di Andrea Fabozzi
Mettiamo – anche per scaramanzia – che vinca il Sì, quanto tempo ci vorrà per «uscire dalla palude», «entrare nel futuro», «cambiare davvero» come da quotidiana promessa renziana? Tanto tempo, e soprattutto tante leggi. La riforma costituzionale è anche un po’ una vasta delega che i cittadini danno al governo e al parlamento (ultimamente i ruoli tendono a confondersi, con la nuova Costituzione sarà anche peggio), come ha notato Susanna Camusso. La segretaria della Cgil ha fatto l’esperienza del Jobs act e sa come vanno a finire queste deleghe con Renzi.
Dal 5 dicembre, fatta eccezione per l’abolizione del Cnel e di poche altre cose secondarie che entreranno in vigore immediatamente, se le riforma passa indenne il referendum dovrà vedersela con la lunga fase dell’attuazione. Leggi costituzionali, leggi ordinarie bicamerali e monocamerali, leggi regionali: l’elenco degli adempimenti obbligatori è lungo e vario.
Non sarà un problema la legge elettorale per la camera dei deputati, quella c’è già. Renzi ora dice di volerla cambiare, sarebbe il caso, eppure è un lusso. Per quanto pessimo, l’Italicum è stato ritagliato su misura per la riforma costituzionale ed è pronto. Bisognerà invece fare la legge elettorale del senato, come da promessa alla minoranza Pd. Dovrebbe farla questo parlamento, se si vuol credere che almeno nelle sei regioni che andranno a votare nel 2018 sarà possibile per i cittadini indicare i senatori (a eleggerli penseranno poi i consigli regionali). La riforma prevede questa possibilità, ma essendo stata scritta per mediazioni successive prevede anche il contrario, e cioè che il primo senato venga eletto dai consigli regionali senza alcuna indicazione dei cittadini. La legge elettorale allora dovrebbero farla proprio i nuovi senatori, assieme ai nuovi deputati. Il problema è che i nuovi senatori, scelti dai partiti sulla base di accordi politici nelle regioni, non avranno alcun interesse ad accelerare una legge che renderebbe superato il loro sistema di elezione. In ogni caso, quando e se si farà la legge quadro nazionale (legge bicamerale), bisognerà cambiare anche tutte le leggi elettorali regionali.
Nel frattempo il parlamento dovrà approvare anche una nuova legge costituzionale – con procedura aggravata e tre mesi di intervallo tra la prima e la seconda lettura. Infatti la riforma costituzionale Renzi-Boschi non basta: per permettere anche ai consiglieri delle regioni a statuto speciale di far parte del nuovo senato si dovranno modificare gli statuti.
E poi andranno rifatti i regolamenti parlamentari – quello del senato riscritto completamente -, documenti che ogni camera approva a maggioranza assoluta. Qualche norma transitoria andrà anzi prevista prima della fine di questa legislatura, altrimenti non si saprebbe neanche come eleggere il presidente del primo nuovo senato (potrà essere un sindaco?), né quanto tempo lasciarlo in carica (infatti il nuovo senato non si scioglierà mai, cambieranno solo i suoi componenti). Lo «statuto delle opposizioni», pomposamente annunciato nella nuova costituzione e da Renzi rivenduto tutte le sere in tv come cosa fatta, dovrebbe trovare spazio proprio nelle nuove regole di funzionamento delle camere. Così come la garanzia che il parlamento esamini effettivamente le proposte di legge di iniziativa popolare: il fronte del Sì la racconta come una conquista certa, ma anche in questo caso la riforma costituzionale sulla quale votiamo domani contiene solo un rinvio ai regolamenti. E prevede anzi «limiti» ai tempi e alle forme della discussione parlamentare «garantita». Nel frattempo però alza subito il numero di firme richieste ai cittadini per presentare una proposta di legge.
Così come alza le firme per il referendum abrogativo con il quorum ridotto, mentre non cambia nulla per il referendum abrogativo così com’è oggi: le novità richiederanno in ogni caso un intervento sulla legge del 1970 sul referendum. E, infine, se avete creduto all’imminente arrivo dei referendum propositivi e di indirizzo, sappiate che per il momento sono assicurati solo nel volantino del Pd che vi è arrivato a casa. Per trasformarli in realtà servirà ancora una legge costituzionale. Un’altra.
Fonte: Il manifesto
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