di Chiara Saraceno
Periodicamente ci viene rammentato che, nonostante la nostra spesa sociale sia tutta sbilanciata sulle pensioni, il 63% delle pensioni non supera i 750 euro e due milioni non raggiungono i 500 euro, ovvero la minima. All’origine vi sono storie lavorative e contributive frammentate, bassi salari, pensioni di reversibilità derivanti da pensioni a loro volta modeste. Anche se non va trascurato che spesso queste (in particolare quelle di reversibilità) non sono né l’unica pensione, né l’unico reddito a disposizione, il fenomeno della povertà tra gli anziani va sicuramente affrontato.
In parte ciò avviene già, nella misura in cui gli anziani poveri privi di una storia contributiva minima ricevono un assegno sociale di 448 mensili per 13 mensilità, mentre coloro che hanno una storia contributiva minima, ma non sufficiente a raggiungere la pensione minima, possono ricevere una integrazione fino al minimo. Inoltre, per coloro che hanno una pensione inferiore a una volta e mezza il minimo (750 euro al mese, pari a 9796 annui) è prevista una quattordicesima, ovvero una una tantum annua di importo diversificato — da 336 a 504 euro — a seconda degli anni di contributi, ovvero direttamente proporzionale a questi e verosimilmente inversamente proporzionale al livello della integrazione, con la possibilità che chi più si avvicina alla soglia riceva di più ed anche che una fetta più o meno grande vada a chi ha redditi complessivi adeguati.
Ora il governo, per bocca del sottosegretario Nannicini, fa balenare la possibilità che si possa ulteriormente intervenire sulla quattordicesima, anche se non è chiaro come e se seguendo lo stesso criterio, che privilegia, pur trattandosi di una misura assistenziale, la storia contributiva rispetto alla intensità del bisogno. Inoltre si continua a tenere conto solo del reddito Irpef e non dell’Isee.
Lasciando da parte tutte le altre osservazioni di merito, qui mi interessa segnalare la diversa valutazione di quanto sia necessario per vivere quando si tratta di anziani ultra sessantaquattrenni e invece di adulti in età da lavoro e i loro figli minorenni. Da pochi giorni è possibile per una famiglia in cui vi siano figli minori, o persone disabili, o una donna incinta e che abbia un Reddito Isee fino a 3000 euro chiedere il sostegno di inclusione attiva, Sia, composto da un sostegno economico e da misure di attivazione. Il sostegno economico verrà calcolato (a prescindere dalla distanza dalla soglia di 3000 euro Isee) in 80 euro mensili per componente della famiglia, fino ad un massimo di 400 euro nel caso di una famiglia di cinque componenti o più. Un Isee di 3000 euro, per una famiglia di 5 persone che non abbia risparmi o abitazione di proprietà, equivale a circa 10.500 euro di reddito Irpef l’anno, 875 euro mensili, che fanno 175 euro a testa. Si tenga conto che la soglia di povertà assoluta per una famiglia con due adulti e tre figli minori che vive in un grande Comune del Nord è stimata a 1874 euro mensili, laddove quella per un anziano solo che viva nello stesso tipo di Comune è stimata a 748 euro mensili. In entrambi i casi, la soglia sarebbe più alta o più bassa se si trattasse di una grande città o di un piccolo Comune, o del Sud e del Centro rispetto al Nord, stante il diverso costo della vita.
Pur tenendo conto di tutte le economie di scala, non si può non constatare la difformità sia nell’identificazione delle soglie, sia nell’importo del sostegno, a seconda che si tratti di anziani o di adulti e minori. Nel caso degli anziani, non solo le soglie di accesso sono molto più alte, e non si tiene conto dell’Isee ma solo del reddito Irpef, ma anche il sostegno è più consistente. Vale per l’integrazione al minimo, ma anche per il meno generoso assegno sociale: 486 euro al mese di reddito Irpef (equivalente a un Isee di 4830 euro per un single, se privo di abitazione di proprietà e di risparmi) danno accesso ad un sostegno di importo quasi equivalente, anche quando devono bastare per una persona sola. Ed anche un reddito mensile di mille euro dà diritto ad una parziale integrazione (oltre che alla quattordicesima), se la pensione è inferiore al minimo. E non c’è riferimento all’Isee.
Senza voler togliere nulla al diritto degli anziani di avere una vita decente, e sapendo che talvolta una pensione modesta deve bastare anche per figli e nipoti, è accettabile che vengano utilizzati criteri così diversi per valutare quanto è necessario, di fatto fortemente a sfavore di bambini e ragazzi?
Ricordo che sui 4 milioni e 102.000 di persone in povertà assoluta un milione e 45.000 sono minori, 590.000 sono anziani. Gli altri sono adulti in età da lavoro, spesso con responsabilità di mantenimento di minori. Si aggiunga che mentre tutti gli anziani aventi diritto ricevono il sostegno, senza che venga sollevata la questione dei vincoli di bilancio, ciò non vale per i poveri non anziani. Nel loro caso l’accesso è vincolato ai fondi destinati al Sia e, a regime, alla nuova misura che verrà messa a punto nel 2017. Fondi che sappiamo già essere largamente inferiori al necessario: un miliardo a regime, quando le stime concordano su una cifra attorno ai sette miliardi. Non a caso i regolamenti già prevedono graduatorie tra “aventi diritto” che negano il principio stesso di diritto esigibile.
Articolo pubblicato su La Repubblica
Fonte: MicroMega online - blog dell'Autrice
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