di Franco Astengo
Il mondo del lavoro è sempre più avvolto nel buco nero della sopraffazione e dello sfruttamento.
Da un lato emergono raccapriccianti analisi riguardanti i giovani e le nuove forme d’ingaggio e di retribuzione, attraverso i cosiddetti “voucher”: i buoni dei pagamenti a ore. In Lombardia questa forma estrema di precariato e di mobilità all’indietro è stata utilizzata nel 2015 per 8,25 milioni di unità; in Sicilia (tanto per muoverci verso l’altro estremo della penisola) l’aumento dei voucher venduti nel primo semestre dell’anno è stato dell’88,7%.
I ragazzi sono assunti, pagati fino all’ultimo voucher disponibile, si licenziano e se ne assumono altri così via in una giostra infinita di umiliazione, sotto pagamento, declassificazione del lavoro.
Intanto il Job Act mostra la corda: esaurita la fase degli incentivi comincia quella dei licenziamenti, una curva in discesa senza fine, che potrà essere interrotta soltanto dalla creazione di un’altra bolla illusoria.
Intanto mostra la corda la bufala dei nuovi lavori: Almaviva licenzia 3.000 operatori dei call center, quella che doveva essere la nuova frontiera dei servizi che, nella logica della delocalizzazione della più vieta “fabbrichetta”, sposta il proprio confine verso Est, Balcani o Centro Europa.
Sull’altro versante, quello della mobilità sociale, il blocco delle pensioni tiene inchiodati al posto di lavoro ultrasessantenni logore/i impedendo l’accesso a nuove leve: un assioma molto semplice, che si era capito da tempo da parte di tutti pur non essendosi, la maggior parte, laureati alla Bocconi.
Intanto oltre il 50% delle pensioni erogate dall’INPS si colloca al di sotto della soglia dei 1.000 euro il mese.
Diminuiscono sì cassa integrazione e infortuni sul lavoro per la semplice ragione che diminuisce il lavoro in quanto tale.
Un gigantesco buco nero quello del mondo del lavoro in Italia, più nero di quello che pure si trova a livello europeo, e che si situa all’interno di una situazione drammatica sul piano globale con al primo punto i temi delle guerre, delle migrazioni, dell’impoverimento generale.
Intanto l’Europa delle finanza sviluppa i suoi giochi che tra BCE e Bundesbank non tiene minimamente conto della realtà: il QE serve a rifinanziare chi è già finanziato (non si è fin qui accennato al tema delle Banche, in Italia e fuori d’Italia, che rappresenta un altro tasto davvero dolente per i comuni cittadini, ma molto remunerativo per i banchieri).
E la politica che ruolo gioca in tutto ciò?
Mai come in questo momento appare coerente con ciò che accade il vecchio motto: “Il governo qualunque esso sia è sempre il comitato d’affari della borghesia”.
Il governo Renzi appare come il campione assoluto di questa logica e il quadro politico italiano appare percorso soltanto da vecchi residui populistici, da proposte di destra spacciate per proposte di sinistra (come il salario di cittadinanza): addirittura arretrano presenze che si richiamavano al vecchio keynesismo da rivisitare, e si continua a spingere nell’assurdità di improbabili liberalizzazioni in ispecie nel campo dei servizi pubblici e del welfare, senza tenero conto della tragica lezione venuta avanti nel corso di questi anni.
Salgono di quota, per contro, lobby e conflitti d’interesse: fenomeni addirittura presenti in maggior dimensione che non nella fase infelicemente definita “berlusconiana”.
Cresce a dismisura la corruzione, nel pubblico e nel privato.
In fabbrica si impone il modello del comando accentrato e della diffusione del verbo del capo, senza resistenza di sorta: il “modello Marchionne”, per l’appunto preso a misura dal governo Renzi per la fase di passaggio verso l’incremento della tecnologizzazione produttiva, ormai assurto a nume tutelare di questo futuro colmo di precarietà, sfruttamento, dominio.
Un vero “buco nero” insomma.
Tutto questo avviene in un Paese che, nel quadro europeo e mondiale, è privo da decenni di una politica industriale, arretrato quanto mai nel rapporto tra modello di sviluppo e ambiente, con il territorio ultra – logorato dalla speculazione e reso fragilissimo alle intemperie e alla vetustà degli impianti industriali, con infrastrutture del tutto insufficienti.
Un Paese privo di siderurgia, chimica, agroalimentare.
Un Paese che si avventa sulle briciole e si illude di Expo e di (“speremo de no”) Olimpiadi.
Un Paese pessimamente governato ormai da decenni, dove la spesa pubblica corrisponde all’incremento dei privilegi di più o meno potenti ma sempre pronti a “legare l’asino dove vuole il padrone”.
Un paese classificato al di sotto della media sul terreno della libertà di stampa e dove TV e nuovi mezzi di comunicazione appaiono assolutamente al servizio di questo perverso sistema di dominio.
Arretrano paurosamente i corpi intermedi presuntamente rappresentative di impallidite dimensioni sociali.
Il Sindacato, messo fuori combattimento dall’aver adottato la logica della concertazione, appare ormai un vero e proprio fantasma di Banquo e, molto sinceramente, non pare proprio decollare l’idea di ricostruire un sindacato di classe nonostante rimangano presenti focolai di resistenza importanti, anche alimentati da una crescita a dismisura delle diseguaglianze.
Sarebbe necessaria un’idea di costruzione d’alternativa politica: ma appunto “sarebbe”.
Altro che difesa della Costituzione!
Fonte: controlacrisi.org
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