di Non Una di meno
Non è questo il tempo di fare bilanci. Ciò che è accaduto il 26 e 27 Novembre a Roma è solo l’inizio di un nuovo e potente movimento femminista. Ora la sfida è tutta in avanti. Proviamo quindi a restituire il senso di quello che sta accadendo attraverso alcune parole-chiave, utili a leggere un processo in divenire, prorompente e promettente. Già nello slogan, mutuato dalle sorelle argentine, è contenuto il respiro immediatamente globale di questo rinascente movimento femminista internazionale. Già è chiaro il rovesciamento prospettico prodotto da una piazza immensa, molteplice, corale: non una donna ammazzata o maltrattata di più, certo, ma non ci basta!
Vogliamo NON UNA DI MENO a occupare lo spazio pubblico, a riprendersi la decisione sul corpo e sulla vita, a incarnare la forza – immensa – delle donne. La retorica del vittimismo è funzionale al nostro addomesticamento e alla marginalizzazione nel discorso pubblico e nei rapporti sociali e quindi la rifiutiamo. La potenza politica delle donne invade le strade e sovverte l’ordine del discorso. Nel pieno di una campagna referendaria che evidenzia nei toni e nei modi la sconfitta della politica istituzionale, abbiamo avuto il coraggio e la forza di mettere al centro la radicalità e l’autonomia di pratiche e di analisi fondate unicamente sulla verità delle nostre vite, della nostra rabbia, del nostro desiderio, aprendo un conflitto esplicito con tutte le strutture del patriarcato in crisi: per questo, e non solo per misoginia, l’informazione ci ha oscurato.
Vogliamo NON UNA DI MENO a occupare lo spazio pubblico, a riprendersi la decisione sul corpo e sulla vita, a incarnare la forza – immensa – delle donne. La retorica del vittimismo è funzionale al nostro addomesticamento e alla marginalizzazione nel discorso pubblico e nei rapporti sociali e quindi la rifiutiamo. La potenza politica delle donne invade le strade e sovverte l’ordine del discorso. Nel pieno di una campagna referendaria che evidenzia nei toni e nei modi la sconfitta della politica istituzionale, abbiamo avuto il coraggio e la forza di mettere al centro la radicalità e l’autonomia di pratiche e di analisi fondate unicamente sulla verità delle nostre vite, della nostra rabbia, del nostro desiderio, aprendo un conflitto esplicito con tutte le strutture del patriarcato in crisi: per questo, e non solo per misoginia, l’informazione ci ha oscurato.
Tre generazioni di donne si sono incontrate e hanno costruito uno spazio pubblico aperto a chi combatte e subisce la violenza maschile sulle donne, in quanto dispositivo di controllo, problema strutturale e trasversale alla vita intera, limite inaggirabile alla trasformazione dell’esistente. L’elemento caratterizzante del 26 novembre è stata la molteplicità e la complicità tra soggettività femministe e transfemministe queer differenti e solidali a partire da un sentire e uno slancio comuni. E’ esplosa in una piazza con più di 200mila persone ed è diventata MAREA.
E la marea si è fatta immediatamente laboratorio di proposta politica. Nell’assemblea per tavoli del 27 novembre più di mille donne hanno dato vita al primo momento di confronto e di scrittura del PIANO FEMMINISTA CONTRO LA VIOLENZA. Negli 8 tavoli tematici si sono tracciate le prime linee di quello che si candida a essere non solo uno strumento autorevole di riconfigurazione, nel merito e nel metodo, della definizione delle politiche istituzionali sulla violenza, ma anche e soprattutto uno strumento di trasformazione e di lotta complessivo, sui temi dell’autodeterminazione, della salute, della libertà di scelta, del lavoro, del welfare, dell’educazione, delle pari opportunità, dell’immaginario/narrazione.
Il processo programmatico non è quindi slegato dalla costruzione di mobilitazione. Un lavoro prezioso da costruire insieme per definire obiettivi concreti, a partire dalle nostre condizioni di vita e di lavoro, per non perdere di vista che ciò che desideriamo è un cambiamento radicale e complessivo in una fase di forte arretramento politico, sociale, culturale ed economico.
I tavoli e l’assemblea plenaria conclusiva hanno, quindi, accolto con determinazione l’appello lanciato dalle donne argentine, alla costruzione di uno SCIOPERO GLOBALE DELLE DONNE per il prossimo 8 MARZO, appello che ha già raccolto l’adesione di oltre 22 Paesi. Sarà l’occasione inedita in cui sperimentare forme di blocco della produzione e riproduzione sociale, in cui praticare lo sciopero dei generi e dai generi, reinventando lo sciopero come vera e propria pratica femminista a partire dalle forme specifiche di violenza, discriminazione e sfruttamento che viviamo quotidianamente nei luoghi di lavoro e della riproduzione sociale. Uno sciopero in cui riaffermare la nostra forza a partire dalla nostra sottrazione: una giornata senza di noi, in cui rivendicare con forza che “SE LE NOSTRE VITE NON VALGONO, ALLORA NON PRODUCIAMO!”
Per definire insieme la costruzione e le tappe di avvicinamento allo sciopero delle donne e per proseguire il lavoro di definizione del Piano Femminista Anti-violenza, si è infine deciso di rilanciare per il4/5 febbraio la riconvocazione di un nuovo appuntamento nazionale a Bologna.
Abbiamo messo in campo una storica sfida ed ora è impossibile fermarci!
#NonUnaDiMeno #SiamoMarea
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