di Vincenzo Vita
La straordinaria manifestazione dello scorso sabato contro la violenza sulle donne e il femminicidio è stata pressoché cancellata dall’informazione radiotelevisiva, che l’ha relegata ai margini del flusso principale. Mentre, per numero delle partecipanti (e dei non pochi uomini che sfilavano), nonché per la qualità dell’iniziativa, la notizia meritava il primato. Lo schema rigido del racconto politico non esce, invece, dalla gabbia del palinsesto partitico. La comunicazione è naturaliter “lottizzata”, anche quando organizzazioni e apparati sono in crisi.
La rappresentazione della sfera pubblica è dimezzata in partenza: i movimenti reali, se non sono riconducibili ad una fonte partitica (presunta o effettiva che sia), svaniscono o sono puro maquillage. Oppure, come è successo – su altra scala – il giorno dopo alla mobilitazione nel «No» diventata inesorabilmente de «gli antagonisti».
La rappresentazione della sfera pubblica è dimezzata in partenza: i movimenti reali, se non sono riconducibili ad una fonte partitica (presunta o effettiva che sia), svaniscono o sono puro maquillage. Oppure, come è successo – su altra scala – il giorno dopo alla mobilitazione nel «No» diventata inesorabilmente de «gli antagonisti».
La par condicio seria non è solo quella del tempo attribuito ai rappresentanti del ceto politico, bensì la fotografia dinamica della società. Di tutto ciò si trova traccia nel vecchio contratto di servizio della Rai, scaduto e mai rinnovato: in attesa, anzi, del rinnovo della concessione generale dello Stato, su cui pesano persino voci preoccupanti quanto al mantenimento delle possibilità competitive dell’azienda. Tra crisi e incertezze regolatorie, censura e manipolazione sono diventate la normalità. Ciò che sfugge a simile tenaglia è solo nobile eccezione. Le violazioni della par condicio richiedono il riequilibrio. Ci si attende per lo meno uno speciale che dia voce alle donne promotrici della manifestazione, come avvio di un più duraturo e sostanziale riequilibrio di genere nei palinsesti.
Negli ultimi giorni della campagna referendaria la tutela della par condicio politica ha la sua epifania. I riscontri e gli interventi dell’Autorità per le garanzie nella comunicazione o sono immediati o non servono. Le sei interviste rilasciate da Renzi solo nelle ultime ore quale pareggio mediale potranno avere? La netta prevalenza del Presidente del consiglio nelle testate (nella settimana tra il 14 e il 20 novembre il premier si mangia lo spazio maggiore, vicino al 30% del totale), senza contare le ospitate fuori dal computo formale, segna malamente questa estenuante maratona elettorale. E non traggano in inganno i dati del computo sui due schieramenti.
L’attivismo futurista del capo del governo esce in buona parte dalle tabelle dedicate ai minuti e ai secondi, rivestito com’è di un’aura istituzionale. Tuttavia, qui vi è un ulteriore aggiramento della normativa, essendo assai spesso le “comparsate” solo surrettiziamente riconducibili alla stretta notiziabilità. Il tempo impropriamente occupato interpella l’Agcom sulla necessità di un recupero straordinario a favore del fronte che si oppone alla revisione costituzionale.
E’ un atto doveroso, in quanto ora siamo fuori dalle previsioni di legge. I margini per un atto di giustizia e di correttezza ci sono, con scelte responsabili da parte delle stesse emittenti. Il comitato presieduto da Alessandro Pace ha consegnato esposti al Garante e attende chiarimenti. Va ripristinata la correttezza. Il referendum di domenica 4 dicembre è un passaggio cruciale per la democrazia italiana, ma si riverbererà sul medesimo assetto dei media italiani. Dove vive e vegeta l’antico duopolio di Rai e Mediaset, che sopravvive nel suo eterno patto del Nazareno. Del resto, il Sì televisivo non è oggetto di consultazione popolare e risponde ad altre convenienze.
Fonte: Il manifesto
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