La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 17 settembre 2016

A che punto è la “ripresa”?

di Gilberto Seravalli 
La stimata organizzazione internazionale per studi e ricerche in campo economico e sociale, “The Conference Board”, mette in linea dati di lungo periodo fino al 2016 (previsioni basate sul primo quadrimestre) su produzione, occupazione, ore lavorate. Si può così calcolare quanto nei vari paesi si è recuperato dopo la crisi. Si tratta però di precisare secondo quale punto di vista, e sarebbe meglio evitare confusioni, purtroppo consuete, in cui si mescolano (e si imbrogliano) le carte. Se l’economia fosse un malato, alla domanda «come sta?» si può rispondere guardando al “decorso” della malattia o alle prospettive di “remissione”.
Si può dare importanza cioè ai risultati che via via si ottengono con le cure disponibili e praticate o invece allo stato di salute del malato rispetto a come ci si aspetta che starà una volta guarito. Nel caso dell’economia italiana il punto di vista del decorso è quello assunto nell’attuale discussione sulle previsioni di crescita del Prodotto Interno Lordo e dell’occupazione. La crescita prevista nel DEF 2016 del Governo potrebbe essere considerata il risultato atteso e nello stesso tempo necessario all’applicazione della cura di politica economica che il DEF stesso contiene. Le successive correzioni al ribasso della previsione indicano allora, come dicono in sostanza i commentatori, sia un decorso della malattia meno favorevole, sia l’insostenibilità o scarsa utilità della cura predisposta.

La crescita percentuale del Prodotto Interno Lordo


La crescita percentuale dell’occupazione (unità di lavoro annue ULA)


(*) le stime sulla crescita delle unità di lavoro non sono riportate, ma calcolate sulla base delle previsioni per la crescita del Pil e l’elasticità dell’occupazione assunta nel DEF 2016.

Ma non si deve dimenticare il punto di vista della remissione, e stabilire –prima di tutto – quale sia il raffronto più conveniente. Guardare, anche in questo caso,alle variazioni da un anno all’altro e perfino da un trimestre all’altro è fuorviante perché lascia del tutto in ombra quanto si è perso in occupazione e produzione nei trimestri e anni precedenti. Neppure il confronto con i livelli registrati all’inizio della crisi sembra adeguato, perché non tiene conto che, senza la crisi, quei livelli sarebbero stati superati. D’altra parte non appare giustificato prendere a riferimento i livelli che si sarebbero avuti senza la crisi lungo i trend corrispondenti alle condizioni pre-crisi, come se ad essi si dovesse prima o poi arrivare, il che viene ormai escluso in rilevante letteratura. Sarebbe come assumere che il malato possa e debba tornare allo stato di salute di prima della malattia, trascurando che – anche dopo la guarigione – sarà certamente debilitato. Sembra più opportuno, perciò, considerare dati di scostamento dai trend di lungo periodo che tengono conto degli effetti della crisi.
Nel caso degli Stati Uniti, per esempio, la figura 1 permette di vedere l’andamento effettivo del Pil (miliardi di dollari), il trend 1981-2007 e il trend 1981-2016, che è quello assunto qui a metro di riferimento.

Figura 1 Usa, Pil in Parità di Poteri d’acquisto miliardi dollari internazionali a prezzi costanti 2015

Fonte: Elaborazione su dati The Conference Board Total Economy Database™

Ma cominciamo l’analisi della crisi e degli anni successivi considerando prima di tutto l’occupazione. Nella figura 2 si vede che Grecia e Spagna hanno recuperato ben poco dopo la caduta che hanno subito, resa anche più notevole dagli alti livelli di occupazione raggiunti in questi paesi, e specie in Spagna, prima della crisi. In confronto, negli altri paesi considerati gli scostamenti dai trend di lungo periodo sono stati minori, sia in alto e sia in basso dopo il 2008. La ripresa dell’occupazione è stata pronta e consistente in Germania già dal 2011, ma in questo paese l’occupazione era calata rispetto al trend di lungo periodo prima della crisi (dal 2002). Negli Stati Uniti la caduta dell’occupazione è stata pesante dopo il 2007 e la ripresa più lenta; è stata però continua dal 2011. In Francia e in Italia non vi sono ancora segni di ripresa in termini di occupazione. I dati della figura 2 indicano che in Francia anche nel 2016 il numero complessivo di occupati rimane inferiore a quello del trend di lungo periodo e scende ancora. Anche in Italia è al di sotto del trend e lo scostamento è in pratica costante dal 2014.

Figura 2 – Scostamenti assoluti dal trend (1980-2016) del numero complessivo di occupati diviso per la media 1980-2016 per cento in Italia (ITA), Spagna (SPA), Germania (GER), Stati Uniti (USA), Francia (FRA) Grecia (GRE).

Fonte: Elaborazione su dati The Conference Board Total Economy Database™

Lo scenario è in parte diverso considerando le ore lavorate. Come si vede nella figura 3, in termini di ore complessivamente lavorate, tutti i paesi sono in ripresa: Germania e Francia già dal 2009 sono sopra il trend di lungo periodo; Italia e Stati Uniti restano sotto anche nel 2016, ma sono in lento recupero; Spagna e Grecia sono decisamente al di sotto ma in chiara ripresa.

Figura 3 – Scostamenti assoluti dal trend (1980-2016) del numero complessivo di ore lavorate divisi per la media 1980-2016 percento in Italia (ITA), Spagna (SPA), Germania (GER), Stati Uniti (USA), Francia (FRA) Grecia (GRE). Dati resi confrontabili mediante ponderazione sulla base della consistenza media delle ore lavorate (1980-2016).

Fonte: Elaborazione su dati The Conference Board Total Economy Database™

Ancora e decisamente diverso è il quadro della produzione. Il prodotto interno lordo riportato nella base dati e qui utilizzato è in dollari internazionali (parità di poteri d’acquisto) e prezzi costanti 2015. In tal modo il confronto tra paesi non subisce distorsioni. Come si vede nella figura 4, sono evidenti e comuni sia il periodo di prosperità pre-crisi, sia la sua caduta dopo il 2007, sia la piccola ripresa 2010-2011, e sia la seguente ulteriore riduzione. Nessuno dei paesi considerati è in vera ripresa dal lato della produzione in raffronto al trend di lungo periodo; solo la Germania mantiene dal 2013 uno scostamento ridotto al 5%. In tutti gli altri, anche se in misure differenti, si assiste anche nel 2016 ad una caduta del livello del Pil rispetto al trend di lungo periodo. In ordine di “gravità” di continuazione della crisi, in testa è la Grecia, seguita da Spagna e Italia, quindi Usa e Francia.

Figura 4 – Scostamenti assoluti dal trend (1980-2016) del PIL divisi per la media 1980-2016 percento (Prodotto Interno Lordo in parità di poteri d’acquisto dollari internazionali prezzi 2015) in Italia (ITA), Spagna (SPA), Germania (GER), Stati Uniti (USA), Francia (FRA) Grecia (GRE).

Fonte: Elaborazione su dati The Conference Board Total Economy Database™

Su questi andamenti ha influito in maniera consistente la produttività. Come si vede nella figura 5, la produttività oraria subisce un rallentamento della crescita dal 2007 in tutti i paesi, meno che in Spagna dove però era rimasta stagnante in tutto il decennio precedente. Questi dati indicano che la situazione peggiore si ha in Grecia, dove il livello della produttivià oraria del lavoro continua a diminuire. Ma dopo la Grecia viene l’Italia, con una produttività stazionaria dal 2000 e in lento calo dal 2013. In tal modo la produttività italiana è stata raggiunta da quella spagnola e il distacco con i paesi più avanzati sta diventando grave. Si può ricordare che dal 1991 al 1997 esso era decisamente contenuto. Notevole è il caso degli Stati Uniti, il cui livello della produttività ha superato, proprio dal 2008, quello di Francia e Germania mentre prima del 2003 era inferiore.


Figura 5–Livelli della produttività oraria del lavoro (Prodotto Interno Lordo in parità di poteri d’acquisto dollari internazionali prezzi 2015 diviso ore totali lavorate)in Italia (ITA), Spagna (SPA), Germania (GER), Stati Uniti (USA), Francia (FRA) Grecia (GRE).

Fonte: Elaborazione su dati The Conference Board Total Economy Database™

Si potrebbe pensare, anche alla luce di rilevante teoria economica, che la stagnante produttività italiana, come la calante produttività della Grecia, dipendano dalla scarsa crescita del prodotto. E che, quindi, tutto discenda dai vincoli europei che impediscono di rilanciare la domanda effettiva mediante spesa pubblica in deficit. Il caso della Spagna, dove la produttività aumenta dal 2008, autorizza però fondati dubbi a questo riguardo.
Più in generale l’ipotesi di crescita della produttività dipendente dalla crescita del prodotto è smentita con dati dal 1981 al 2016 per 46 paesi sviluppati e in via di sviluppo il cui Prodotto Interno Lordo rappresenta il 49% del totale mondiale nel 2016. Usando dati annuali, il coefficiente angolare della retta di regressione per la crescita del prodotto in funzione della crescita delle ore lavorate è 0,72, mentre dovrebbe essere maggiore di uno se valesse tale ipotesi. Usando dati triennali e dummy per paesi (risultate quasi tutte significative) il coefficiente aumenta a 0,98, ma resta sempre significativamente minore di unoal 99% e al 95%. Né aumenta usando anche o invece dummy per periodi. Ciò conferma risultati già noti e cioè che “i rendimenti crescenti” si riscontrano nei paesi in forte sviluppo e solo in alcuni comparti industriali.
Sembra perciò doversi ritenere che i maggiori problemi dell’Italia, che presenta – dopo la Grecia – lo scenario più preoccupante, potranno essere risolti solo se e quando verrà rilanciata la produttività dal lato dell’offerta (capitale umano, investimenti, innovazione dei processi produttivi e dei prodotti, efficienza del sistema): una prospettiva non certo di breve e probabilmente nemmeno di medio periodo.

Fonte: eticaeconomia.it 

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