di Gianni Scravaglieri
A partire dal 1989, con l’inizio del processo di riunificazione tedesca, l’Europa ha esercitato una notevole forza di attrazione nei confronti di tutti i paesi che geograficamente ne fanno parte. In ogni caso però l’Europa a trazione franco-tedesca non è riuscita a darsi un’identità politica. E men che meno riesce oggi la Germania, paese europeo economicamente più forte, a esercitare una leadership in grado di diffondere generalizzate prospettive di “benessere economico e sicurezza sociale” tra i 500 milioni di cittadini europei.
Di fronte a ciò il Regno Unito, che non ha mai smesso di considerarsi un Impero – non più economico e militare, ma certamente culturale e finanziario – si è messo a rimescolare le carte, visto che l’Europa così com’è non garantisce più un futuro di prosperità al popolo di Sua Maestà.
Agli europei e al mondo, con il referendum sulla cosiddetta “Bexit”, fissato per il 23 giugno, vengono prospettate due vie d’uscita alla situazione di stagnazione politica ed economica attuali. Il Regno Unito resterà in un’Unione Europea profondamente riformata e un po’ più simile al modello britannico che non a quello franco-tedesco, oppure il Regno Unito lascerà l’Unione Europea al suo destino cercando, per cominciare, di fare sistema con gli oltre cinquanta paesi che ancora oggi appartengono al Commonwealth.
Chiaramente ognuna delle due opzioni presenta rischi e opportunità. Per questo i media globali hanno ripreso le preoccupazioni diffuse tra i grandi attori finanziari e istituzionali riguardo a una possibile uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Nel comunicato di chiusura del vertice, tenutosi una settimana fa a Washington, tra i ministri finanziari e i governatori delle banche centrali dei paesi appartenenti al G20 si legge che “i conflitti geopolitici, il terrorismo, il flusso dei rifugiati, il contraccolpo provocato da una possibile uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sono tutti fattori che complicano la situazione economica mondiale”.
Il referendum per decidere l’uscita o meno del Regno Unito dall’Unione Europea è stato fissato per il 23 giugno. In ogni caso già il 5 maggio avremo il polso oggettivo della situazione con l’elezione del nuovo sindaco di Londra, che vede contrapposti Sadiq Khan, candidato laburista di origini pachistane, contrario alla Brexit, e il conservatore Zac Goldsmith, favorevole invece all’uscita di Londra dall’Unione Europea.
Venerdì 15 aprile, come ricordato dall’agenzia di stampa cinese Xinhua, “sono iniziate ufficialmente le dieci settimane di campagna referendaria”, che vedono i due opposti schieramenti aggregarsi intorno a due parole d’ordine, la prima è “Vote Leave” (vota per la separazione e un futuro di indipendenza) e “Britain Stronger in Europe” (vota per restare, ma a condizioni migliori delle attuali).
In ogni caso, come si vede, i britannici non amano per nulla questa Europa a trazione tedesca e il 23 giugno verranno chiamati in un caso o nell’altro a votare per il cambiamento. Detto questo, una questione appare molto chiara: l’Europa della burocrazia e dell’austerità, per come la conosciamo, non esisterà più dopo l’esito del referendum sulla Brexit, qualsiasi esso sia.
Fonte: cinaforum.net
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