di Guido Liguori
La Camera dei deputati ha approvato giovedì – col solo voto contrario del Movimento 5 stelle e la astensione della Lega – un disegno di legge che dichiara «monumento nazionale» la Casa museo Gramsci di Ghilarza. Il provvedimento passa ora all’esame del Senato.
Per chiunque si sia occupato o si occupi di Antonio Gramsci, il nome di Ghilarza – piccolo paese in provincia di Oristano – è ben noto: si tratta del luogo in cui Gramsci ha passato la maggior parte degli anni, non sempre felici, della sua giovinezza. Nato ad Ales nel 1891 da una famiglia della piccola borghesia trasferitasi due anni dopo a Sorgono, dove il padre di «Nino», Francesco, dirige il locale ufficio delle imposte, il piccolo Gramsci torna a Ghilarza nel 1898 insieme alla madre, alle sorelle e ai fratelli dopo l’arresto del genitore, accusato di alcuni ammanchi scoperti nel suo ufficio. A Ghilarza trascorre poi anni di privazioni, di miseria anche, di lavoro precoce, faticoso e mal pagato, subito dopo la fine delle scuole elementari.
Sempre a Ghilarza la famiglia Gramsci continua a risiedere, dopo la scarcerazione di Francesco. Il giovane Nino riprende gli studi, con molti sacrifici frequenta dal 1905 il ginnasio nella vicina Santu Lussurgiu. Nel 1908 è a Cagliari, presso il liceo Dettori, grazie all’aiuto del fratello maggiore Gennaro, che lavora anche nell’ambito della locale Camera del lavoro.
Sempre a Ghilarza la famiglia Gramsci continua a risiedere, dopo la scarcerazione di Francesco. Il giovane Nino riprende gli studi, con molti sacrifici frequenta dal 1905 il ginnasio nella vicina Santu Lussurgiu. Nel 1908 è a Cagliari, presso il liceo Dettori, grazie all’aiuto del fratello maggiore Gennaro, che lavora anche nell’ambito della locale Camera del lavoro.
Nel 1911 vince una borsa di studio e parte per frequentare l’Università di Torino, incontra il «mondo grande e terribile, e complicato». Nonché la classe operaia torinese e la grande vicenda del socialismo del Novecento.
Da sempre Ghilarza è dunque il luogo della Sardegna che per molte e molti nel mondo significa Gramsci, si identifica con Gramsci. E Casa Gramsci a Ghilarza da anni è anche un piccolo ma prezioso museo, un luogo della memoria che attira visitatrici e visitatori da tutto il mondo, ma che versa spesso in condizioni economiche precarie, senza mezzi o con scarsi mezzi, da alcuni anni senza più i finanziamenti, pochi ma preziosi, a lungo ricevuti da parte della Regione Sardegna.
Cosa significa oggi fare di Casa Gramsci un «monumento nazionale»? Quasi nulla. È un riconoscimento, certo, un tributo alla grandezza del saggista italiano più letto nel mondo dai tempi di Machiavelli, come ormai si ripete da tempo. Una «medaglietta». Perché – come nel dibattito parlamentare ha rilevato non del tutto a torto il Movimento 5 stelle, che per questa ragione ha votato contro, pur esprimendo apprezzamento per la grandezza di Gramsci (la Lega si è astenuta, senza esprimere niente) – nel nostro ordinamento la definizione di «monumento nazionale» non ha effetti giuridici o finanziari, ed è addirittura incerta.
Eppure, anche le medaglie servono, anche questa medaglia può essere utile, se rappresenterà il passaggio per un assetto diverso e più consono all’obiettivo di preservare i luoghi che furono cari a Gramsci e che ne ricordano la vita e l’opera. E che hanno bisogno del sostegno pubblico per vivere non a stento, per essere il mezzo efficace di formazione culturale e civile. Per creare ad esempio una Fondazione che sia funzionale alla loro tutela e al loro utilizzo.
La recente, brutta vicenda dell’antico caseggiato di piazza Carlina a Torino, dove Gramsci a lungo aveva soggiornato e che ora è stato vergognosamente trasformato in un albergo di lusso, per responsabilità della amministrazione comunale al tempo guidata da Sergio Chiamparino, serva da monito. A Ghilarza il pericolo non è quello della speculazione economica, ma dell’abbandono, della decadenza per mancanza di mezzi. L’esito è lo stesso: la cancellazione della memoria. La speranza è allora che si trovi per Casa Gramsci e per gli altri luoghi gramsciani (ad Ales, a Sorgono, a Santo Lussurgiu, a Cagliari, o anche a Torino e a Roma, a Turi e a Plataci, in Calabria, dove la famiglia Gramsci, proveniente dall’Albania, ha soggiornato a lungo) una via per assicurare la conservazione, la memoria, l’utilizzo museale, dunque educativo, pedagogico, degli edifici ancora conservatisi, con la formazione di una rete di siti che ricordi questo grande «eroe dei due mondi», del Sud contadino come della moderna realtà industriale e operaia del suo tempo.
Chi dovrà gestire questo auspicabile polo museale? Il disegno di legge che vuol fare della casa di Gramsci un «museo nazionale» è stato presentato da una esponente del Pd, un partito che certo non sembra oggi seguire la strada politica indicata da Gramsci. Ma non è importante qui aprire una polemica in merito. Mi pare invece giusto affermare che, mentre l’intervento pubblico è necessario e più che giustificato, non tocchi a questa forza politica disporre o continuare a disporre, direttamente o indirettamente, della proprietà o della gestione di simili luoghi. Sarebbe invece ragionevole che la Casa museo di Ghilarza o di altri siti gramsciani siano affidati a una gestione plurale, espressa dalle istituzioni, dalle associazioni, dagli studiosi, e anche dai famigliari, che alla memoria e allo studio di Gramsci si dedicano da tempo.
Anche la Igs, la International Gramsci Society, l’associazione che in Italia e nel mondo mette in rete molti esperti e appassionati di Gramsci, è disponibile per contribuire con altri a questo processo di valorizzazione dei siti gramsciani. Intanto, anche con questo auspicio, diamo a tutte e tutti un appuntamento, a Roma, il prossimo 27 aprile, giorno in cui ricorre la morte dell’autore dei Quaderni del carcere: vediamoci alle 13.30 a via Caio Cestio, dietro la Piramide, a Testaccio, all’entrata del Cimitero acattolico, e portiamo un fiore rosso sulla tomba di Gramsci. Iniziamo così a riscoprire e rilanciare il ricordo del grande comunista e marxista letto e studiato in tutto il mondo, che anche il suo paese deve riscoprire e onorare adeguatamente.
Fonte: il manifesto
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