di Antonio Sciotto
«Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un’accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato e allora ci si accorgerà che esistiamo».
Jerry Masslo scriveva queste parole nel 1989, lo stesso anno in cui in effetti fu ucciso a colpi di pistola da una banda di criminali che aveva fatto irruzione nella sua baracca per rubare a lui e agli altri braccianti il provento di durissime giornate nei campi. Ieri queste stesse parole sono risuonate a Villa Literno, davanti alla sua tomba, lette da una ragazzina delle scuole medie. Con le segretarie di Cgil e Flai, Susanna Camusso e Ivana Galli, il sindaco della cittadina campana, la console del Sudafrica (paese di provenienza di Masslo), una piccola folla ha reso omaggio a lui e ai tanti immigrati che pagano le nostre pensioni, abbassano fino al paradosso i prezzi dei nostri pomodori, preparano anche per noi un’Italia diversa e multicolore.
LA GIORNATA ERA COMINCIATA alle 5, all’alba, con tre pullman del sindacato di strada diretti da Castel Volturno verso tre piazze del caporalato: Villa Literno, Mondragone e Pescopagano. A Mondragone l’inferno è reale oltre le rappresentazioni più fantasiose, e lì ti rendi conto che Gomorra è soltanto una serie tv: banchetti con le dosi di cocaina sfacciatamente esposti agli angoli dei palazzoni, vicino alla piazza principale. I balconi scrostati, la lunga serie di panni appesi alle finestre, e un esercito di braccianti bulgari – almeno mille nella zona, ma arrivano fino a duemila in alta stagione – che pur vivendo qui da qualche anno non parla una parola di italiano.
Tra i bidoni dell’immondizia dove rovistano i cani randagi e i furgoni dei caporali che fin dalle 5,30 sfrecciano tra le strade, rischi di sentirti un alieno perché la parola Stato qui è un nonsenso: ma d’altronde, tutti sappiamo benissimo che anche questa è l’Italia.
I sindacalisti della Flai avvicinano i braccianti – tante sono donne, con un fazzoletto in testa o una sorta di vestito tradizionale bulgaro – distribuiscono volantini scritti nella loro lingua, un berretto con il logo del sindacato e un k-way per ripararsi da vento e pioggia. Riusciamo a parlare con qualcuna di queste lavoratrici grazie alla mediazione di Valentina Vasylionova, del sindacato di Sofia, invitata dalla Cgil.
«SÌ, GRAZIE, SE AVREMO bisogno verremo al sindacato». Ma più che al volantino, le braccianti sembrano interessate al berretto, alla t-shirt e al k-way, che vanno a ruba: anche perché in campagna tutto quel che copre può essere prezioso. Raccontano di essere qui con i loro mariti, ma alcune sono venute da sole, e i loro bimbi sono rimasti in Bulgaria. Mandano i soldi, ci pensano i nonni a crescerli. Intanto a Mondragone c’è da saldare l’affitto di quei palazzoni, il cibo per tirare la giornata, e poi, certo, si devono pagare anche i caporali.
Che dai loro furgoncini sorridono, prendono anche loro il berrettino della Cgil, mostrano il volto buono: ma quando si richiudono i portelloni, e le donne ci salutano sorridenti come bambine, probabilmente il discorso cambia. Il sindacato diventa un nemico – «non ci andate da loro» – ci riferisce un altro lavoratore accennando qualche parola in italiano.
Grazie alla fiducia dischiusa da Valentina, visto che parla la loro lingua, finalmente però un piccolo spiraglio si è aperto: una quindicina di lavoratori e lavoratrici bulgare ha deciso che mercoledì prossimo andrà alla Flai, per una riunione con il segretario Igor Prata.
«CON I BULGARI – ci spiega Prata – la comunicazione è più complicata, sono una comunità piuttosto chiusa. Diverso è con i rumeni, gli ucraini, gli africani del Maghreb che pure lavorano qui. Siamo contenti che si sia creato questo filo: intanto basta aiutarli anche solo per i documenti, o per piccoli bisogni, più avanti magari si può pensare a delle vertenze».
Anche perché le campagne del casertano riproducono le condizioni di tante altre parti d’Italia: 25-30 euro al giorno per 12-14 ore di lavoro, 5 dei quali vanno al caporale, poche pause e ritmi bestiali, salute e sicurezza sotto i limiti della dignità. In questo caso non ci sono baracche, i bulgari vivono nei palazzoni di Mondragone, ma fino a 15 persone in appartamenti di 60-70 metri quadri con servizi quasi inesistenti.
Fonte: Il manifesto
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