di Marta Harnecker
Oltre mezzo secolo fa, mentre le famiglie latino-americane stavano festeggiando l’inizio di un nuovo anno, arrivarono delle belle notizia da Cuba: un esercito di guerriglieri con una base sociale tra i contadini, trionfava sull’isola caraibica, liberando il paese dal tirannico regime di Batista. Cominciò un processo politico che non soltanto mirava a rovesciare il dittatore, ma cercava di seguire una linea coerentemente rivoluzionaria: trasformare genuinamente la società a beneficio della grande maggioranza.
La vittoria di queste forze popolari, condotta dal Movimento 26 Luglio e con a capo un giovane avvocato, Fidel Castro Ruz, risvegliò le simpatie di una grande parte della Sinistra occidentale, ma più in particolare della Sinistra latino-americana. E’ stata un faro luminoso che splendeva nell’oscuro stato d’animo conservatore in cui il continente stava allora vivendo.
Rappresentava una rottura con due tipi di fatalismo che erano diffusi nella Sinistra latino-americana: uno geografico e uno militare. Il primo sosteneva che gli Stati Uniti non avrebbero sopportato una rivoluzione socialista in questa regione strategica, ma Cuba trionfava molto vicino alle sue coste. Il secondo sosteneva che, dato il livello di sofisticazione raggiunto dagli eserciti, non era più possibile sconfiggere un esercito regolare, ma la tattica di guerriglia impiegata dai rivoluzionari dimostrava che era possibile indebolirlo fino al punto di sconfiggerlo.
Era perciò logico che dopo il trionfo cubano, il problema della lotta armata sarebbe diventato l’argomento centrale di discussione per la Sinistra nella nostra regione. Ma c’era molto di più che armi e una tattica di guerriglia: esisteva un’intera strategia politica abilmente costruita e applicata da Fidel, senza la quale questa vittoria non potrebbe spiegarsi.
Il leader cubano capiva che la politica non si poteva ridurre all’arte del possibile – una visione conservatrice della politica. Doveva essere, invece, l’arte di costruire una correlazione tra forze sociali, politiche e militari che permetterebbero di rendere possibile domani ciò che oggi sembra impossibile.
Come contributo a questa rivista, hi scelto la conclusione al mio libro: Fidel Castro’s Political Strategy [1] perché la considero assolutamente rilevante per la realtà attuale che abbiamo di fronte.
La prima parte si riferisce all’argomento del nemico immediato e all’ampiezza del fronte politico. Delineo le importanti lezioni che possiamo apprendere dall’enorme flessibilità tattica che Fidel ha usato per costruire un’ampia alleanza che coinvolgeva
Tutte le forze contrarie a Batista. Il leader cubano comprendeva che per ottenere la vittoria contro il dittatore, era necessario riunire il maggior numero possibile di forze sociali. Questo è il motivo per cui, si è dato da fare, un passo alla volta, costruendo l’unità non soltanto dei settori e della rivoluzionari e della classe, ma anche di quei settori reazionari che erano minimamente in contraddizione con il dittatore. Per raggiungere questo obiettivo ha dovuto ritrattare su molti aspetti, ma non ha mai ceduto riguardo ai problemi fondamentali: non ha mai accettato che un possibile intervento militare straniero facilitasse le cose, né un colpo di stato per lo stesso scopo, né l’esclusione di qualsiasi forza che rappresentasse qualche settore del popolo.
La seconda parte si riferisce ai criteri che ha usato per costruire l’unità delle forze rivoluzionarie. In questa parte del testo, evidenzio le lezioni che possiamo ricavare dalla sua pratica e dai suoi discorsi. ‘Nessuno ha lottato per l’ unità come Fidel che l’ha trasformata in un pilastro della sua strategia politica prima e dopo la vittoria. Fidel preferì evitare discussioni teoriche e concentrò invece le sue energie sull’applicazione di una corretta strategia politica; era convinto che le differenze ideologiche e politiche dei vari gruppi rivoluzionari si sarebbero risolte con la pratica, con molto minore attrito interno.
Per terminare questa breve presentazione, voglio ricordare una frase di Antoine de Saint-Exupery: “L’amore non consiste nel guardarsi intensamente, ma nel guardare avanti insieme nella stessa direzione.
Credo che la migliore espressione di affetto il più bell’omaggio che possiamo offrire a Fidel per il suo 90° compleanno, è di guardare avanti insieme nella stessa direzione.
La strategia politica di Fidel Castro (selezione)
Il nemico immediato e l’ampiezza del fronte politico
La strategia di Fidel per forgiare il blocco delle forze sociali che avevano reso possibile il rovesciamento di Batista e poi la marcia verso il socialismo, ci fornisce delle importanti lezioni.
Anche se era ben consapevole che le uniche forze coerentemente rivoluzionarie erano quelle che facevano parte del “popolo”, come egli lo definiva, ha anche capito che le classi governanti avevano mezzi molto potenti per mantenere lo status quo, compreso l’appoggio del più potente paese imperialista.
Il suo grande merito storico consiste nell’aver saputo identificare chiaramente il collegamento decisivo che avrebbe reso possibile prendere l’intera catena e rendere possibile l’avanzamento della rivoluzione. Quel collegamento era la lotta contro Batista.
Le massime forze sociali dovevano essere unite per deporre la dittatura. Questo significava unire non soltanto le classi e i settori tradizionali, ma anche i settori riformisti e anche quelli reazionari che avessero anche la più lieve contraddizione con Batista.
E così, il programma di Moncada propose soltanto misure di tipo “democratico- borghese”. Anche se proponeva passi che avrebbero danneggiato gli interessi degli Stati Uniti, non conteneva alcuna dichiarazione anti-imperialista formale. Poi, nel Patto della Sierra, come abbiamo visto, furono eliminate anche le misure relative alla nazionalizzazione. Infine, il Patto di Caracas, con il suo programma minimo, conteneva soltanto le misure più essenziali: punizione dei colpevoli, difesa dei diritti dei lavoratori, ordine, pace, libertà, realizzazione degli impegni internazionali, e ricerca del progresso economico, sociale e istituzionale del popolo cubano.
Ciò su cui Fidel non ha mai ceduto erano gli argomenti fondamentali, gli unici che avrebbero potuto fermare lo svolgimento del processo rivoluzionario: il ripudio di qualsiasi interferenza militare, di qualsiasi golpe militare e il rifiuto di fare parte di qualsiasi blocco che avrebbe escluso qualsiasi forza che rappresentava un settore del popolo.
Le linee guida più generali sulla necessità di costruire un ampio fronte anti-imperialista, antioligarchico, furono esposte nella Seconda Dichiarazione dell’Avana del 4 febbraio 1962. [2] Dieci anni dopo, preoccupato della mancanza di unità delle forze democratiche e progressiste del Cile e dell’assenza di opinioni comuni all’interno di Unità Popolare (il fronte politico che appoggiava Salvator Allende) nel periodo in cui l’avvento del fascismo si profilava già all’orizzonte, Fidel ripeté quelle parole. L’occasione fu il suo discorso di commiato del 2 dicembre 1971, dopo una visita di varie settimane in Cile.
“L’imperialismo, che fa uso dei grandi monopoli cinematografici, delle agenzie di stampa, delle sue riviste, libri e giornali reazionari, usa le menzogne più subdole per promuovere la divisione e inculcare negli ignoranti la paura e la superstizione circa le loro privilegi tradizionali.
Il divisionismo, che è un prodotto di tutti i tipi di pregiudizio, di false idee e di menzogne; il settarismo, il dogmatismo, la mancanza dei concetti generali nell’analisi del ruolo di ogni strato sociale, con i suoi partiti, organizzazioni e capi; tutti questi ostacolano la necessaria unità di azione che dovrebbe esistere tra le forze democratiche e progressiste del nostro popolo. Sono fragilità nella crescita, malattie dell’infanzia del movimento rivoluzionario dovrebbero diventare una cosa del passato. E’ possibile organizzare l’immensa maggioranza del popolo nella lotta anti-imperialista e anti-feudale per gli obiettivi di liberazione che uniscono gli sforzi della classe operaia, dei contadini, dei lavoratori intellettuali, della piccola borghesia e dei settori più progressisti della borghesia nazionale. Insieme, questi settori costituiscono l’immensa maggioranza della popolazione, grandi forze sociali che in grado di eliminare il dominio imperialista e l’oligarchia feudale. Dal vecchio militante marxista al cattolico sincero che non ha nulla a che fare con i monopoli yankee e con i proprietari terrieri feudali, tutti possono e devono combattere fianco a fianco in questo ampio movimento per il bene delle loro nazioni, per il bene del loro popolo e per il bene dell’America.
“Questo movimento potrebbe anche comprendere gli elementi progressisti delle forze armate, che sono state umiliate anche dalle missioni militari yankee, dagli atti di tradimento perpetrati contro gli interessi nazionali dalle oligarchie feudali e dal sacrificio della sovranità nazionale ai diktat di Washington.”
“Queste idee sono state espresse dieci anni fa e non variano di un millimetro rispetto alle idee che sosteniamo oggi. [3].
Però quell’ampia politica di alleanze che Fidel aveva in mente dall’inizio e che comprendeva un interesse speciale per persuadere il maggior numero possibile di membri dell’apparato repressivo dello stato (ricordate le parole che rivolse ai militari e ai giudici nel discorso della sua autodifesa. “La storia mi assolverà”) – fu attuata mantenendo certe considerazioni strategiche.
Per prima cosa Fidel cercò l’unità con le forze rivoluzionarie, e soltanto dopo sforzi compiuti in quella direzione, invita a una più ampia unità. E’ importante osservare che non essere riuscito a ottenere una completa unità tra i rivoluzionari non gli impedì di andare verso un’unità più ampia. Tuttavia fece dei passi concreti al riguardo soltanto quando il Movimento 26 luglio era diventato una forza notevole e la sua strategia per la lotta era stata verificata con successo nella pratica, quando ebbe un peso decisivo sulla scena politica. Altrimenti, come abbiamo fatto notare in precedenza, il movimento avrebbe corso il rischio di seguire le forze capitaliste.
Riflettendo, nel dicembre del 1961, sul processo di unità con le forze capitaliste e concretamente sulla ripudio del Patto di Miami, disse:
“Fummo lasciati soli ma in quel momento era diecimila volte meglio stare da soli che in cattiva compagnia…”
“Perché in quell’epoca, quando noi eravamo soltanto centoventi uomini armati, non ci interessava quell’unità ampia con tutte le organizzazioni in esilio, mentre in seguito, quando eravamo migliaia, allora ci interessava quell’ampia unità? La risposta è semplice: perché quando eravamo centoventi uomini l’unità avrebbe significato dare un’aperta maggioranza agli elementi conservatori e reazionari o rappresentanti di interessi che non erano rivoluzionari, anche se erano contrari a Batista. E in quell’unione saremmo stati eravamo una piccola forza . Ma, quando verso la fine della lotta ormai tutte quelle organizzazioni si erano convinte che il movimento si dirigeva verso la vittoria, e che la tirannia sarebbe stata sconfitta, allora divennero interessate all’unità e noi eravamo ormai una forza decisiva all’interno di quella unità.” (4).
L’unità delle forze rivoluzionarie
Fidel fornì alcuni punti di vista estremamente interessanti sulla formazione dell’unità delle forze rivoluzionarie, durante una conversazione con gli studenti cileni nel 1971:
“La cosa ideale in politica è l’unità di opinione, l’unità di dottrina, l’unità di forze e l’unità di comando, come in guerra. Una rivoluzione è proprio come una guerra. E’ difficile immaginare una battaglia, con dieci diverse strategie militari e dieci diversi insiemi di tattiche. La cosa Ideale è l’unità. Questo è l’ideale, ma la realtà è qualche altra cosa. Credo che ogni paese debba abituarsi a combattere le sue battaglie in qualsiasi condizione si trovi. Diciamo che è impossibile raggiungere l’unità totale. Ebbene, arriviamo a una qualche unità su questa opinione, su questa idea e su un’altra idea. Dobbiamo cercare l’unità sugli obiettivi, l’unità su problemi specifici. E’ impossibile raggiungere l’ideale di unità assoluta, troviamoci uniti su alcuni obiettivi.
“Un solo comando o- se volete – un unico staff generale – è la cosa ideale, ma non è sempre possibile, e perciò dobbiamo abituarci a cavarcela con quello che abbiamo, con la realtà.” [5]
L’esperienza cubana fornisce tre importanti lezioni relative al processo di unificazione delle forze rivoluzionarie:
Primo, come si è espresso Fidel, i leader rivoluzionari devono avere come interesse fondamentale, quello di portare avanti il processo di unità delle forze rivoluzionarie, e per fare questo devono usare i minimi, non i massimi obiettivi, come punto di partenza. Un esempio di questo è il Patto messicano tra il Movimento 26 luglio e il Direttorio Rivoluzionario.
Secondo, ciò che contribuisce di più all’unificazione delle forze rivoluzionarie, è l’attuazione di una strategia che si dimostrerà la più giusta nella lotta contro il nemico principale. Se i risultati saranno soddisfacenti, le altre vere forze rivoluzionarie si uniranno durante la lotta, al momento della vittoria, o nei mesi e anni successivi.
Se si cerca troppo presto l’unità a tutti i livelli, prima che le condizioni siano mature, quello che si potrebbe ottenere è un tipo di unità puramente formale che potrebbe sgretolarsi non appena incontra delle difficoltà. Oppure, una minoranza che ha una giusta strategia, potrebbe rinunciare per sottomettersi all’opinione della maggioranza, con conseguenze negative per il processo rivoluzionario nel suo complesso.
Terzo, tutti i partecipanti devono avere uguali diritti e va combattuto qualsiasi “complesso di superiorità” che potrebbe saltar fuori in una o l’altra delle organizzazioni. Questo è molto importante per realizzare l’unità durevole delle forze
e , cosa che Fidel ha sempre fortemente incoraggiato –per una corretta valutazione del contributo di tutte le forze rivoluzionarie senza fissare quote di potere né in relazione al loro grado di partecipazione alla vittoria della rivoluzione né in base al numero di militanti che ogni organizzazione ha.
Il contributo più prezioso di Fidel all’argomento, si ha nel corso della sua lotta contro il settarismo, specialmente in quello che divenne noto come primo processo a Escalante, nel marzo 1962. Anìbal Escalante, segretario delle ORI (Organizzazioni Rivoluzionarie Integrate, n.d.t.) – primo tentativo di istituzionalizzare l’unità delle forze rivoluzionarie dopo la vittoria della rivoluzione – comincia ad occupare tutti i posti e le funzioni con ““vecchi militanti marxisti”, definizione che a Cuba indicava i membri del Partito Socialista Popolare, l’unico partito marxista esistente prima della rivoluzione.
Invece di una libera organizzazione di rivoluzionari ciò che si stava creando era un “giogo”, una “camicia di forza,” un “esercito di rivoluzionari addomesticati e sottomessi,” disse Fidel. Sottolineava, allora, che era necessario combattere sia il settarismo “della Sierra Maestra” che quello “dei membri del vecchio partito marxista.”
A questo proposito ha detto:
“La rivoluzione è superiore a ciò che ognuno di noi può avere fatto. E’ superiore e più importante di ognuna delle organizzazioni che erano qui: [il Movimento 26 di luglio], il Partido Socialista Popular, il Directorio – tutti. La rivoluzione in se stessa è molto più importante di tutto questo.
“Che cosa è la rivoluzione? E’ un grande tronco che ha le radici. Queste radici, partendo da direzioni diverse, si sono unite in un tronco. Il tronco comincia a crescere. Le radici sono importanti, ma quello che comincia a crescere è il tronco di un grande albero, di un albero molto alto, le cui radici spuntarono e si unirono nel tronco. Tutti noi insieme abbiamo fatto quell’albero. La crescita del tronco è tutto quello che ci resta per favorirla e insieme continueremo a farlo crescere…
“Quello che conta non è ciò che ognuno di noi ha fatto separatamente, compagni, la cosa importante è quello che faremo insieme, quello che abbiamo fatto insieme da molto tempo. E ciò che facciamo insieme ha un uguale interesse per tutti noi, compagni. [6].
Lo stesso giorno fece un altro discorso , riferendosi a una sua esperienza personale: “Anche io appartenni ad un’organizzazione. Ma le glorie di quella organizzazione sono le glorie di Cuba, sono le glorie del popolo, sono le glorie che appartengono a tutti noi. E venne un giorno in cui smisi di appartenere a quell’organizzazione. Che giorno fu? Il giorno in cui noi abbiamo fatto una rivoluzione più grande della nostra organizzazione; il giorno in cui noi avevamo un popolo con noi, un movimento molto più grande della nostra organizzazione, verso la fine della guerra, quando avevamo già un esercito vittorioso che sarebbe stato l’esercito della rivoluzione e di tutto il popolo; al momento della vittoria, quando tutto il popolo si unì a noi e mostrò il suo appoggio, la sua comprensione, la sua forza.
“E mentre ci spostavamo in paesi e città, ho visto molti uomini donne, centinaia, migliaia di uomini e donne con l’uniforme rossa e nera del Movimento 26 Luglio, ma molte altre migliaia avevano un’uniforme che non era né rossa né nera, ma erano le camicie di lavoratori e di contadini e di altri uomini e donne del popolo. E da quel giorno, sinceramente, nel mio cuore, lasciai quel movimento che amavamo, sotto le cui bandiere avevamo combattuto e mi unii al popolo. Appartenni al popolo, alla rivoluzione, perché avevamo realmente compiuto qualcosa più grande di noi stessi”. (7).
Scritto per la rivista peruviana Reflexión: Ciencia, humanidades y arte, che ha dedicato un numero speciale a Fidel per il suo 90° compleanno..
Note
[1] Pubbicato in inglese da Pathfinder Press, New York, London, Sydney, 1987.
[2] Vedere Fidel Castro, la Seconda Dichiarazione dell’Avana. http://www.walterlippmann.com/fc-02-04-1962.pdf
[3] Fidel Castro, “Farewell Rally,” in Fidel Castro su Chile Pathfinder Press, 1982, pp. 102-3.
[4] Castro, Fidel Castro, Appararizione televisiva del 1° dicembre 1961”; en Historia de la revolución cubana (selección de discursos sobre temas históricos), Editora Política, La Habana, 1980, pp. 407
[5] Fidel Castro, “University of Conception,” in Fidel Castro sul Chile, p. 45. Fidel Castro, “Conversación con los estudiantes de la Universidad de Concepción”, en Cuba—Chile, Chile, 18 noviembre, 1971, op.cit. p. 274.
[6] Castro, “Against Bureaucracy and Sectarianism,” [Contro la burocrazia e il settarismo] in Selected Speeches, pp. 73-74. Fidel Castro, “Discurso del 26 de marzo de 1962”, en Obra revolucionaria Nº 10, p.29—30; en La revolución cubana, 1953-1962, Ed. Era, México, 2da. ed. 1975, p.539.
[7] Fidel Castro, discorsi del 26Marzo 1962, in La revolución cubana, Op.cit, pp. 545-46
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Links.org
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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