Intervista a Susanna Camusso di Andrea Carugati
Primo maggio in piazza a Genova per i tre leader dei sindacati confederali. Di nuovo una grande città industriale “per sottolineare l’esigenza di una ripresa del nostro sistema economico a partire dai grandi centri industriali”, spiega ad Huffpost il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. Un’occasione in cui Cgil, Cisl e Uil si presentano più uniti rispetto al passato. Con la Cgil in prima linea nelle critiche al governo Renzi, dalle pensioni al pubblico impiego, dai dati sull’occupazione al boom dei voucher. “Dal governo non c’è un’idea di politica economica e di sviluppo. Quando interviene, lo fa per togliere diritti. Non c’è mai l’obiettivo di rispondere ai bisogni reali delle persone, di ridurre qualche diseguaglianza”.
Segretario Camusso, rispetto agli anni scorsi l’occupazione secondo i dati Istat registra alcuni segnali positivi. E’ un primo maggio con alcuni elementi di ottimismo anche per il sindacato?
“Sarà un primo maggio del lavoro e per il lavoro, al di là di questo infinito dibattito mensile sugli zero virgola. Il dato chiave rimane la disoccupazione giovanile oltre il 36%, un giovane su tre non trova prospettiva di lavoro in Italia, e questo al netto dei tanti che hanno già fatto le valigie e sono andati all’estero. L’occupazione è la vera emergenza del Paese, e tuttavia il tema è stato costantemente svalorizzato: basta pensare ai dati della precarietà, ai numeri insopportabili sui voucher e anche agli infortuni e alle morti che sono tornate a crescere. Certo, non siamo più nella situazione degli anni scorsi quando si continuava a precipitare dentro la crisi, ma mi pare chiaro che il governo non vuole uscire dalla crisi mettendo al centro il lavoro. La scelta è invece continuare a percorrere tutti gli errori del passato”.
Quali sono questi errori?
“In primo luogo continuare nella logica della supremazia del mercato, pensare che togliendo alcuni vincoli alle imprese accadano cose meravigliose. La verità è che non crescono gli investimenti, si resta nella logica di un mondo finanziarizzato in cui pochissimi continuano ad arricchirsi a discapito di molti che si impoveriscono. Dominano le ideologie del liberismo e dell’austerity, il problema è sempre tagliare e mai investire."
Dunque il cuore della sua critica al governo è che pensa di portare la crescita togliendo lacci alle imprese e senza investimenti pubblici?
"Il governo a parole afferma di non condividere le politiche di austerità europee. Ma neppure quando era alla guida del semestre Ue ha aperto una discussione sui trattati. Chiede margini di flessibilità, ma sempre restando dentro un impianto di tagli e di disinvestimento rispetto al lavoro. L’Europa chiede e il governo obbedisce: penso alla richiesta di superare i contratti nazionali, all’idea di peggiorare sempre la condizione pensionistica. Sul grande tema uguaglianza-diseguaglianza, questo governo tra lavoro e imprese sceglie sempre di dare mano libera alle imprese e al mercato."
Negli ultimi giorni Renzi ha rivendicato, anche davanti ai critici dentro il Pd, il successo dell’operazione Marchionne in Italia, da lui sostenuta e da voi osteggiata. Su Fiat aveva ragione lui?
“Bisogna guardare con attenzione a come si sono spostati gli investimenti pubblici e privati negli ultimi anni in Italia: la verità è che sono scesi entrambi. Importanti aziende italiane sono state cedute lasciando grandi interrogativi sull’occupazione e sulla produzione. Penso ad esempio al caso Italcementi ma non è certo l’unico. Se si vuole ragionare su come le imprese italiane hanno reagito alla crisi, dobbiamo constatare che meno di un terzo del sistema produttivo ha provato a investire e a tentare di competere. Le crisi continuano a moltiplicarsi, penso alla prospettiva di casi come Ilva, ma anche su Eni - che viene vantata dal premier come campione nazionale - noi abbiamo un infinito numero di interrogativi sulle scelte che vengono fatte. Grazie anche agli accordi sindacali, nel settore della chimica si era avviato un processo di trasformazione in economia verde. Che fine farà questo percorso? Abbiamo più volte sollecitato il governo, anche come socio di Eni, ma continua a sottrarsi al confronto. Mi pare dunque che da parte del premier ci sia la propensione a cercare singoli risultati da vantare per non rispondere a un quadro complessivo che parla di declino delle prospettive industriali."
Sul caso Fiat in particolare lei cosa pensa?
"Continuiamo ad avere delle preoccupazioni, non è vero che gli stabilimenti Fca, come viene fatto credere, hanno tutti ripreso a pieno regime. Sicuramente l’azienda ha fatto scelte che le hanno consentito di uscire dal buio della crisi, ma vanno fatti dei bilanci complessivi: la società è diventata straniera e non paga più le tasse in Italia, la Ferrari è quotata su borse estere. Quando si cita un’azienda come ambasciatrice di un Paese bisognerebbe valutare anche questi fatti."
Che messaggio arriverà al governo, in concreto, dalla piazza di questo Primo maggio?
"Rinnovare i contratti, a partire da Pa, metalmeccanici, grande distribuzione, alcuni in attesa da anni. Ci sono atteggiamenti di irresponsabile chiusura delle controparti, da Federdistribuzione a Federmeccanica, che puntano a superare il principio fondamentale del contratto nazionale e ad abbassare i salari, una pretesa stigmatizzata persino da Bankitalia.
Il secondo messaggio è che bisogna cambiare subito la legge ingiusta sul sistema previdenziale. Bisogna non solo rispondere alle persone che non ce la fanno più, e ad una anzianità lavorativa che è diventata infinita per chi è andato a lavorare molto giovane; ma c’è soprattutto l’esigenza di fare posto ai giovani e costruire anche per loro una previdenza più equa.
Il terzo tema si chiama investimenti: la Commissione europea continua a dire che occorre spostare la tassazione dal lavoro ai beni, nel nostro paese si continua a fare l’opposto. Noi riteniamo che una politica di progressività fiscale e di tassazione sulle rendite finanziarie e sui grandi patrimoni consentirebbe di avere le risorse per un grande piano per il lavoro dei giovani. Non c’è futuro per l’Italia se i giovani continuano a pensare che avranno un voucher, tanto lavoro sommerso e, al massimo, precarietà nel loro futuro. Non c’è prospettiva se, ad esempio, un’altra estate si avvicina e le annunciate norme per contrastare il caporalato non ci sono."
In una intervista all’Unità il ministro del Lavoro Poletti sostiene che in 3-4 anni si potranno recuperare i livelli di occupazione pre-crisi al ritmo di 260mila nuovi posti l’anno.
"Il dato che conosco io è che con la crisi si sono persi 3 milioni di posti ed è evidente che non si potranno recuperare facilmente. Nel Def il governo considera strutturale una disoccupazione che supera di molto il 10%. Un dato che diventa tale se la politica non interviene con investimenti pubblici, e senza uno spostamento della ricchezza dall’alto verso il basso. Non si può continuare a discutere, mese dopo mese, su spostamenti dello zero virgola. Se è vero che la crisi ha distrutto un quarto delle attività produttive, è evidente che pensare di tornare ai livelli di occupazione pre-crisi con la decontribuzione e riducendo i diritti non può funzionare. Serve una vera politica di sviluppo."
Sul tema dei voucher il ministro Poletti ipotizza un intervento correttivo, a partire dall’ambito dell’edilizia, e ritiene che comunque abbiano bonificato il lavoro a chiamata.
"E’ uno scandalo che in settori strutturati possano essere utlizzati i voucher. Come nell’edilizia, settore in cui più che in altri servono formazione e misure di sicurezza stringenti. Non a caso, quando lo strumento nacque era esplicitamente vietato l’impiego nel campo dell’edilizia. Contesto l’idea che i voucher siano stati un elemento di bonifica: al contrario, sono stati un elemento di sommersione. Stanno cancellando un lavoro di anni per fare emergere il lavoro nero. Sono così scomparse partite Iva e lavori stagionali. Per questo noi diciamo che si tratta di uno strumento non emendabile e che non si può imbellettare. Non è un caso che i voucher siano al centro di uno dei tre referendum, a sostegno della Carta universale dei diritti, su cui stiamo raccogliendo le firme. Non è neppure vero che con strumenti come i voucher si aiutino i lavoratori: così viene messo in atto un processo intimidatorio verso di loro. I voucher vanno semplicemente abrogati."
Sul tema pensioni il sottosegretario Nannicini ha parlato di tre possibili corsie per l’uscita anticipata. Il presidente Inps Boeri a sua volta ha lanciato un grave allarme per la generazione nata negli anni Ottanta che rischia di andare in pensione a 75 anni.
"C’è una grande responsabilità del governo che non ha tra le sue priorità di togliere i giovani da una possibilità condizione di povertà nel loro futuro: questo è il primo punto della piattaforma che Cgil, Cisl e Uil hanno presentato al governo per cambiare radicalmente il sistema pensionistico. Il sistema va cambiato per dare una prospettiva meno preoccupante per i giovani, ma anche per chi è più vicino alla pensione: troviamo sbagliata l’idea, richiamata anche da Nannicini, che si possa affidare alle banche e ai mutui il tema previdenziale. Le strade finora proposte non stanno in piedi perché non affrontano in termini positivi il tema della flessibilità e della diversità dei lavori. Temiamo invece che si voglia trasferire una grande infrastruttura pubblica come la previdenza all’interno del sistema finanziario."
Crede che sulle pensioni ci sarà l’opportunità di un confronto tra sindacati e governo.
"Mi pare evidente che il governo non voglia aprire questa discussione e del resto continuano a rinviare l’impegno ad affrontarla. Eppure questo è il nervo più scoperto nel mondo del lavoro: la legge Monti-Fornero dimostra quanti guai si creano quando i governi pensano di essere autosufficienti. Non mi pare chi ci sia traccia, in questo come in altri settori, di ipotesi di riforma che abbiano come obiettivo dare una risposta ai bisogni reali delle persone e ridurre le diseguaglianze. Questa è la loro filosofia, ma come dimostreranno le piazze del primo maggio i sindacati non intendono mollare."
Ritiene che su questi temi nei governi degli ultimi anni ci sia stata una continuità, da Berlusconi a Monti, Letta e Renzi?
"Sul tema delle politiche economiche non c’è stata un effettiva autonomia di questi governi da trattati sbagliati come quelli che oggi reggono l’economia dell’Unione europea."
Dunque la colpa è di Bruxelles?
"Assolutamente no. Dico che i governi italiani avrebbero dovuto e potuto mettere in discussione trattati che impediscono lo sviluppo, a partire dai vincoli di Maastricht e dal Fiscal compact. Su questo avrebbero potuto organizzare un fronte europeo. Ma ci sono state anche scelte interne a mio avviso sbagliate: 19 miliardi di decontribuzione si potevano spendere con maggiore efficacia in termini di creazione di lavoro. L’idea sbagliata è poter delegare lo sviluppo economico agli obiettivi delle singole imprese."
Sul contratto dei dipendenti pubblici che valutazione dà? Dopo l’accordo sulla riduzione a 4 dei comparti vede qualche spiraglio?
"Gli stanziamenti previsti dalla legge di Stabilità 2016 (300 milioni, ndr) sono del tutto insufficienti. Noi avevamo interpretato l’accordo sui comparti come un segnale di apertura dei tavoli contrattuali, ma il tempo passa e la discussione non si aprono. Non a caso i dipendenti pubblici stanno svolgendo scioperi generali a livello regionale e il comparto della scuola ha indetto lo sciopero nazionale per il mese di maggio. Ricordo che il governo è inadempiente rispetto a una sentenza della Corte costituzionale e ad una del Consiglio d’Europa sul tema dei contratti."
Dalla sua analisi emerge che in nessun settore vi sono passi avanti nel rapporto tra sindacato, Cgil in particolare, e governo.
"Ci sono stati rinnovi di contratti e accordi aziendali importanti. E anche sul tema della rappresentanza c’è stato un accordo tra le parti che funziona. Il punto critico è la politica economica del governo che, in qualche caso interferisce sull’autonomia delle parti sociali. Penso ad esempio all’idea di intervenire sui livelli contrattuali: è una esplicita interferenza."
Insomma, quando il governo interviene fa danni?
"Gli interventi del governo hanno come logica ridurre diritti per chi li aveva senza darne di nuovi. Nel contratto a tutele crescenti mancano le tutele, dunque non si capisce cosa possa crescere…"
I dati Inail segnalano che nel 2015 le morti e gli infortuni sul lavoro dopo 4 anni sono tornati a crescere. Quali sono le cause?
"Si torna al tema degli investimenti e alla pressione sul tema dei costi che a volte produce minore attenzione sul tema della sicurezza. Questo è stato vero nel cuore della crisi, ma lo è ancora di più adesso che inizia la ripresa. Il tragico incidente di Carrara è emblematico, perché è avvenuto dopo che la produzione era ripresa. E la precarietà ha il suo peso: lavorare con un voucher in un cantiere o in un’azienda o in un campo significa non avere formazione e strumentazione adeguate. Questo è un problema che richiede più attenzione e un livello maggiore di intransigenza, anche da parte dei sindacati."
Fonte: Huffington post
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