La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 12 settembre 2016

Gita in auto con la Thatcher

di Il Simplicissimus
Oggi facciamo un giro in macchina. Ma non con una macchina qualsiasi, con una grande e lussuosa berlina costruita interamente in un paese del terzo mondo che per ora non vi rivelo dal ’60 ai primi ’80. Immagino che siate curiosi e anche un po’ impauriti: non è che ci fermiamo e dobbiamo spingere? Non è che alla prima curva schizza via o che frena nel doppio delle altre auto e ci andiamo a schiantare? Bé ve lo confesso qualche timore è giustificato perché questa vettura pesa più di 2,7 tonnellate a secco, possiede solo freni a tamburo, ha un cambio automatico americano di vecchia concezione e uno sterzo che fa un po’ ciò che vuole così che ogni curva rappresenta un brivido.
Cosa mica da poco su un’auto che stava per essere ritirata dalla strada per la sua scarsissima resistenza agli urti. Però mica c’è bisogno di correre e del resto non potremmo nemmeno farlo: il motore ad onta di una spaventosa cilindrata di quasi sei litri e mezzo suddivisi in 8 cilindri, eroga, nella configurazione più brillante e potente, 200 cavalli con un rapporto peso potenza che era già ai tempi in cui è nata era tra i peggiori al mondo. Non c’è da stupirsi: il propulsore non era stato progettato per le auto, ma era un motore marino montato su molti piccoli e pittoreschi pescherecci della Manica, adattato in qualche modo alla strada.
Senza dubbio, a patto di avere un autista che si assume la fatica improba della guida, è una vettura comoda, però sospetto che anche accettando di farci un giro non ve la comprereste soprattutto sapendo che ha un costo stratosferico. Anzi sono sicuro che fareste molta ironia sulle costruzioni da terzo mondo e ancor più ve la ridereste sapendo della leggendaria scarsa affidabilità degli organi di trasmissione e dell’impianto elettrico. Invece probabilmente molti di voi con un po’ più di anni sul groppone ne hanno fatto un mito, perché questo bidone non era costruito chissà dove, in qualche posto esotico, ma in Inghilterra e si chiamava Rolls Royce. E se almeno con i modelli dei primi anni ’60 si poteva andare in giro con un auto stile anteguerra, cosa che poteva soddisfare i baronetti, dopo, con i modelli più recenti si girava con una Peugeot 403 allungata (c’è stata anche una vertenza giudiziaria per la scopiazzatura). Solo dopo l’assorbimento da parte della Bmw è finalmente arrivata ad essere un’auto decente, visto che tutto è costruito in Germania e solo assemblato in Inghilterra. Ma rimane solo un’auto di rappresentanza adatta quasi esclusivamente a farcisi vedere dentro e a dimostrare il proprio status non solo finanziario, ma sociale, l’appartenenza a una classe che generalmente è quella dei grandi proprietari terrieri inglesi, ossia dei latifondisti.
Se fosse stata fatta altrove, se non avesse potuto godere del mito geopolitico britannico sarebbe stata considerata un catorcio, destino del resto comune a molte quattro e due ruote made in Usa che se fossero stati prodotti in altri Paesi sarebbero considerati trattori veloci. Ho fatto questo esempio certamente curioso per illustrare come sia facile per le classi e i Paesi dominanti avvantaggiarsi della mitopoiesi, ovvero delle narrazioni favolistiche sia nel campo del mercato che in quello delle idee e delle persone. Ed è per questo che qualsiasi prodotto, anche fatto nello sprofondo, si fregia di slogan e di nomi inglesi, fatto che da solo ne denuncia un sostanziale e generale acchiappa citrullismo.
La Rolls Royce mi è venuta in mente qualche giorno fa assistendo a una trasmissione di Rai Storia nel quale si parlava della Thatcher e il professore di rito che palesemente improvvisava sull’argomento, dava per scontato che la signora di ferro fosse un’intellettuale consumata, attenta e fervida lettrice di tutta la letteratura economica in particolare von Mises e von Hayeck, mentre tutto denuncia che il reazionarismo thatcheriano deriva dalla drogheria paterna e lei stessa lo dice “Devo quasi tutto a mio padre, davvero. Mi ha portato a credere a tutte le cose a cui io ora credo”. Del resto si era diplomata in chimica (tecnicamente sarebbe laureata, ma al Sommerville di Oxford, una scuola femminile separata, creata apposta per aumentare in maniera figurativa il numero delle donne con studi superiori) e per molti anni si dedicò da conservatrice nata alla produzione di conserve, prima di riprendere gli studi e diventare fiscalista grazie agli studi e alle leggi permissive del dopoguerra. Nulla nei suoi discorsi, nelle sue biografie narra di letture teoriche ed economiche a vasto raggio, così come non le aveva il suo patron d’oltre atlantico Reagan: erano personaggi plasmabili dai poteri reali proprio per la loro mancanza quasi assoluta di cultura politica, del resto nemmeno mai coltivata negli studi come ci si aspetterebbe e che li portava ad esprimere concetti elementari sulla cui verità, plausibilità e conseguenze nemmeno si interrogavano.
La Tatcher è un po’ come la Rolls Royce, sostanzialmente un bidone il cui mito reazionario risale alla vittoria nella lunga battaglia con i minatori, vinta esclusivamente sull’onda della guerra argentina in cui la signora di ferro riuscì a spuntarla un po’ perché il regime militare di Buenos Aires era ormai marcio e molto grazie all’appoggio del caro amico Pinochet che permise alle navi e agli aerei inglesi di servirsi di porti e basi cilene chiudendo la partita. Ma lei era molto amica dei dittatori, purché fossero apertamente di destra e feroci, al punto che dopo la caduta di Somoza tentò di vietare, l’uso nelle istituzioni pubbliche del termine sandinismo e dei suoi derivati. Con tutto questo probabilmente il mito Thatcher non esisterebbe se prima delle lezioni dell’83 non ci fosse stata una scissione nel labor con la creazione di un partito socialdemocratico (chissà perché le operazioni tipo Saragat sono sempre così tempestive): le due forze messe insieme arrivarono quasi al 55% e per la Lady il discorso si sarebbe chiuso lì senza la legge elettorale inglese e senza questa strana operazione messa in piedi da chi riteneva che il partito del Labour fosse troppo a sinistra ( e infatti la frattura fu ricomposta solo da Blair con la sua sterzata a destra). Invece dobbiamo tenercela come mito.
Dai accendiamo il motore…. ah la batteria è scarica? Pazienza scendiamo e spingiamo il mito.

Fonte: Il Simplicissimus 

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