La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 3 agosto 2016

Pharrajimos, il genocidio rom

di Katalin Barsony
Uno stato d’animo cupo era palpabile fra la folla radunata ieri intorno al memoriale dell’Olocausto di Londra, una pietra posta nel cuore di Hyde Park. A mezzogiorno, circa un centinaio di persone, soprattutto rom ed ebrei provenienti da tutto il paese, si sono riunite per commemorare il Pharrajimos – l’uccisione di oltre mezzo milione di persone, circa un quarto di tutta la popolazione rom e sinti dell’epoca – avvenuta durante la Seconda Guerra Mondiale. In piedi, sono rimaste in silenzio per ricordare sotto la pioggia battente e un cielo plumbeo. Qualcuno teneva in mano uno striscione blu con la scritta: «Stop al razzismo contro i rom».
Una manifestazione commemorativa si è tenuta anche a Berlino, di fronte al Reichstag dove c’è il monumento ai rom e ai sinti sterminati dai nazisti. Tuttavia, tra molti rom c’è la sensazione che la loro sofferenza sia stata aerografata dalla storia – un’amnesia che rende oggi le comunità rom più vulnerabile alla discriminazione e all’aggressione.
È stata scelta la data del 2 agosto perché quel giorno del 1944, nel campo di Auschwitz-Birkenau, furono uccisi gli ultimi tremila rom internati nello speciale zigeunerlager. Era il «lager degli zingari», che fu la prigione di oltre ventimila persone uccise nelle camere a gas, mentre i bambini venivano sottoposti a esperimenti terrificanti da parte del medico del campo Joseph Mengele.
Il 16 maggio di quell’anno i seimila rom rinchiusi lì vennero a sapere che era in programma il loro sterminio per fare spazio a un gruppo appena arrivato di lavoratori internati. Quando le guardie irruppero per condurli al massacro, i rom, anche se indeboliti dalla prigionia, furono pronti a reagire con qualunque strumento potessero trovare a disposizione – pietre, tubi, pezzi di legno. Il comandante del campo richiamò le guardie per impedire che la rivolta si diffondesse oltre lo zigeunerlager. Noi ricordiamo questo atto di ribellione come «il Giorno della Resistenza rom». Nei mesi successivi, le autorità del campo ridussero la popolazione dello zigeunerlager mandando 1.000 dei prigionieri più giovani al campo di Buchenwald e 1.000 donne a Ravensbruck. Lo sterminio, però, era stato solo rimandato: la notte tra l’1 e il 2 agosto le ss rientrarono nel lager e lo fecero con una forza soverchiante. All’interno c’erano tremila rom – prevalentemente giovani, anziani e malati – che furono sopraffatti e immediatamente mandati a morire nelle camere a gas. Ogni anno che passa, la necessità di riconoscere questi eventi si fa più urgente e i mezzi con cui farlo più difficili. Non c’è quasi più nessuno ormai che può ricordarli in prima persona. Non dobbiamo permettere che il 2 agosto 1944 sia relegato alla polvere degli archivi storici.
L’ultima testimone oculare conosciuta era Erzsébet Szenesné Brodt, morta poco fa, che fu deportata all’età di 17 anni da Kaposvár, in Ungheria, ad Auschwitz con la madre e la sorella di dieci anni mandate alla camera a gas appena scese dal treno. Intervistata nel 2012 dalla Romedia Foundation, Brodt, che viveva in una baracca vicina allo zigeunerlager, ha ricordato chiaramente quella notte, quando le ss attaccarono con lanciafiamme e cani da assalto. Per il resto della sua vita, ogni volta che ha visto un cane di grossa taglia, ha sentito un brivido per la paura.
La commemorazione del 2 agosto come Giorno della Memoria del genocidio dei rom e dei sinti sta avendo qualche riconoscimento istituzionale negli ultimi anni. La Giornata è riconosciuta in Polonia, Ungheria e Ucraina (i sinti fanno parte dell’esodo rom che si è stabilito principalmente in Europa centrale). Ma il processo è faticosamente lento. Il governo della Germania dell’Ovest non riconobbe l’Olocausto dei rom fino al 1982; la Germania riunificata dedicò un monumento ai rom e ai sinti vittime del nazionalsocialismo solo nel 2012.
Nell’aprile del 2015, il parlamento europeo ha approvato una risoluzione che istituisce ufficialmente il 2 agosto come il Giorno della memoria dell’Olocausto rom e ha esortato gli stati membri a fare lo stesso ricordando l’attuale situazione di difficoltà dei rom in Europa ed esprimendo «profonda preoccupazione per l’aumento di un sentimento anti-rom in Europa accompagnato spesso da violente aggressioni».
Più di settant’anni dopo il Pharrajimos, i dodici milioni di rom d’Europa sono la minoranza etnica più grande del continente e la più discriminata: l’86% degli italiani, il 73% dei danesi e il 60% dei francesi vedono i rom sfavorevolmente. Il 71% dei rom che vive nell’Europa dell’Est è in profonda povertà ed è minacciato da una parte all’altra del continente dal ritorno di una ideologia violenta e di estrema destra. Per onorare correttamente l’oltre mezzo milione di vittime dell’Olocausto rom e sinti, i rom dovrebbero vedere riconosciuto il loro diritto ad esistere come cittadini europei a pieno titolo e liberi.
Quando davanti ai suoi occhi donne e bambini rom venivano spinti nelle camera a gas dalle ss, Erzsébet Brodt promise a se stessa che sarebbe sopravvissuta. «Il mio dovere sarà quello di raccontare a tutti», disse l’ultima testimone di quella tragedia, «È responsabilità di tutti i sopravvissuti battersi perché queste cose non accadano mai più».

Fonte: Il manifesto 

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