La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 31 luglio 2016

Alla Knesset l’esordio del nuovo ordine mediorientale

di Michele Giorgio 
Dal vertice di Anshas a quello di Nouakchott, 70 anni di decadenza». È significativo il titolo di as Safir. Il quotidiano di Beirut ha ripercorso con queste poche parole il declino dei vertici della Lega Araba, dal primo svoltosi in Egitto nel 1946 al’ultimo, il 27/mo, che si è chiuso qualche giorno fa nella capitale della Mauritania. Un lento precipitare nella totale irrilevanza di una organizzazione che pure era nata per promovere le potenzialità politiche dei popoli e dei Paesi del Nordafrica e del Medio Oriente. As Safir in verità avrebbe dovuto calcare la mano e descrivere con parole più crude il fallimento del summit a Nouakchott.
“Il Vertice della Speranza” era il titolo pretenzioso dell’appuntamento che doveva ridare qualche speranza concreta ai palestinesi. E invece l’incontro, una volta e per tutte, ha dimostrato, con le sue fratture interne, dovute in gran parte alla crisi siriana, con le sue clamorose assenze – ben pochi sono stati i presidenti e i capi di governo che vi hanno partecipato – che la causa palestinese non è una priorità per i leader arabi. Assente anche il presidente palestinese Abu Mazen ma era l’unico giustificato. Si trovava in Qatar per la morte improvvisa del fratello.
La risoluzione finale del summit è un festival di propositi che non saranno mai perseguiti. La crisi siriana è stata affrontata a sprazzi, nella consapevolezza che i giochi si decisono altrove.Se qualcuno mai si ricorderà dell’incontro a Nouakchott sarà per l’intenzione espressa dal premier libanese Tamman Salam di rispedire al mittente oltre un milione di profughi, in non meglio precisate «zone sicure in Siria». E per la richiesta palestinese, a dir poco tardiva (e velleitaria), di chiedere indennizzi alla Gran Bretagna per la “Dichiarazione Balfour” (un “Focolare ebraico” in Palestina, 1917). «Il Segretario generale (della Lega, Ahmed Aboul Gheit) ha detto che quella palestinese rimane la causa centrale e che l’occupazione israeliana delle terre palestinesi e arabe è la principale minaccia per la sicurezza comune…Il lettore arabo non crede una parola di tutto questo» ha scritto Fahmi Houeidi, editorialista del quotidiano egiziano Ashurouq. «La realtà è diversa» ha aggiunto Houeidi «alcuni Stati arabi ora vedono Israele come il principale alleato…Il vertice è stato un diwan (una discussione di lavoro informale, ndr)».
Sono ben fondate le considerazioni di Fahmi Houeidi. L’unità araba intorno alla causa palestinese ormai è solo una frase utile per condire qualche discorso ufficiale. Anzi, volendo riassumere il clima che regna oggi nel mondo arabo, potremmo dire che il vero summit quest’anno si è svolto alla Knesset. Il Parlamento israeliano nei giorni scorsi ha accolto per la prima volta una delegazione di accademici e di esponenti del mondo degli affari dell’Arabia Saudita guidata da Anwar Eshki, un generale a riposo. E tra gli invitati ai colloqui alla Knesset c’era anche Jibril Rajoub, uno dei principali dirigenti di al Fatah, indicato tra i candidati a prendere il posto di Abu Mazen. La delegazione inoltre è stata ricevuta dal direttore generale del ministero degli esteri Dore Gold e dal generale Yoav Mordechai, coordinatore delle attività amministrative nei Territori palestinesi occupati. Eshki ha incoraggiato gli interlocutori israeliani ad esaminare l’Iniziativa di pace araba, presentata 14 anni fa. E certo non a caso il premier Netanyahu nei giorni scorsi ha detto alla Knesset che questo piano potrebbe essere preso in considerazione. Non è un mistero che Netanyahu voglia usare in qualche modo l’Iniziativa araba per silurare quella (sgradita) avviata della Francia che punta all’allargamento multilaterale dei falliti negoziati bilaterali israelo-palestinesi. Non sono pochi a credere che l’Arabia saudita, in cambio di un ritiro israeliano, anche parziale, dalla Cisgiordania e della proclamazione di uno Stato palestinese senza sovranità reale, sia pronta a portare l’intero mondo arabo al trattato di pace con Israele.
L’Arabia saudita ha smentito di aver autorizzato il viaggio di Eskhi ma non ha convinto nessuno. Stringere la sua alleanza dietro le quinte con Tel Aviv è fondamentale per Riyadh che da anni impegna la sua politica estera solo sul “contenimento” dell’Iran. Obiettivo condiviso da Netanyahu. La visita di Eskhi alla Knesset è solo l’ultimo atto della normalizzazione dei rapporti con lo Stato ebraico sostenuta da esponenti sauditi di primo piano come l’ex capo dei servizi segreti Turki al Faisal che a inizio anno ha stretto pubblicamente la mano all’allora ministro della difesa israeliano Moshe Yaalon durante una conferenza in Germania. È questo il nuovo ordine mediorientale al quale puntano Arabia saudita e Israele. La sua realizzazione non passa di sicuro per gli inutili vertici della Lega araba e una soluzione della questione palestinese fondata sulla giustizia internazionale. 

Articolo pubblicato su Il manifesto 

Fonte: Nena News

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