni sono diverse.
Ed è un no «di merito», non rivolto al governo di cui ha pure apprezzato «l’impegno deciso nell’affrontare il disastro del dissesto idrogeologico», quello «ad accogliere i profughi che giungono in Italia, in coerenza con inderogabili principi di solidarietà e senza lasciare spazio a razzismo e xenofobia».Quanto alla modifica costituzionale però, «nel complesso ritengo che la proposta non cambi in meglio la nostra Carta».
Ed è un no «di merito», non rivolto al governo di cui ha pure apprezzato «l’impegno deciso nell’affrontare il disastro del dissesto idrogeologico», quello «ad accogliere i profughi che giungono in Italia, in coerenza con inderogabili principi di solidarietà e senza lasciare spazio a razzismo e xenofobia».Quanto alla modifica costituzionale però, «nel complesso ritengo che la proposta non cambi in meglio la nostra Carta».
Il ragionamento però non finisce con il 4 dicembre. Anzi, il cuore del discorso del sindaco sta nel disegnare il dopo-referendum. Doria, indipendente di Sel e protagonista di primo piano di un’area di sindaci eletti da una coalizione che stanno di fatto muovendo il quadro della sinistra italiana, sa di avere molti occhi puntati addosso. Anche molte aspettative. E non tanto riguardo alla sua città, che pure il prossimo anno tornerà al voto: e se non ci tornasse con un centrosinistra unito potrebbe consegnare le chiavi ad altri, com’è successo un anno fa alla regione Liguria. Ma quella delle prossime amministrative sarà un’altra storia. la questione che pone oggi Doria va al di là di Genova. I suoi colleghi Giuliano Pisapia e Massimo Zedda, uno ex sindaco di Milano e l’altro sindaco di Cagliari, provenienti dalla stessa area politica, hanno fatto molti passi indietro rispetto alla nuova forza Sinistra italiana, accusandola di fatto di avviarsi verso l’isolamento. E al referendum hanno deciso di non schierarsi con il No utilizzando parole arzigogolate se non per dire Sì almeno per tenere unita l’area del centrosinistra che sostiene i governi delle loro città, fatalmente spaccata con il referendum grazie anche alla campagna pesantissima del Pd renziano.
La preoccupazione di Doria è quella del futuro del centrosinistra. «Tanti cittadini genovesi e italiani che voteranno sì o no condividono valori e visioni della società in cui mi riconosco, che sento miei», scrive. «Per affrontare le questioni del nostro tempo bisogna costruire intese che ci consentano di guardare oltre il momento del 4 dicembre, di affermare una linea che faccia crescere il paese, riduca le diseguaglianze, tuteli l’ambiente». Contrastandole spinte populistiche, scrive. «Non è un impegno agevole ma è assolutamente obbligato e deve vedere uniti tanti che il 4 dicembre non si esprimeranno nello stesso modo».
Fonte: Il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.