di Alessandro Gilioli
Uno degli aspetti più surreali di questo referendum - quello del 4 dicembre intendo - è che ci è del tutto ignota una parte consistente delle sue conseguenze concrete in caso di vittoria del sì o del no. E non sto parlando dei presunti effetti sull'economia: né quelli addotti da Confindustria ("il no farebbe crollare il Pil") né quelli di parte opposta ("la riforma Boschi è un favore ai potenti della finanza"). Sto parlando invece proprio degli effetti istituzionali e di governo. Cioè cosa cambierà di fatto nell'impianto di rappresentanza democratica e quali conseguenze ci saranno in termini politici.
I punti interrogativi (enormi) con cui ci mandano alle urne sono soprattutto tre.
1. Come sarà eletto il Senato.
Sembra incredibile, ma la riforma che stabilisce come sarà e quali poteri avrà il nuovo Senato non ci dice come questo sarà eletto. Cioè quali saranno i criteri con cui verranno scelti i senatori.
Il motivo è semplice: Renzi voleva che il nuovo Senato non fosse scelto direttamente dai cittadini, ma esprimesse le istituzioni locali, in particolare regionali. Lo ha detto più volte. Su questo però la minoranza dem ha fatto le barricate e siccome il voto di questa minoranza era indispensabile per approvare la riforma, alla fine è stato deciso di non decidere. Quindi ne è uscito un pastrocchio, l'articolo 57, secondo il quale i senatori saranno scelti dai consigli regionali al loro interno o tra i sindaci, aggiungendo però che le modalità con cui avverrà questa scelta saranno stabilite da una futura legge ordinaria; questa dovrà prevedere che la scelta avvenga «In conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi».
Quindi il 4 dicembre andiamo a votare sul Senato ma dando una delega in bianco ai partiti per fare una legge su come saranno scelti i senatori tra gli eletti enti locali. Senza cioè sapere se, per decidere quali consiglieri/sindaci potranno sedere a Palazzo Madama, i cittadini verranno consultati o no. La formula «in conformità alle scelte espresse dagli elettori» lascia aperta infatti molte possibilità, in un senso o nell'altro.
In sostanza, andiamo a votare sul nuovo Senato senza sapere se e in che misura potremo scegliere i senatori.
2. Parlamento fantasma
Il secondo punto è altrettanto surreale.
Perché il referendum in arrivo stabilisce diverse cose nuove su un pezzo del prossimo Parlamento lasciandoci però nel buio completo su come sarà l'altro pezzo. Decidiamo se cambiare o no il Senato mentre contemporaneamente cambia moltissimo anche la Camera, ma senza sapere come questa cambierà. Perché l'ultima volta l'abbiamo scelta con il Porcellum, poi questo è stato fatto fuori dalla Consulta, quindi è stato approvato l'Italicum, che ufficialmente è in vigore però è destinato a cambiare (Renzi dixit) ma - ripeto - non sappiamo come.
Che è un po' come se a cena l'oste ci chiedesse se vogliamo birra o vino rosso, ma poi deciderà lui se portarci la pizza o il brasato.
Fuor di metafora, cambiamo un pezzo di rappresentanza democratica senza sapere come sarà l'altro, che però non decideremo noi. Così ad esempio non possiamo sapere se il nuovo Senato aumenterà o no i poteri del premier, perché dipende da come sarà la Camera.
3. Che governo sarà
Il terzo punto è il meno importante (la Carta conta più della "politique politicienne"), ma rende ulteriormente l'idea della mosca cieca a cui ci stanno facendo giocare.
Che cosa sarà del governo e della maggioranza in caso di vittoria del sì o del no?
All'inizio Renzi aveva detto che in caso di vittoria del no si sarebbe dimesso, anzi avrebbe "fatto altro nella vita"; poi invece si è pentito di questa personalizzazione ma non ci ha chiarito le idee: se vince il no, che fa? Va a al Quirinale per rimettere il mandato o no? E se gli viene confermato da Mattarella, si dimette lo stesso in modo irrevocabile oppure va avanti? O magari fa un rimpastone e ciao? E se invece vince il sì, lui prosegue con questa legislatura o (come vogliono alcuni robusti rumors) ne approfitta per andare a elezioni anticipate e liberarsi di un po' di pesi? Qualcuno lo sa? E non sarebbe opportuno che un po' di trasparenza su tutto questo venisse fatta, non sarebbe il caso che i cittadini sapessero quali sono i piani in entrambi gli scenari? È chiedere troppo?
Ecco.
Einaudi diceva "conoscere per deliberare": lo cito spesso.
Sarò noioso, ma a me pare che i tre punti sopra ci portino molto lontano da quel semplice, essenziale e fondamentale principio di democrazia consapevole.
Fonte: L'Espresso - blog Piovono Rane
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