di Fabio Lucidi
Il tema delle disuguaglianze in salute è, da alcuni anni al centro dell’attenzione scientifica, nel campo delle scienze sociali e in quello della ricerca sulla salute pubblica. Molti studi internazionali mostrano che i cittadini in condizioni di svantaggio sociale tendono ad ammalarsi di più, a guarire di meno, a perdere autosufficienza, a essere meno soddisfatti della propria salute e a morire prima.
La spiegazione più semplice per questo fenomeno è quella che mette al centro fattori di rischio legati all’ambiente dove le persone risiedono e lavorano (più elevati nelle più basse condizioni socio-economiche) e sulla minore accessibilità alle cure appropriate che si associa a una condizione di svantaggio sociale. Inoltre è stato dimostrato che la posizione sociale influenza anche la vulnerabilità agli effetti sfavorevoli sulla salute dei suddetti fattori di rischio: in molti casi le persone di bassa posizione sociale esposti allo stesso fattore di rischio manifestano effetti sfavorevoli sulla salute più severi di quanto non succeda alle persone di alta posizione sociale.
La spiegazione più semplice per questo fenomeno è quella che mette al centro fattori di rischio legati all’ambiente dove le persone risiedono e lavorano (più elevati nelle più basse condizioni socio-economiche) e sulla minore accessibilità alle cure appropriate che si associa a una condizione di svantaggio sociale. Inoltre è stato dimostrato che la posizione sociale influenza anche la vulnerabilità agli effetti sfavorevoli sulla salute dei suddetti fattori di rischio: in molti casi le persone di bassa posizione sociale esposti allo stesso fattore di rischio manifestano effetti sfavorevoli sulla salute più severi di quanto non succeda alle persone di alta posizione sociale.
Queste analisi però rischiano di sottovalutare alcuni aspetti del fenomeno delle diseguaglianze in salute, in particolare rischiano di generare una lettura meccanicista della relazione tra status socio-economico (SES) e salute dei cittadini. Analisi più recenti e attuali, invece, sottolineano correttamente la centralità dell’individuo che, con i suoi atteggiamenti e comportamenti, si pone nel mezzo della relazione tra SES e salute, divenendone un mediatore fondamentale.
La recente centralità attribuita alle cosiddette determinanti sociali della salute sposta in modo crescente l’attenzione su comportamenti e stili di vita. E’ ben noto che negli adulti gli stili di vita e i comportamenti insalubri, come il fumo, l’alcool, l’obesità, l’inattività fisica, la cattiva alimentazione, il sesso non protetto, sono messi in atto con frequenza inversamente proporzionale allo status socio-economico. Dunque il rapporto tra salute (compresa la salute mentale) e SES negli adulti è chiaro e consolidato e passa anche per la messa in atto di comportamenti insalubri che si associano anche, in un circolo vizioso critico, alle condizioni di malessere o disagio psicologico.
E’ ben noto che la salute fisica dei bambini e degli adolescenti risenta particolarmente delle diseguaglianze socio-economiche delle famiglie (cfr. UNICEF, Child poverty in rich countries, 2005). Meno si sa invece circa l’effetto delle disparità socio-economiche sui problemi di salute mentale nell’infanzia e nell’adolescenza. Recentemente, proprio su questi temi, sono state però pubblicate alcune rassegne della letteratura(cfr. Reiss F., Socioeconomicinequalities and mental health problems in children and adolescents: a systematic review,2013), che indicano una relazione inversa tra status socio-economico della famiglia e problemi di salute mentale nei bambini e negli adolescenti. Un basso e persistente status socio-economico familiare si associa a una maggiore probabilità di insorgenza di problemi di salute mentale dei figli. Anche la semplice diminuzione dello status socio-economico si associa con l’aumento di tali problemi.
Gli studi in materia presentano problemi di tipo metodologico che rendono difficile trarre un quadro chiaro e aprono, più che chiudere, diversi problemi interpretativi. Tra questi va considerato che: 1) le misure usate per valutare lo status socio economico sono molto diverse tra studio e studio, cosa che rende problematica la comparabilità e la valutazione di quanto siano forti gli effetti. 2) Anche le misure di salute mentale sono differenti e non sembra possibile, allo stato attuale, definire con chiarezza eventuali specificità legate ai disturbi. Sono state comunque rilevate relazioni tra status socio-economico e disturbi internalizzanti (come ansia e depressione) ed esternalizzanti (legati ad esempio all’aggressività e/o ai comportamenti anti-sociali); 3)Lo scarso numero di studi longitudinali pubblicati rende molto difficile sia definire precise traiettorie causa-effetto sia, ancora di più, tracciare un quadro delle modalità con cui la relazione si sviluppa. Quello che sembra essere chiaro è che il rapporto tra status socio-economico e sviluppo del bambino è dinamico e cambia nel tempo e che la forza della correlazione rilevata tra i diversi studi varia con l’età, essendo più forte nella prima infanzia piuttosto che in adolescenza. Inoltre, un basso status socio-economico in infanzia è predittivo di problemi di salute anche in età adulta.
Nel tentativo di spiegare la relazione tra SES e salute mentale due spiegazioni sono state tradizionalmente addotte, fin dalla seconda metà del secolo scorso. Una prevede che lo stress persistente, legato alla bassa posizione sul piano socio-economico, possa determinare lo sviluppo di successivi disturbi. La seconda prevede la direzione opposta: vi sarebbe un effetto di selezione sociale per cui famiglie caratterizzate dalla presenza di disturbi mentali finirebbero per posizionarsi al livello più basso del continuum socio-economico. A queste due semplici (forse addirittura semplicistiche) spiegazioni sono seguite analisi più articolate. Alcuni autori hanno ad esempio ipotizzato che le difficoltà e la pressione economica possa aumentare il rischio di problemi emotivi nei genitori o generare conflittualità all’interno della famiglia, con il risultato di aumentare le difficoltà dei bambini e degli adolescenti sul piano dell’internalizzazione e dell’esternalizzazione dei disturbi. Alcuni autori hanno anche rilevato relazioni tra il perdurare di queste condizioni sociali e l’attività cerebrale nelle aree dell’amigdala come anche nell’espressione genica, proponendo spiegazioni basate sull’epigenetica della relazione tra povertà e depressione. In ogni caso, l’accesso limitato ai servizi sul territorio delle famiglie con basso SES peggiora spesso l’esito non interrompendo ma alimentando il circolo vizioso. Un ulteriore fattore di mediazione che la letteratura ha messo in evidenza è legato alla vergogna e allo stigma percepito in relazione al basso SES, capaci di aumentare il rischio dell’insorgenza di stati depressivi (cfr. Åslund C, Leppert J., Starrin B. e Nilsson K.W., Subjective social status and shaming experiences in relation to adolescent depression, 2009).
Se dunque dalla letteratura scientifica possiamo apprendere che il basso SES familiare è un importante fattore di rischio per la salute mentale in età evolutiva, dalla stessa fonte scopriamo che un incremento del SES si associa a una significativa riduzione di questo rischio e alla frequente remissione dei problemi. Questa rappresenta certamente una buona notizia ma spinge verso il piano delle responsabilità sociali e rimanda alle possibili azioni da intraprendere. Molti organismi internazionali, come la Commissione del Organizzazione Mondiale della Salute sulle Determinanti Sociali (Closing the gap in a generation: health equity through action on the social determinants of health. Final Report, 2008), sottolineano come gli investimenti sulle politiche rivolte all’infanzia abbiano un enorme potenziale per la riduzione delle disuguaglianze in salute nell’intero pianeta e nei singoli stati. Nel 2010 Marmot ha pubblicato il report di una commissione indipendente incaricata dal governo inglese che si poneva l’obiettivo di identificare le più efficaci strategie per ridurre le diseguaglianze in salute. Il report, dal titolo dal titolo “Fair Society Healthy Lives”concludeva evidenziando la necessità di perseguire i seguenti sei obiettivi (traduzione nostra):
Garantire a ogni bambino il miglior avvio alla propria esistenza.
Consentire a tutti i bambini, ragazzi e adulti di massimizzare le proprie capacità e avere controllo sulle loro vite.
Consentire a tutti una’occupazione adeguata e di buona qualità.
Assicurare a tutti uno condizioni di vita in buona salute.
Creare e sviluppare luoghi e comunità salubri e sostenibili.
Rafforzare il ruolo e l’impatto della prevenzione contro la cattiva salute.
Dal punto di vista psicologico, ai fini di questa discussione, particolare importanza assumono i primi due punti. Fornire le opportunità a un bambino di iniziare bene la propria esistenza e permettere ad ogni individuo, in tutte le fasi del ciclo di vita di avere possibilità di controllo sulla propria esistenza, non prefigurano semplicemente un’azione di ambito sociale, economico,ambientale. Sono obiettivi che hanno a che vedere con i sistemi di motivazioni degli individui, sugli atteggiamenti, sulle convinzioni di ciascuno di poter perseguire con successo i propri obiettivi.
Corrispondono ad azioni che richiedono di agire sulle abilità linguistiche, sociali, emotive che sono fortemente legate al gradiente socio-economico e che richiedono un sostegno proporzionale. Corrispondono alla necessità di facilitare sistematicamente l’acquisizione della resilienza necessaria per superare gli stress e le difficoltà che si associano a condizioni di svantaggio legate al SES.
Corrispondono alla necessità di impostare interventi in ambito scolastico che sappiano supportare i bambini le famiglie e la comunità nei processi di apprendimento (sul piano cognitivo, emotivo e sociale), nella consapevolezza che le diseguaglianze agiscono parallelamente sulla salute e sugli indicatori di adattamento scolastico, primo fra tutti l’abbandono. In questo senso la letteratura psicologica ha dato grande risalto agli interventi basati sulla promozione dell’efficacia personale, ovvero di quel complicato sistema di convinzioni circa la propria capacità di gestire specifiche difficoltà, situazioni o aspetti del proprio funzionamento psicologico o sociale, nonché di imparare dall’esperienza, che è alla base dell’adattamento in moltissime situazioni sociali. Studi condotti tanto nei contesti internazionali quanto in quello italiano (Alivernini F. e Lucidi F., Relationship between social context, self-efficacy, motivation, academic achievement, and intention to drop out of high school: A longitudinal study, 2011), mostrano la rilevanza di tale variabile nel mediare gli effetti del SES sull’adattamento scolastico e sull’abbandono. Pochi sono invece gli interventi sistematicamente condotti per facilitare e supportare bambini e ragazzi nell’acquisire questi sistemi di risorse.
Fonte: eticaeconomia.it
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