di Alessandro Gilioli
"La classe dirigente di questo Paese quando delinque fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada e fa danni più gravi". È questa la frase di Davigo che ha acceso lo scontro in atto, oggi argomento principale di tg, talk show, giornali, radio, social in cui si parla di politica.
Il significato della frase a me sembra evidente. È un confronto tra la criminalità che sta nell'establishment e quella che sta in strada. E vi si sostiene, con evidenti ragioni, che la prima sia di maggior nocumento. O qualcuno pensa seriamente che i ladri di strada facciano più danni al Paese di chi delinque nella classe dirigente?
Eppure nella narrazione mediatica il discorso di Davigo è diventato altro. È diventato un attacco generalizzante a tutta la politica (secondo Rondolino addirittura "alla democrazia"), da cui lo scontro in questione. Tanto che Davigo stesso è dovuto intervenire per smentire questa interpretazione.
Com'è avvenuta la trasformazione del significato?
Può darsi che Davigo "avrebbe potuto dirla meglio", d'accordo: per evitare che fosse così facilmente manipolabile. Anzi, sicuramente avrebbe potuto dirla meglio perché siamo in Italia: dove non solo il tema è sensibilissimo - ci si scazza in merito dai tempi di Craxi e poi di Berlusconi - ma soprattutto c'era chi non aspettava altro per deformarne il significato e riportarci allo scontro verticale e violento di vent'anni fa.
L'obiettivo insomma è, di nuovo, creare una contrapposizione verticale Renzi contro tutti.
Riattizzare lo scontro con i magistrati serve a questo scopo. In vista di ottobre. Oggi i giudici, ieri i sindacati, l'altro ieri i professoroni, domani le cavallette. L'importante è creare la sensazione da fortino assediato. Un po' lo stile Mourinho, per chi segue il calcio.
Ovviamente, Renzi è tutto fuori che un leader assediato. Ha dalla sua tutti i poteri economici, che magari non lo amano più di tanto ma lo vedono come unica ancora di salvezza in termini di "stabilità" dei mercati, dato che le alternative più quotate elettoralmente sono Grillo e Salvini. Ha quindi dalla sua, di conseguenza, la maggior parte dei media. In sovrappiù - al contrario di ogni suo predecessore al partito e al governo - ha gli strumenti cognitivi per incrementare il consenso anche (sottolineo anche) in modo disintemediato. Ha in mano il partito del 40 per cento, che gli passa tutto ciò che lui vuole. Ha allargato la maggioranza al Senato ai verdiniani per non rischiare nulla neppure lì. Ha immesso nel sottopotere dello Stato - dai servizi segreti fino all'Anas - tutte persone sue. Il resto lo fa l'indole italica, tendente ad accodarsi al più forte.
Ma, soprattutto, Renzi sta riformando la Costituzione in modo da avere ancora di più le mani libere. E sta portandoci al referendum per ottenerne una legittimazione plebiscitaria.
Non c'è plebiscito senza divisione verticale tra buoni e cattivi, senza un'accetta che separa il Sì dai No. Da una parte lui, dall'altra l'Italia del no. Quella che vuole frenare. La palude. I gufi. I cattivi.
È interessante ma secondario che questo sia avvenuto a partire da un paio di inchieste in corso: quella sulle banche e quella che ha lambito il suo ex ministro Guidi. Quest'ultima in particolare. Che ha portato Renzi a minacciare interventi sulle intercettazioni (sulle quali ha una delega parlamentare quasi in bianco), poi a rincarare la dose in Senato subito dopo il referendum sulle trivelle.
È interessante ma secondario, perché lo scopo politico di questo armageddon trascende entrambe le inchieste. Guarda a ottobre, semplicemente. E non gli è sembrato vero, ai comunicatori del governo e ai loro referenti nei media, prendere una frase inoppugnabile di Davigo e trasformarla in un altro strumento di divisione verticale del Paese in vista del plebiscito.
Molto più comodo così, del resto, che affrontare le questioni politiche concrete nei contenuti e nel merito.
È stata la settimana, ad esempio, in cui i dati Inps hanno certificato il fallimento catastrofico del Jobs Act nei suoi obiettivi dichiarati, cioé creare più lavoro e ridurre il peggior precariato trasformandolo in contratti "a tutela crescente". Al contrario, le assunzioni con il nuovo contratto sono crollate ed è esploso il fenomeno dei voucher, cioé il minijob più precario del mondo (quasi un milione e mezzo di persone).
Ma di questa certificazione non ha parlato quasi nessuno. Molto meglio distrarre e dividere il Paese, deformando una frase di Davigo.
Fonte: L'Espresso online - blog Piovono Rane
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