di Thomas Mackinson
Una foto, un tessuto, due cerniere. La prima è il prodotto di una “pinzatrice” cinese che costa circa 150 euro e per questo va per la maggiore, nonostante il risultato. L’altra è occidentale, costa almeno il doppio, e per questo fatica a stare sul mercato delle pubbliche forniture, nonostante la resa e la tenuta siano visibilmente migliori. La fotografia del problema parte da qui. Perché quelle non sono cerniere dei jeans: sono punti metallici per la sutura dopo un intervento chirurgico. Quella foto, in altre parole, tocca la carne stessa degli italiani. Al pari di defibrillatori, valvole cardiache, pompe di insulina per i diabetici, stent e altro ancora.
Un grande discount della salute, senza più limiti. E’ il rischio che corre l’ultimo tentativo di razionalizzare la spesa pubblica. Dopo anni di tagli lineari e spending review la forbice passa oggi per 33 “centrali d’acquisto”, in sostituzione di 35mila stazioni appaltanti, che sono ormai il fulcro del processo decisionale di approvvigionamento di beni e servizi nella pubblica amministrazione. Dopo due anni di gestazione, la riforma è operativa da gennaio: per legge, le nuove centrali (21 regionali, una nazionale, 9 città metropolitane e due province) esperiscono gare in base a criteri individuati da Consip con gare unificate a livello nazionale. Le centrali d’acquisto regionali (Arca) li utilizzano poi come parametro per le loro procedure d’acquisto. Una meccanismo che – nelle intenzioni – punta a migliorare la trasparenza nel mercato delle forniture e ridurre i costi con economie di scala. Tentativo sacrosanto, ma che in un contesto di tutela della salute pubblica non è privo di pericoli. Non ultimo, quello di vanificare l’aspettativa di risparmio dichiarata di 10-12 miliardi di euro.
A segnalarlo per primi sono i produttori di dispositivi medici ad alta tecnologia, dove la qualità dei materiali, le soluzioni innovative e l’esperienza fanno la differenza. L’allarme parte dalla Lombardia, dove si concentra il 30% delle imprese del settore. Qui le gare sono a pieno regime e Assobiomedica, l’associazione di categoria, contesta il nuovo sistema di ricognizione sul mercato perché – sostiene – finisce per attribuire al prezzo un peso ponderale sproporzionato rispetto alla componente qualititativa. Lo sbilanciamento deriva dalla genericità dei capitolati che si limitano a indicare caratteristiche tecniche “di base”, senza dettagliare sub-criteri qualitativi e tecnici, così da consentire a chiunque di parteciparvi, grandi e piccoli che siano, perché tutti li raggiungono. La vera gara, a quel punto, si gioca solo ed esclusivamente sull’offerta economica più vantaggiosa. Il risultato è un profluvio di procedure d’acquisto dove a vincere sono proprio produttori, terzisti o rivenditori di marchi d’importazione che propongono materiali e dispositivi di prezzo e qualità inferiori. Che poi però finiscono in sala operatoria: dalla valvola cardiaca al defibrillatore.
Un rischio ben chiaro al Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, che a ilfattoquotidiano.it conferma: “E’ un nodo scoperto che dobbiamo assolutamente sciogliere. Finché risparmi sui bulloni e le biro può anche andare bene, ma qui si tocca la vita dei cittadini. Se il criterio del massimo ribasso viene trasferito tal quale alla sanità, si mette a rischio il loro diritto a ricevere cure idonee. E si sbaglia anche sul fronte della spesa: un impianto sbagliato va rifatto, e il paziente torna in ospedale con ulteriore aggravio nei conti”. Se gli va bene, aggiungiamo noi. In un’intervista al nostro giornale Ricciardi anticipa quanto dirà martedì 13 settembre nel corso incontro che si terrà a Roma, organizzato da OSI – Officina Sanità Italia, promosso dai big del medical device.
Ci saranno il direttore generale dell’assessorato della Regione Piemonte, il capo dell’ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria generale dello Stato e il consigliere giuridico di Maria Elena Boschi. Ascolteranno con le loro orecchie quello che l’ad di Medtronic Italia, Luciano Frattini, ha già espresso in una lettera trasmessa alle associazioni dei pazienti e alle società scientifiche lombarde: “Purtroppo – si legge – si moltiplicano gli esempi in cui capitolati di gara scelleratiportano all’aggiudicazione di prodotti scelti solo sul parametro economico, limitando pericolosamente o addirittura eliminando ogni parametro qualitativo, il tutto ispirato a un distorto senso di risparmio”.
Si discuterà di standard ma soprattutto di chi li fissa o li infrange, anche “secondo legge”. Il primo problema riguarda il “cosa”, cioè la pinzatrice che sutura la pancia degli italiani. Perché l’Italia, mentre imboccava l’autostrada del massimo ribasso, recepiva quasi fuori tempo massimo una direttiva europea (2014/24/UE) di segno esattamente contrario, che introduce modalità innovative nella interazione tra Pubblica amministrazione e fornitori, come il cosiddetto “dialogo competitivo”, che punta a tutelare l’innovazione nei sistemi, proprio al fine di trovare la soluzione più adeguata in termini di qualità e di prezzo e non solo di prezzo. La richiesta dei produttori è di andare avanti sulla strada degli standard, ma con un occhio fisso sulla qualità clinica. Già, ma come?
E siamo al “chi” della questione. Uno dei nodi più delicati sul tavolo è il contributo e il peso che assume il “clinico” nella predisposizione dei capitolati e nelle aggiudicazioni che accorpano in uniche gare fabbisogni terapeutici differenziati. E’ lo specialista a sapere cosa e quanto comprare per provvedere alle necessità di cura. Solo lui sa quando l’asticella del ribasso nella scelta di approvvigionamento va a scapito della salute dei pazienti. Il coinvolgimento dei clinici nelle nuove gare – uniche, ma per soddisfare fabbisogni terapeutitici differenziati – sarebbe, di fatto, minimo. Tanto che – denunciano le aziende – non mancano casi divalutazioni tecniche in palese contraddizione con le richieste del capitolato, di lotti deserti per via di un prezzo a base d’asta di gran lunga inferiore ai valori effettivi di mercato. Ricorrenti sono poi i casi di sottostima dei quantativi rispetto alle reali esigenze delle aziende ospedaliere che generano poi “vuoti” nelle singole strutture e nell’intera offerta terapeutica regionale.
Dare la parola ai clinici, dunque, ma quali? Il nodo è complesso e soprattutto delicato. Lo specialista deve avere la più ampia esperienza possibile, ma non può essere legato in alcun modo a un produttore. Un corridoio stretto, perché l’alto tasso di innovazione del settore è garantito proprio dalla stretta e continua interazione tra medico-azienda-paziente, tanto che molte delle migliorie e dei brevetti introdotti arrivano direttamente dai clinici che impiantano tutto il giorno materiali e dispositivi o fanno ricerca con le aziende. Allora, come garantire la competenza clinica e disinnescare il conflitto d’interessi?
Nel campo dei dispositivi medici non esiste un’agenzia (come l’Aifa per i farmaci) che funga da ente programmatore/regolatore e fornisca indicazioni e criteri precisi. Non esiste, d’altra parte, un albo professionalecompetente con profili clinici da cui attingere per le valutazioni di gara. Quando sono partite le centrali d’acquisto regionali (Arca) hanno dovuto fare una ricognizione tra gli specialisti e predisporre una lista di medici ospedalieri per formare dei team. Con quale logica, non è dato sapere: il caso, l’amicizia, la competenza? Così, di volta in volta, si è attinto liberamente ai professionisti, zizagando tra il rischio del conflitto e quello (anche peggiore) dell’inesperienza.
Il risultato, finora, è la messa all’angolo degli aspetti tecnico-qualitativi. E così, dicono i produttori ma l’Istituto Superiore di Sanità conferma, non si può continuare. Perché si arriva a toccare il diritto dei cittadini a cure idonee. La grana finisce sul tavolo di Raffaele Cantone perché è l’Anac che dovrà selezionare le professionalità competenti per le gare nazionali. L’orientamento, per ora, sembra quello di “pescare” tra gli ordini dei medici e dalle università. Soluzione che non trova molti consensi perché, ad oggi, non sono state delineate professionalità adeguate in grado di prestare la propria competenza clinica e specialistica per gare che coinvolgono tecnologie salvavita altamente innovative. “Quello è l’anticamera del ‘prendo chi mi è comodo’, dice un produttore.
Anche l’Istituto Superiore di Sanità, che ha sostenuto Consip nelle prime ricognizioni in sanità, sembra più orientato verso un modello di accreditamento affidato a un soggetto terzo che fissi in modo chiaro e oggettivo le clausole di incompatibilità. E guarda alle società scientifiche che potranno fornire una lista di tecnici tra cui scegliere, da vincolare a un accordo di privacy e di “no conflict”, per cui dovranno dichiarare – sotto la propria responsabilità – se sono sponsorizzati da aziende, se hanno partecipato a congressi, se stanno lavorando in attività di ricerca in quel momento e con chi, se sono nel board scientifico di qualche azienda. Problema: in Italia non c’è un riconoscimento giuridico della figura della società scientifica, proprio quella che (in teoria) dovrebbe saper esprimere al meglio un giudizio tecnico sui dispositivi. E l’Anac, per legge, non può avere rapporti con soggetti non riconosciuti giuridicamente. Un rebus anche normativo tutto da sciogliere. Ecco perché all’incontro del 13 settembre è invitato anche il legislativo del ministro per le Riforme, insieme agli assessori regionali alla sanità, l’anticorruzione, il ministero dell’Economia e l’Istituto superiore di Sanità. Il rischio “discount” sui dispositivi salvavita, a questo punto, chiama in causa tutti.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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