di Lidia Baratta
Il primo passo da fare per tentare di capire come mai Lotta Comunista sia ancora un movimento così attrattivo per giovani e vecchi è comprare l’omonimo mensile. “Organo dei gruppi leninisti della sinistra comunista”, è scritto sotto la testata. E poi, a destra: “Opposizione proletaria all’imperialismo europeo e all’imperialismo unitario”. E a sinistra: “Proletari di tutti i Paesi unitevi!”.
Il numero di marzo 2016 apre con il titolo, tutto in maiuscolo, “LE BASI DI CLASSE DELLA RIVOLUZIONE DALL’ALTO”. L’attivista che distribuisce le copie in piazza San Babila a Milano, un ragazzo poco più che trentenne, spiega che questo è l’editoriale. Per questo non è firmato. Il tema è storico, il linguaggio trattatistico: si parla dell’unificazione della Germania nella seconda metà dell’Ottocento per arrivare alla conclusione che è necessaria una strategia rivoluzionaria europea. Gli articoli nelle pagine successive, invece, sono «di altri compagni», dice il ragazzo, «non sono giornalisti, per lo più lavoratori».
La seconda pagina del mensile è firmata da Renato Pastorino, uno dei leader storici del movimento. Si parla di “Tempi burrascosi”, facendo il punto della situazione internazionale, dal “terrorismo reazionario” ai flussi migratori, passando per la Siria, la Brexit e il referendum sulla riforma costituzionale. “Si profilano tempi turbolenti per l’imperialismo europeo”, si legge. “Saremo chiamati a un’intensa battaglia internazionale”. Una delle signore che distribuisce il giornale, pensionata, consiglia di leggere il pezzo dell’ultima pagina:“Pompieri piromani”. Il titolo è riferito a Stati Uniti ed Europa, che prima hanno appiccato “incendi” dal Medio Oriente al Nord Africa, si legge, e ora tentano di spegnerli.
«Questo è l’unico giornale che fa un racconto della società da un punto di vista di classe», spiega la signora. Sedici pagine che a distanza di cinquant’anni continuano a sopravvivere vendendo fino 40mila copie al mese, nonostante un linguaggio e una grafica che sanno di altri tempi.
L’organizzazione nasce negli anni Cinquanta da Arrigo Cervetto e Lorenzo Parodi, due esponenti del Pci in contrasto con il partito, piegato a loro vedere sulle posizioni della Russia stalinista, luogo del “capitalismo di Stato”. Il gruppo si costituì contro l’“imperialismo unitario”, definizione che mette insieme Washington, Mosca e anche la Cina. E ancora oggi resta una delle principali formazioni extraparlamentari in Italia, con una sua corrente nella Cgil e nella Fiom.
L’obiettivo della militanza è quello di attuare la rivoluzione tramite una diffusione capillare – locale, nazionale e mondiale – del marxismo-leninismo. Da qui nasce l’attivismo spinto dei militanti, che gli esponenti di altri movimenti di sinistra definiscono «un po’ da testimoni di Geova». La propaganda politica è l’attività principale, e il giornale è solo il primo step per approcciarsi a questo mondo.
In tempi di calo delle tessere e disaffezione dalla politica, gli attivisti di Lotta Comunista fanno di tutto per farti affezionare alla militantaza. Se per strada lasci il numero di cellulare a uno di loro, le chiamate arriveranno puntuali ogni settimana per mesi e mesi con l’invito a partecipare ai dibattiti dell’organizzazione nei circoli operai. Sparsi nelle periferie delle grandi città – «ché in centro gli affitti costano troppo» – qui si incontrano i militanti per seguire lezioni e approfondimenti sui temi di attualità, affrontati secondo il metodo marxista. Che significa, spiegano: «Utilizzare gli aspetti economico-finanziari per analizzare la realtà e i fenomeni politici». I terroristi, ad esempio, in questa visione, sono «una scheggia impazzita del confronto tra le borghesie mediorientali». E il caos in Medio Oriente è «il frutto di una ridefinizione dei rapporti di forza dal punto di vista economico e commerciale. Perché i soldati passano per far passare le merci», dicono. Gli incontri nei circoli sono frequenti e affollati. Ci sono anche quelli organizzati di sera e di sabato per lavoratori e studenti. I titoli vanno da “La linea generale dell’imperialismo italiano e la prospettiva del tradeunionismo” a “Nella crisi europea dei migranti è urgente una risposta di classe”.
La sede della società editoriale Lotta Comunista, nata nel 1977, si trova in viale Sarca, a Milano, quartiere Bicocca, uno degli storici centri delle lotte sindacali italiane. Al piano di sopra c’è un circolo operaio, dove da qualche settimana si tiene un ciclo di incontri sull’Europa, definita come «concentrazione imperialistica in scontro con le altre potenze mondiali». Negli uffici si vedono solo giovani. In cattedra sale un ragazzo di 29 anni, cravatta e camicia, ex dipendente dell’archivio di Stato, arrivato a Milano per cercare lavoro. Dietro le spalle la scritta Lotta Comunista. Alla sua sinistra un dipinto di Lenin. L’età media dell’uditorio non supera i 25 anni. Nessuno è vestito come in un film di Nanni Moretti. Ci sono adolescenti con le Nike ai piedi, qualche ragazzo dai tratti orientali e una ragazza con il velo islamico. Il capitalismo, dice il ragazzo in cattedra, «poggia sullo sfruttamento della forza lavoro, all’interno di uno stesso Paese o anche all’esterno». Ecco spiegati i flussi migratori: «Turchia, Nord Africa, i Balcani sono le banlieue dell’imperialismo europeo». Da qui arriva «un flusso inarrestabile di manodopera, di cui l’Europa ha bisogno a causa del calo demografico in atto in tutti i Paesi capitalisticamente avanzati, sintomo dell’incapacità del capitalismo di sostenere la vita». E gli immigrati morti nel Mediterraneo altro non sono che «lo scarto, in una visione della forza lavoro come merce». Si parla del Jobs Act, delle riforme tedesche, e di come «la pressione salariale in atto, chiamata flessibilità, sia un’altra modalità di sfruttamento della forza lavoro». Tutti ascoltano in silenzio, c’è chi prende appunti, poi parte il dibattito.
Tanti passano per i circoli operai di Lotta Comunista per qualche tempo e poi si allontanano, qualcuno li critica per una certa visione utopistica, qualche altro dice che hanno i difetti di qualsiasi organizzazione politica. «Ero adolescente quando crollarono le Torri Gemelle», spiega uno dei militanti. «Mi sono fatto delle domande. E davanti alle contraddizioni del capitalismo, quelle di Lotta Comunista mi sono sembrate le migliori risposte sulla piazza».
Al piano terra della palazzina di viale Sarca si trova la sede della società che pubblica il giornale. I soci fondatori sono tre. Giovanni Ponzi, l’amministratore, milanese, classe 1946. Gli altri due, Aldo Pressato e Francesco Antonio Grondona, sono entrambi originari di Genova, dove il movimento ha mosso i primi passi e dove oggi si trova ancora la sede centrale. Una redazione strutturata del giornale non esiste, spiegano. Anche se una piccola sede per coordinarsi si trova nella zona di via Padova, svelano i militanti. La regola è che non si rilasciano interviste. «Non vogliamo farci pubblicità su altri giornali, è il nostro giornale che parla per noi». Gli articoli sono tutti «contributi individuali» e la cucina «è affidata ad una prassi pluridecennale che ha via via consolidato una consuetudine operativa ormai collaudata», scrivono via email. Il sito web serve soprattutto da vetrina per la vendita dei testi del marxismo. Sui social, invece, di Lotta Comunista non c’è neanche l’ombra.
Tutto, nel partito, si autofinanzia. Non ci sono tessere. Sono tutti volontari. «Siamo migliaia e migliaia in tutta Italia», dicono. «Ognuno fa un tot di ore a settimana per vendere i giornali», raccontano. «Una persona ne vende anche 20-30 al giorno». Oltre al mensile, le entrate arrivano dalle ristampe dei testi di Marx, Engels e Lenin, «esplicitamente indirizzati a quelle giovani generazioni di comunisti che hanno ormai l’Europa come campo di battaglia e l’imperialismo europeo come nemico principale». Il giornale costa un’euro, ma i militanti sono ben contenti se si dà qualcosa in più.
E poi c’è il sostegno economico mensile di tutti i “compagni”: studenti, pensionati, lavoratori. Ognuno dà il suo contributo. «Il partito lo finanziamo soprattutto con le nostre donazioni», dice un signore, pensionato, giacca e cravatta, in piazza per vendere il giornale. «Io lo faccio ormai da 15 anni».
Prima si facevano adepti soprattutto nelle fabbriche, ora gli attivisti cercano compagni di partito nei cortili delle università. Vanno per strada, porta a porta, casa per casa. I giornali “borghesi” – è la loro definizione – li dipingono di solito come personaggi folkloristici che usano un linguaggio superato e vestono come a Woodstock. Qualcuno sarà pure così, ma nei circoli e a distribuire i giornali si trovano pure ragazzi “normali”. Come Dario, che fa il grafico. «Ora distribuisco i giornali poi alle due devo andare a lavorare», dice. Ognuno ha le sue motivazioni per spiegare perché nel 2016, a 20-30 anni, si passi il proprio tempo seguendo corsi di marxismo e vendendo un giornale di carta che apre su un evento storico di fine Ottocento. «È il modo migliore per capire la realtà», dice qualcuno. Per qualche altro è una sorta di credo. C’è chi è arrivato da poco e sta ancora cercando di capire. «Ci possono anche criticare ma intanto noi siamo qui oggi, domani e nei giorni successivi», dicono, «la nostra militanza è attiva».
In due date i militanti di Lotta Comunista festeggiano: il 7 novembre, anniversario della rivoluzione d’ottobre, e il primo maggio, che non è la festa dei lavoratori ma il giorno della “lotta internazionale dei lavoratori”, che ogni anno raccoglie cortei anche più affollati di quelli della Cgil. «Dicono che abbiamo una visione utopistica. Di sicuro lo dicevano anche a chi il primo maggio del 1886 scioperò per ottenere le otto ore di lavoro. E invece oggi è una delle principali conquiste dei lavoratori. La lotta internazionale dei lavoratori si può fare». «Vorrei avere il loro ottimismo», commenta qualcuno sarcastico.
Fonte: Linkiesta
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