di Francesco Marchianò
Negli ultimi anni, in Europa, i partiti della sinistra tradizionale, socialisti e socialdemocratici, hanno subito un forte ridimensionamento, sia elettorale sia di iscritti. Da un lato, questo ridimensionamento può essere collegato a una più generale perdita di centralità dei partiti storici e a una loro minor legittimità; dall'altro, esso può essere considerato come un effetto del mutamento di questi partiti che, a partire dagli anni novanta, hanno via via abbandonato i loro valori, la loro identità, la propria cultura politica, i propri riferimenti sociali, per abbracciare quelli del neoliberismo. Così, questi partiti si sono fatti promotori del rimpicciolimento del welfare, di un minor ruolo dello Stato nell'economia, di logiche competitive e di valori individualistici.
A questo declino dei partiti della sinistra tradizionale non è corrisposto un successo di quegli altri partiti di sinistra che erano rimasti fedeli ai valori solidaristici ed egualitari. In alcuni casi, com'è successo in Grecia con Syriza, i partiti della sinistra radicale hanno svuotato il serbatoio di voti dei socialisti, arrivando persino al governo; in altri casi, invece, l'elettorato si è spostato in varie direzioni, in parte in nuovi partiti, definiti, in mancanza di termini migliori, populisti, in parte nell'astensione, in parte a destra.
Per capire la storia e il ruolo dei partiti della sinistra radicale europea, e anche perché alcuni, come Podemos e Syriza, riescano a costruire consenso, e altri no, pur in un contesto di difficoltà per i partiti della sinistra tradizionale, può essere utile la lettura di un recente e approfondito volume di Marco Damiani, edito da Donzelli, "La sinistra radicale in Europa. Italia, Spagna, Francia, Germania".
In questo volume, Damiani offre un'analisi comparata tra quattro casi (italiano, spagnolo, francese e tedesco) tenendo ben legata l'analisi storica con quella politologica e unendo dati e testimonianze di protagonisti privilegiati, raccolte attraverso un importante numero di interviste.
I casi scelti rispondono a tre requisiti: far parte dei primi cinque paesi più popolosi dell'unione europea, presentare partiti comunisti o post-comunisti, o comunque di sinistra non riformista, con continuità anche dopo la fine del comunismo; registrare la crescita di partiti che tengono insieme diverse culture politiche, sia marxiste, sia comunque a sinistra di partiti socialisti e socialdemocratici. Il Regno Unito, al momento della stesura del volume, prima della Brexit, mancava degli ultimi due requisiti (che poi, ovviamente, sono diventati tre) per questo è stato escluso dalla comparazione.
Il libro si apre con una premessa teorica nella quale l'autore prova a sviluppare una definizione di sinistra radicale utile a distinguere questi soggetti a sinistra dei partiti socialisti e socialdemocratici da quelli dell'estrema sinistra. Rivisitando i principali tentativi di definizione forniti dagli autori sul tema, Damiani precisa che questi partiti, pur opponendosi all'establishment, non si oppongono al sistema.
Per dirla con i concetti adoprati dagli addetti ai lavori, sono anti-establishment, ma non antisistema, cioè sono "forze politiche organizzate che si contrappongono alla classe politica dominante, che non mirano alla rottura del sistema democratico e che si dimostrano interessati alla costruzione di un'opzione politica alternativa".
Compiuta questa messa a punto teorica, l'autore passa alla ricostruzione storica degli attori politici da lui analizzati. Pur nelle diversità storiche, culturali, contestuali, un dato generale sembra caratterizzare questi partiti: nessuno riesce a raggiungere posizioni rilevanti nei propri sistemi politici.
Ciò accade sia se questi partiti accettano la sfida del governo, entrando in coalizione con forze riformiste, sia quando vi si oppongono; sia se adottano una struttura organizzativa federale, sia se ne adottano una unitaria; sia quando si caratterizzano per un'identità più novecentesca, sia quando prediligono valori libertari e postmaterialistici. Certo, non sono mancati momenti importanti caratterizzati da piccoli successi, che però non si sono mai stabilizzati, risultando solo illusori.
L'unica eccezione a questa tendenza è data, per ora, dall'esperienza spagnola di Podemos. Il partito di Pablo Iglesias è riuscito a centrare obiettivi importanti, pur non riuscendo a vincere le elezioni. Con ogni probabilità, a determinare il suo successo sono incorsi più fattori come l'essere formato prevalentemente da non politici di professione e nemmeno da giovani arrampicatori carrieristici, la capacità di interpretare meglio i nuovi bisogni sociali e riuscire a veicolare politicamente le istanze provenienti dai nuovi ceti colpiti dalla crisi, un uso sapiente dei mass media, il presentarsi più come movimento che come soggetto strutturato.
A ciò, si aggiunga un'originale interpretazione del populismo, ripresa dai contributi teorici di Ernesto Laclau, visto in maniera positiva come capacità di costruire identità e conflitti politici.
Il successo di Podemos non è solo elettorale, ma si conferma anche osservando il numero dei suoi iscritti. Nel 2014 essi erano 251.998, più di tutti gli alti partiti della sinistra radicale degli altri paesi messi insieme, e nel 2015 arriva a quasi 350.000. Si tratta di un dato eccezionale, come evidenzia Damiani, tipico dei vecchi partiti novecenteschi, in assoluta controtendenza sia con gli altri partiti di sinistra che, in generale, con i tassi di tutti i partiti, in costante calo da anni.
Pur nella sua eccezionalità, e pur risultando per ora un modello vincente, occorrerà, tuttavia, aspettare qualche anno per avere la conferma che quello di Podemos non sia un fenomeno effimero, ma più solido.
L'ultimo capitolo è dedicato allo studio del gruppo parlamentare della sinistra europea e alla sua recente storia. La scelta di concentrarsi su questa analisi, pur comprendendo un numero più ampio di casi di quelli comparati, appare motivata sia perché, comunque, nella storia della sinistra europea, i partiti oggetti di questo studio hanno avuto un ruolo prevalente, sia perché la dimensione europea in continuità con quella nazionale va assumendo un peso sempre maggiore nel caratterizzare gli attori politici.
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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