La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 30 novembre 2016

La resistenza degli indiani di Standing Rock e il NO al referendum

di Giuliano Garavini 
Con un poco di enfasi alcuni commentatori sostengono che nel North Dakota siano in corso le più grandi proteste delle comunità di native Americans dalla battaglia di Little Bighorn contro il comandante Custer nel 1876. Presidiano il loro territorio, sotto costante minaccia della Guardia Nazionale che ha ordinato lo sgombero, contro la costruzione di un oleodotto di quasi 2000 chilometri che dovrebbe portare più di 450 mila barili di greggio al giorno dal North Dakota (prevalentemente petrolio "non convenzionale" estratto con la tecnica del fracking) fino all'Illinois.
La comunità Sioux di Standing Rock, sostenuta da altre comunità indiane e da consisenti settori di società civile americana, teme che una possibile falla nell'oleodotto possa contaminare il fiume Missouri, dal quale dipendono gli approvvigionamenti di d'acqua potabile della comunità. 
I territori dei "nativi" sono stati espropriati pezzo dopo pezzo a partire dall'800 in tutto il Nord America. All'istintiva simpatia per queste comunità marginalizzate e dimenticate, per una lotta civile che prosegue nel gelo di questi giorni e dichiara di voler continuare as long as it takes, bisogna aggiungere che questo investimento infrastrutturale da 3,7 miliardi di dollari serve più alle aziende che stanno posando l'oleodotto che al popolo americano. Gli Stati Uniti sono diventati un importatore di petrolio dal lontano 1948 e non c'è nulla che essi possano fare, per quanto si ostinino a massacrare il proprio territorio, per cambiare questo dato di fatto. D'altra parte il petrolio costa relativamente poco (un litro di greggio costa oggi mediamente meno della metà di un litro di Coca-Cola) e tanto vale importarlo. 
Le proteste di Standing Rock non simboleggiano solo la difesa del territorio degli indiani d'America ma anche la causa più generale di chi sostiene la necessità di un diverso modello energetico in cui le fonti fossili abbiano un peso sempre più marginale e nel quale tecniche altamente dannose come il fracking vengano messe al bando. Stando alle proiezioni di Nature tutto il petrolio "non convenzionale" scoperto fino ad oggi dovrebbe essere lasciato sottoterra per rispettare gli obiettivi di Parigi di limitare l'aumento delle temperature medie del Pianeta a meno di 2 gradi celsius rispetto all'epoca preindustriale. 
Le comunità locali italiane, con in prima fila le Regioni, sono quelle che hanno guidato e promosso la recente campagna referendaria contro la sciagurata proroga automatica delle concessioni petrolifere e di gas in Adriatico (sulla qual cosa rimando ad un mio precedente contributo). Sono sempre queste comunità locali, con in testa la regione Puglia, che hanno cercato di opporsi alla costruzione della Trans Adriatic Pipeline (TAP): un gasdotto di 870 chilometri che tra vari sali e scendi dovrebbe portare il gas dall'Azerbaijan (sul Caspio) fino all'Italia, passando per la Turchia e attraversando i Balcani e l'Adriatico. Il TAP viene propagandato come uno strumento per diversificare gli approvvigionamenti energetici europei, limitando la dipendenza dalle importazioni di gas russo a Nord. 
Pochi giorni fa, in una cena di lavoro, mi sono trovato accanto ad un brillante dirigente di BP. Si meravigliava che il progetto TAP fosse riuscito a superare le resistenze politiche dei governi più disparati, che tutto fosse andato liscio come l'olio per centinaia di chilometri per poi essere bloccato per qualche tempo dalla regione Puglia ("ma come proprio l'Italia?"). Sperava molto lui, così come altri commensali, tra cui alcuni dirigenti di ADIA (il fondo d'investimento degli Emirati Arabi), negli esiti del referendum italiano che avrebbe finalmente spazzato via l'ostruzionismo delle regioni e concentrato il potere nella mani del Governo. Evidentemente conoscevano (forse facevano parte della schiera di sponsorinternazionali?) il dettato del articolo 117 della nuova Costituzione secondo il quale lo Stato, tra le altre cose, ha legislazione esclusiva su "produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell'energia" mentre prima questo era un settore a legislatore concorrente. 
Dico qui, quel che ho risposto anche a lui. L'Italia non ha alcun bisogno di importare più gas di prima, né tantomeno l'Europa. La verità è che noi italiani per fortuna consumiamo sempre meno gas, e che lo stesso vale per l'Unione Europea nel suo complesso, i cui consumi si sono ridotti significativamente dai picchi del 2011. In realtà, per rispettare gli impegni della COP21, dovremmo consumare significativamente meno carbone, meno petrolio, ma anche meno metano. D'altra parte, è assai discutibile che un gasdotto che passa per la Turchia di Erdogan sia dal punto di vista geopolitico molto più affidabile di quelli, per il vero assai affidabili, che ci collegano oramai da tempo alla Russia, ma anche di quelli che ci collegano all'Algeria e alla Libia. Gli unici a guadagnarci dal TAP saranno i soci del consorzio che potranno fare concorrenza al gas russo, stoccando metano in Italia durante l'estate (magari andrebbe spiegato meglio ai cittadini che si troveranno sotto le proprie case queste enormi quantitativi di metano) per poi rivenderlo d'inverno a prezzi più alti in tutta Europa. I cittadini italiani non avranno alcun vantaggio in termini di prezzo del gas. Non avranno alcun vantaggio in termini di sicurezza di approvvigionamenti visto che già oggi l'offerta di metano è più alta della domanda e che già ci sono o sono in costrizione un cospicuo numero di rigassificatori attraverso i quali si potrà importare gas da tutto il mondo. Per i pugliesi ci saranno invece rischi per la tutela del paesaggio e per la salute del territorio. 
Anche in Italia, così come in North Dakota, si confrontano la sete di profitto delle società che producono e distribuiscono energie fossili (oramai in crisi), con le legittime preoccupazione dei cittadini per la difesa del proprio territorio. I grandi investimenti infrastrutturali energetici come il TAP non sono più pubblici, e non hanno come scopo un diretto beneficio per imprese e cittadini italiani (come ai tempi di Mattei). Sono privati ed esclusivo negli interessi degli azionisti dei consorzi vari. Il nuovo formato dell'articolo 117 del progetto di riforma costituzionale mira a tarpare le ali delle amministrazioni pubbliche locali per spianare la strada al decisionismo di un Governo, rafforzato da una legge elettorale "truffa" come l'Italicum, che ha invece un disperato bisogno di contrappesi per riuscire a sottrarsi alle pressioni delle lobby (non dimentichiamoci le recenti dimissioni del ministro renziano Federica Guidi proprio per gli scandali legati alle pressioni dell'industria petrolifera). 

Fonte: MicroMega online 

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