di Francesca Coin
Ad ascoltare le testimonianze condivise a Tunisi durante l'Assemblea Globale per l'Abolizione del Debito Illegittimo convocata dal CATDM – Committee for the Abolition of Illegittimate Debt dal 26 al 30 aprile 2016, vien da dire che ciò che più accomuna le forme di vita che abitano i cinque continenti nel terzo millennio sia proprio il debito. L'assemblea, convocata normalmente ogni tre anni, ha fatto convergere testimonianze dall'Africa (Togo, Benin, Cameron, Congo, Marocco, Tunisia, Senegal, Costa d'Avorio, Burkina Faso, Nigeria, Mali, Gabon); Sud America (Argentina, Venezuela, Colombia, Haiti); Asia (Giappone, Pakistan, India); Europa (Belgio, Francia, Italia, Spagna, Lussemburgo).
All'ordine del giorno erano, tra le altre cose, tre temi: la crisi del debito sovrano, l'uso estensivo del microcredito e le esperienze di audit sul debito. Degne di nota in particolare le esperienze dell'Asia, dell'Africa e del Sud America, quasi a ricordare che, quando si parla di debito, è utile seguire una logica distinta rispetto a quella cui siamo abituati. Si sente spesso dire in Europa che per guardare al futuro bisogna guardare agli Stati Uniti. Quando parliamo di debito, invece, per guardare al futuro bisogna guardare all'Africa.
Molti ricorderanno che negli anni '80 i paesi dell'Africa sono stati protagonisti di una violenta crisi del debito sovrano seguita, tra la fine degli anni '90 e il 2005, da numerose e intense campagne per la cancellazione del debito per i cosiddetti Heavily Indebted Poor Countries. Nel 2005 la Multilateral Debt Relief Initiative adottata nel Vertice di Gleneagles ha infine “cancellato” il debito di molti paesi africani, in quello che è stato definito un “un evento epocale” o un “momento storico”, come ha dichiarato Gordon Brown. L'iniziativa, conclusasi con la ristrutturazione del debito dei paesi più poveri, non ne ha in realtà intaccato le cause. Al contrario, ha consentito di mostrare come la “ristrutturazione” o anche la “cancellazione” del debito possa gettare le basi per una nuova crescita dell'indebitamento, laddove nuovi prestiti a basso tasso d'interesse siano ancora vincolati a condizioni che, da un lato, consentono di proteggere i mercati occidentali con una forma latente di protezionismo coatto e, dall'altra, negano l'utilizzo di risorse necessarie per investimenti nel campo della spesa pubblica, in particolare nell'agricoltura, nell'istruzione e nella sanità. Il risultato è che, in molti paesi dell'Africa, si possono rinvenire in erba i prodromi di una nuova crisi del debito sovrano, coadiuvata dalla recessione globale, dal calo dei prezzi delle materie prime e dall’aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti - per citare gli aspetti congiunturali più importanti - nonché, a livello strutturale, dall'austerità imposta come condizione per l'accesso ai prestiti, a indicare come nemmeno la cancellazione del debito nulla può di fronte al perdurare di politiche neo-liberali di fondamentale impoverimento.
Accanto a questo primo dato, le esperienze condivise si sono soffermate sulla crescente importanza della microfinanza. Il microcredito, cui sono state dedicate molte ore di analisi e discussione, potrebbe essere considerato esso stesso, a tutti gli effetti, come un epifenomeno delle condizioni imposte ai paesi indebitati: lo strumento a cui il corpo sociale si appella per sopperire alle elevate diseguaglianze imposte da politiche fondate essenzialmente sulla riduzione della spesa pubblica, la privatizzazione e la liberalizzazione. Definito essenzialmente uno strumento d'indipendenza economica per incentivare o supportare la piccola imprenditorialità, il microcredito è stato sperimentato inizialmente su volontà di Mohammad Yunus, banchiere del Bangladesh e Nobel per la Pace, che ha creato un sistema di piccoli prestiti allo scopo di dare “credito” ai più poveri sulla base della fiducia prima ancora che sulla solvibilità. In seguito alla crisi di Lehman Brothers, l'ambiguità costitutiva di questo sistema di credito individuale, in bilico tra la narrazione del dono e lo sfruttamento della povertà, ha creato un vero e proprio “sistema di cattura” capace di trasformare la povertà in un'occasione di rendita. Schematicamente, le esperienze dei delegati di Africa, Asia e Sud America in tema di microcredito evidenziavano quanto segue.
In India, Bangladesh e Pakistan il microcredito è più diffuso tra i piccoli agricoltori. Si tratta spesso di piccoli proprietari terrieri e non di semplici braccianti, cui si aggiunge un utilizzo del credito per fare fronte a spese mediche o spese di educazione, tutte quelle spese, appunto, indotte dalla privatizzazione (o dall'insussistenza) dello stato sociale. In India, non rari sono i casi di piccoli proprietari terrieri perseguitati dai funzionari bancari o di donne indebitate per cifre molto più alte di quelle che hanno preso a prestito – si parla di casi di impiccagione o di agricoltori che tentano il suicidio bevendo fertilizzante. I problemi più urgenti includono tassi di interesse che vanno dal 20% al 40% e la violenza con la quale gli istituti bancari o le Ong che forniscono prestiti, comportandosi a tutti gli effetti come banche, si adoperano per riscuotere le rate del debito non pagate attraverso il pignoramento coatto di beni personali anche di scarso valore come mobili, tappeti, telefoni, televisori.
Sempre stando alle testimonianze, la situazione non è dissimile in Colombia, dove il numero delle banche che erogano prestiti è quintuplicata negli ultimi anni, né ad Haiti, dove i tassi di interesse oscillano in media tra il 35% e il 60%. Nonostante la rappresentazione positiva data al microcredito in Occidente, il ritratto prevalente descrive un sistema di cattura celato da una narrazione mistificante per la quale il creditore è il benefattore del debitore - salvo poi metterne a valore la povertà. È quanto riportato da Congo, Nigeria e Mali. In Marocco i tassi d'interesse raggiungono il 40% e in altri casi il 60% - anche qui le Ong si comportano come banche e sono frequenti i casi di donne costrette a prostituirsi per pagare i propri debiti. In Costa D'avorio dal 2010 c'è stata una vera e propria espansione di “case di credito” in competizione tra loro per catturare nuovi clienti. In questo caso il problema dei creditori è stata la fuga dei debitori - “prendi i soldi e scappa” - una pratica rara, c'è da dire, a causa del timore di ricadute sulla famiglia, e prevenuta in Mali attraverso vere e proprie prigioni per i debitori, istituzioni totali nelle quali i debitori vengono reclusi, esattamente come avveniva in Europa nel Medioevo e, in alcuni casi, in tempi assai più recenti.
Fatima ha raccontato come il tema del microcredito in Marocco abbia aperto possibilità di lotta per le donne. Vale la pena ricordare che l'audit sul debito ha una storia tortuosa e intensa in questi paesi. Si tratta spesso di tentativi di audit abortiti a causa dell'intercessione diretta delle istituzioni finanziarie occidentali. Il caso più noto è quello del Rwanda, dove i dati sul debito sono stati tenuti sotto chiave dal governo francese fino ai tempi recenti al fine di nascondere la complicità del governo francese nel finanziamento del genocidio. In generale, spesso sono state le istituzioni finanziarie stesse a mobilitarsi per impedire che venisse portato avanti un audit, nel tentativo di occultare come l'indebitamento spesso nasconda un partenariato economico coatto nel quale i paesi africani sono trasformati in mercati di sbocco per le esportazioni occidentali (in primo luogo le esportazioni di armi) a scapito dei mercati locali. “I creditori rifuggono l'audit come i vampiri scappano dalla luce”, è stato detto: la creazione di dipendenza economica perde legittimità quando la sua violenza viene esposta alla luce del sole.
È forse per questo che lo strumento dell'audit in questi anni si è diffuso ampiamente. Dall'Ecuador all'Islanda, sino all'uso che se ne è fatto in Grecia, in Spagna, in Belgio, in questi ultimi mesi in Italia, passando per le richieste diaudit in Congo, in Zimbawe, in Rwanda e in Tunisia, per citarne solo alcune, l'audit è stato usato per disvelare la geografia del potere che si nasconde dietro lo strumento del debito – non tanto per il gusto di fare ricerca in sé, ma per usare i rapporti di forza da cui origina il debito come leva per contrastarlo. In questi mesi in Marocco e inBenin gli audit sul debito sono portati avanti dal basso, anzitutto da donne – specie in Marocco sono state loro a mappare la geografia delle istituzioni attive nella micro-finanza attraverso le testimonianze delle donne che ne sono state vittime. Incarnata nelle loro esperienze è ancora la Primavera araba – l'idea che tutto è possibile, quando si parla di debito, incluso rovesciare i rapporti di potere ad esso sottostanti e ripudiarlo.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 24 di Maggio-Giugno 2016 "Il Grande Esodo"
Fonte: Attac
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