di Enrico Campofreda
Il capo della delegazione palestinese, giunta ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, denuncia che i sei atleti del gruppo non hanno con loro le divise. Gliele ha bloccate la polizia di frontiera israeliana, assieme alla bandiera che proprio non deve apparire neppure nell’attimo della sfilata, in quell’incedere gioioso che di per sé è momento di gloria. Eppure la gloria per Mary al-Atrash e Ahmed Jibril sarà tuffarsi nei rispettivi 50 e 200 metri stile libero. Loro che si allenano vicino Bethlehem, e sentirlo è già un miracolo, visto che sull’acqua nei Territori Occupati si pratica una delle mille imposizioni dell’apartheid con cui Israele governa, decidendo quello che il palestinese medio può fare.
Il palestinese che non è prigioniero, né fino a quel momento ricercato, ma su cui egualmente pesa il controllo della sicurezza dei check point con cui devono misurarsi quotidianamente gli scolari e i pendolari, i vecchi e gli stessi rappresentanti politici quando si muovono. Gli altri quattro sportivi si chiamano: Simon Yacoub, pronto per il tatami del judo, Mohammed Abu Khoussa per la pista d’atletica. Christian Zimmermann impegnato nel dressage e Mayada Sayyad nella più classica delle gare: la maratona. La loro presenza è un simbolo, serve al Cio e alla Comunità Internazionale per lavarsi la coscienza e mostrare come dagli angoli e dalle situazioni più difficili del mondo, giungono egualmente individui impegnati in un confronto che appare pacificato.
Eppure proprio quest’episodio sottolinea gli ostracismi, le beghe, la volontà d’umiliazione che Israele non tralascia neppure in simili circostanze. Impedire ai sei palestinesi di vestire la divisa nazionale ha l’intento nient’affatto celato di affermare che quel gruppo non esiste, come non esiste la popolazione che rappresenta. E’ la logica del disprezzo con cui si pensa di umiliare quei giovani mostrandoli diversi dagli altri atleti del mondo. Forse nei quattro giorni che ci separano dall’evento il Cio, o chi per lui, smonterà l’ottusità delle guardie del Ben Gurion trovando le tute giuste e la stoffa dello stendardo che, comunque, sventola in tanti dei 205 Paesi da cui provengono le delegazioni olimpiche.
Articolo apparso sul blog dell'Autore
Fonte: Contropiano
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