La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 3 agosto 2016

Deterrenza umanitaria: il progetto Aware Migrants

di Nicola Perugini
Il Ministero dell’Interno italiano e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) hanno appena lanciato il progetto Aware Migrants, con cui il duo governativo-umanitario intende offrire informazioni ai migranti e alle migranti sui rischi del viaggio verso l’Europa, scoraggiandoli dal partire. Nessun progetto, nessuna campagna, nessuna immagine ha il semplice fine di “sensibilizzare”, ma tende piuttosto a organizzare, indirizzare e governare processi sociali e politici. Da questo punto di vista Aware Migrants può essere analizzato come un dispositivo di deterrenza (dal latino deterrere, il potere di distogliere qualcuno da un’azione dannosa per timore di una punizione o di una rappresaglia) in chiave umanitaria. 
Il 29 luglio l’IOM ha pubblicato un nuovo rapporto statistico: fra il primo gennaio e il 27 luglio di quest’anno sono arrivati in Europa via Mediterraneo 251.557 migranti e rifugiati. Le morti sono state 3.034, a fronte delle 1.917 del 2015, per lo stesso periodo. Mentre raccoglieva questi dati, l’IOM partecipava attivamente al progetto Aware Migrants, dal costo di circa 1,5 milioni di euro, stanziati dal Ministero dell’Interno (la realizzazione è dell’agenzia pubblicitaria milanese Horace). L’assunto di fondo è che i migranti sono vittime delle reti di trafficanti e delle repressioni e violazioni dei diritti umani da parte degli stati in cui transitano lungo il loro cammino verso l’Europa; e che morirebbero o soffrirebbero anche perché male informati. «L’informazione è empowerment», afferma Federico Soda, direttore della missione IOM in Italia, nellaconferenza stampa di lancio della campagna di sensibilizzazione del 28 luglio. «Non tutti sanno tutto e non sempre si sa qualcosa», ammonisce facendogli eco un criptico Angelino Alfano.
Il sito di Aware Migrants – il cui logo consiste in un occhio aperto – si apre con unasplash page contenente un breve video di quarantanove secondi che mira ad attirare l’attenzione e sintetizzare il contenuto della campagna. Vediamo susseguirsi i volti di quattro uomini e due donne di giovane età, inquadrati in primissimo piano o in dettaglio con illuminazione frontale. Se il fondale è nero, il montaggio audiovisivo si fa carico di contestualizzare il loro percorso migratorio, i rischi che hanno affrontato, le violenze subite, l’assistenza. Sentiamo il rumore del mare come dentro una conchiglia, poi rumori meccanici, grida, spari, fino a quando non irrompe una comunicazione radiofonica: «Stay down, stay calm!». Nel momento in cui tutti i suoni sembrano attenuarsi, si sente un effetto sonoro che simula il passaggio da un ambiente subacqueo all’aria aperta. Solo allora i sei migranti aprono gli occhi. Fissano la camera per qualche secondo. Compare infine una scritta in inglese, francese e arabo che recita «è arrivato il momento di aprire gli occhi».
Ma a quale spettatore si rivolgono? Se le retoriche umanitarie ci hanno abituato a concepire la “conquista dello sguardo in macchina” da parte della vittima come un principio di personificazione della stessa e come un invito rivolto allo spettatore occidentale a supportare economicamente e moralmente i “soccorritori”, si assiste in questo caso a qualcosa di parzialmente diverso. Stando agli obiettivi espliciti della campagna, il target di quello sguardo – che matura dopo la rielaborazione di un percorso traumatico sintetizzato in una partitura sonora segnaletica – coincide infatti con tutti gli africani e le africane che per il momento sono rimasti nel loro continente e che il progetto Aware Migrants auspica che continuino a farlo. Da tale punto di vista – e in maniera implicita – lo sguardo finalmente consapevole dei migranti inquadrati sembra indirizzarsi anche ai cittadini europei con il fine di confortare le loro paure, le perplessità, il loro rifiuto dell’accoglienza.
Il sito Aware Migrants che accompagna il progetto presenta inoltre una mappa interattiva in cui sotto il titolo «Where are you from?» figurano i vari stati africani, per ciascuno dei quali gli ideatori del sito hanno inserito dei link a storie di migrazione, violenze, soprusi, e dati su quanto sia diventato pericoloso migrare. A questi si aggiunge una serie di link a progetti e immagini di organizzazioni non-governative africane che svolgono un lavoro di sensibilizzazione sui costi economici e umani delle migrazioni.
Curiosamente, l’Europa non è contemplata nella mappa interattiva. Scompare, insieme alle sue responsabilità storico-politiche e di amministrazione mortifera delle frontiere e degli spazi di controllo attraversati dai migranti. Le migrazioni diventano un affare tutto africano. Di cosa succede in Europa e di quali effetti le sue politiche producano nel continente a sud del Mediterraneo non c’è traccia. Non c’è nemmeno traccia del mare e dei suoi morti nella singolare mappa dei rischi.
Con Aware Migrants il nostro Ministero dell’Interno e l’IOM intendono educare quegli stessi migranti che quasi sempre sono coscienti dei rischi in cui incorrono nell’esercitare il loro diritto di libertà di movimento. I migranti e le migranti, le persone che della violenza dei processi migratori e dell’attraversamento dei confini fanno esperienza diretta, vengono dipinti dalla campagna come soggetti inconsapevoli. Come se tra i migranti non esistessero ormai da decenni reti sociali e canali di informazione su cosa significhi migrare e quali sono i suoi rischi, in Africa, in Europa, e lungo le rotte di spostamento.
Il paternalismo umanitario del progetto di sensibilizzazione è lampante, e i materiali informativi del ministero articolano una versione alquanto selettiva del concetto diawareness, consapevolezza. Viene lasciato fuori l’insieme di ragioni che spingono ad affrontare la migrazione e a correre consapevolmente rischi immani. Se awarenessdev’essere, verrebbe da dire, allora che awareness sia rispetto a tutti gli elementi e le fasi della scelta migratoria, non solo quelle che incentiverebbero alla rinuncia. Rifiutare il riconoscimento di questa consapevolezza è un ennesimo segno di una concezione e volontà depotenziante dei migranti (non di empowerment), oltre che a una negazione strumentale della loro capacità di decisione e azione, pur in un’autonomia limitata da quegli stessi elementi contestuali che li spingono a mettere in atto il loro diritto di fuga.
Aware Migrants produce dunque un connubio retorico e politico di deterrenza e umanitarismo. Non si tratta semplicemente di dissuadere, ma piuttosto, etimologicamente, di deterrere: tenere lontano spaventando. La minaccia della deterrenza si trincera dietro la politica delle preoccupazioni umanitarie e del salvataggio delle vite. Siamo preoccupati per i rischi in cui incapperete e per la vostra incolumità. Dunque non partire nemmeno, perché «tu, migrante che cerchi un sogno, che insegui il tuo sogno, corri un grande rischio di incontrare un incubo», per citare Alfano in conferenza stampa.
Dopo la deterrenza pura, i respingimenti, le migliaia di morti in mare, Ministero e IOM sembrano voler tradurre nella nuova campagna quella famosa frase «il problema va risolto alla radice». E lo fanno con questo cocktail inedito di umanitarismo e deterrenza, mischiando quelle che ci vengono sempre presentate come le due anime dell’Europa, intransigente e compassionevole, repressiva contro l’illegalità che essa stessa produce ma sempre mossa da una preoccupazione morale. Un connubio che sfocia in questo esperimento di educazione alla deterrenza del migrante.
Sono ormai numerosi i ricercatori singoli, i collettivi scientifici e le organizzazioni non governative che, nel trattare la questione delle morti nel Mediterraneo e nel farlo con rigore metodologico, sono giunti alla conclusione che la misura più appropriata è quella di garantire un canale migratorio legale e sicuro. Limitiamoci a due esempi. Il primo: il recente e dettagliato rapporto Death by rescue (la versione italiana, Morte per soccorso, è di prossima pubblicazione), ad opera di Forensic Oceanography. Il secondo: il progetto Mediterranean Hope (della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia) che ha aperto un canale di migrazione legale e sicura per mille richiedenti asilo e «soggetti vulnerabili», in particolare da siriani, eritrei e persone dall’Africa subsahariana. Questi progetti mostrano, su due piani e secondo due prospettive diverse, che quella di corridoi di migrazione sicura e legale è la soluzione di gran lunga più efficace per far realmente fronte a tale emergenza.
Cosa ci dice tutto questo rispetto all’Aware Migrants Project? In primo luogo, ci dice che tale progetto – che nelle sue sezioni “News” generali e “News” di singoli paesi trae i propri materiali dall’operato di ONG di varia provenienza – si poggia sul lavoro di operatori non governativi solo in maniera decontestualizzante e strumentalmente selettiva: ovvero mettendo in risalto solo ciò che legittima l’obiettivo di deterrenza alla migrazione mascherato da una retorica di sensibilizzazione umanitaria. Di conseguenza, tali organizzazioni si trovano a contribuire a un’azione governamentale potenzialmente incompatibile con i propri principi, o compatibile solo in ragione di una concezione dell’umanitario quantomeno problematica. In secondo luogo, ci dice che l’effetto di deterrenza a cui il progetto mira non resiste alle analisi più rigorose fra quelle realizzate fra gli specialisti del settore e le persone impegnate sul campo. La logica su cui si basa l’Aware Migrants Project è allora quella di mettere in atto un’operazione di occultamento della possibilità di migrazione legale e sicura, come se non fosse un orizzonte contemplabile neanche a livello immaginativo. Questo l’obiettivo della deterrenza umanitaria presentata come opera di educazione e sensibilizzazione del migrante.

Fonte: lavoroculturale.org 

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