di Marco Bertorello
Nell’era dell’ottimismo obbligatorio, utile più all’economia che alla politica, o solo di riflesso alla politica, Matteo Renzi ha twittato che «Atlante sarà la soluzione ai problemi delle banche italiane». Il capo del governo sembra ritenere le difficoltà del sistema creditizio italiano avulse da quelle continentali, ma è sufficiente leggere l’indice Stoxx, che misura gli andamenti di Borsa delle banche europee, per comprendere come il problema sia sovranazionale: – 26% nel 2016 e – 38% nell’ultimo anno.
La crisi ha dilatato le sofferenze, i controlli e gli aumenti di riserve richiesti aggiungono difficoltà, persino la stagione di tassi negativi non aiuta. La recente richiesta tedesca di scambiare la garanzia unica sui depositi con un tetto ai titoli di Stato posseduti da ogni istituto complica ulteriormente il quadro per i paesi periferici e sottolinea la fragilità del combinato banche-debito pubblico. Tant’è che viene ipotizzata una missione del Piano Juncker (quello che doveva servire per rilanciare gli investimenti) per soccorrere le traballanti banche europee.
Ma cosa è il Fondo Atlante? É un fondo per la gestione dei crediti bancari ad alto rischio, formalmente privato ma dove interviene per oltre il 10% Cassa depositi e prestiti, in cui le principali banche forniscono gran parte delle risorse, almeno sulla carta. In questo senso risulta curioso il contributo di Monte dei Paschi e Carige, banche in odore di nuove capitalizzazioni.
Insomma Atlante sembra costituire un espediente per far sì che la politica fiscale si occupi indirettamente delle nostre banche (direttamente sarebbe vietato dalla Ue) e normalizzi l’intero comparto. Ma perché solo ora le banche italiane trovano risorse per mettere al riparo se stesse? Improvvisamente sembra affermarsi una moderna moltiplicazione dei pani e dei pesci sul lato finanziario. La finanza ci ha abituato a giochi di specchi in cui, grazie a disinvolti effetti leva, si riesce, almeno per un certo arco di tempo, a far apparire il denaro necessario al momento giusto in diversi posti altrettanto giusti.
Il Fondo Atlante prova a inserirsi nelle potenzialità ammalianti della finanza per soccorrere il sistema bancario. Oppure, come sottolinea Alberto Bagnai nel suo blog, «di fatto sposta perdite in conto capitale da una parte all’altra del sistema finanziario» allo scopo di prender tempo in attesa che giunga la tanto agognata ripresa. Che si intenda prender tempo risulta chiaro dalla modesta dotazione di capitale prevista, per ora solo 4 miliardi di euro a fronte di decine e decine di miliardi di crediti deteriorati, cifra sufficiente a ricapitalizzare le banche in crisi conclamata e poco più.
Tra l’analitico e il perfido l’economista Luigi Zingales spiega sul «Sole 24 ore» che al Fondo sarebbe consentito acquistare crediti in sofferenza, cioè quelli più problematici, a prezzi superiori a quelli attualmente di mercato, favorendo un’operazione di sistema che finisce per alleggerire i bilanci di tutti gli istituti e favorendo la vendita ad assicurazioni e fondi pensioni anche dei crediti più dubbi a prezzi superiori ai valori vigenti. Attualmente, in effetti, esiste una significativa differenza tra prezzo dei crediti in sofferenza inseriti nei bilanci e valore di mercato presunto: il primo si attesta intorno al 40% del valore nominale mentre il secondo al 20%.
Secondariamente, sottolinea Zingales, l’utilizzo del Fondo nell’irrimediabile crisi di Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca agevolerebbe le due principali banche italiane, Intesa e Unicredit. Esse, infatti, hanno investimenti nelle due banche ben maggiori della quota con cui partecipano ad Atlante, rendendone più vantaggioso il salvataggio. Infine conclude l’economista «più che Atlante, il personaggio mitologico che sosteneva il mondo, il fondo dovrebbe chiamarsi Lete, il fiume dell’oblio che cancella tutti i ricordi».
Fonte: il manifesto
Originale: http://ilmanifesto.info/espediente-atlante/
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