di Marta Fana
Non li vediamo, gli operai della logistica che lavorano la notte, quelli che preparano i grandi camion che riempiranno gli scaffali della nostra tensione al consumo. Gli operai, quasi ce ne volevamo dimenticare. Un corpo, sociale, di cui il racconto (post)moderno avrebbe voluto sbarazzarsi. Così, mentre ci si aggrappa alla propria dignità, durante un picchetto, si muore, travolti da un camion che forza il picchetto, perché la produzione non deve fermarsi, costi quel che costi. “Parti, vai!”
Si muore cadendo da un’impalcatura e si muore mentre si lotta. Si muore mentre in Parlamento arriva una legge che riduce gli obblighi di sicurezza sul lavoro, si muore quando si lotta per il reintegro di un collega, mentre il governo si vanta del successo dell’abolizione dell’articolo 18. Si muore da suicidi quando la cassa integrazione finisce, per disperazione. Si muore quando la solidarietà sparisce, per indifferenza.
Di fronte allo sfruttamento, i lavoratori lottano, italiani e immigrati insieme perché è una questione di classe prima che di cittadinanza. La consapevolezza che il capitalismo e le sue ristrutturazioni non hanno confini, è la globalizzazione, bellezza!
La terziarizzazione, le esternalizzazioni tese a comprimere i costi, sono state vendute al mondo come la panacea per raggiungere quell’efficienza che la fabbrica integrata, quel fordismo pesante, non permetteva più. Si scorpora la produzione e con essa lo sfruttamento dei lavoratori. I facchini, operai di terza classe, lavorano ai margini della fabbrica, senza diritti, con turni massacranti, costantemente sotto ricatto di licenziamento, perché si sa, il lavoro è una merce: un’asta al massimo ribasso.
Un lutto privato, quello dei cinque figli e la moglie di Abdesselem El Danaf, l’operaio egiziano di 53 anni morto ieri notte durante il picchetto, è un lutto collettivo che ci coinvolge, che ci obbliga definitivamente alla presa di coscienza di vivere in una società che prima di tutto rimane divisa dalle condizioni materiali.
Fonte: Radio Articolo 1
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