di Giorgio Zampetti
Anche il 2015 si è chiuso confermando il trend di aumento delle temperature, e ha visto, come accaduto di frequente negli ultimi anni, l’alternanza di eventi estremi di precipitazione, sempre più localizzati nello spazio e nel tempo, e periodi di siccità che sempre più spesso hanno messo in crisi anche le regioni del nord del Paese. Nel febbraio 2016 il Crea (Consiglio di ricerca per l’agricoltura e l’economia agraria), stimava l’assenza di 18 milioni di metri cubi (il 7% in meno rispetto alla media) nei 31 invasi piemontesi e livelli di riempimento bassi in tutti i grandi laghi del nord oltre che portate minime per il Po, la cartina di tornasole dello stato di tutte le risorse idriche in area Padana.
Lo stesso anno, il 2015, ha visto anche frane alluvioni ripetersi lungo tutto il territorio nazionale, causando 18 vittime, 1 disperso e 25 feriti e 3.694 persone evacuate o senzatetto. Eventi che hanno coinvolto 19 regioni, 56 province, 115 Comuni e 133 località. Considerando il periodo 2010-2014 le vittime sono state 145 con 44.528 persone evacuate o senzatetto, con eventi che si sono verificati in tutte le Regioni italiane, nella quasi totalità delle province (97 quelle coinvolte) e in 625 Comuni italiani per un totale di 880 località colpite (dati Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr). Siccità e piogge, secondo una stima della Coldiretti, nel periodo 2003 e il 2012 hanno procurato danni alla produzione agricola, alle strutture e alle infrastrutture per 14 miliardi di euro.
Oggi le risorse idriche sono un tema centrale e sempre più collegato alle grandi emergenze che colpiscono il Paese, da quelle idrogeologiche ai problemi connessi con la carenza della risorsa. I cambiamenti climatici in atto e i loro effetti devono, quindi, essere messi urgentemente al centro nella fase di pianificazione e valutazione delle politiche e degli interventi per una corretta gestione delle risorse idriche e richiedono nuove forme di risposta alle emergenze e ai pericoli che incombono sui territori e sulle nostre città.
È evidente, e non soltanto da parte degli addetti ai lavori, che la prima cosa da fare è lasciarsi alle spalle l’approccio settoriale che fino ad oggi è stato prevalente e che ha messo al centro lo sfruttamento della risorsa per i diversi usi. Tutto questo ha portato alla sovrapposizione di diversi livelli di pianificazione e di molteplici competenze, spesso nemmeno in contatto tra loro, che hanno di fatto impedito di attuare una seria politica di tutela dell’acqua e degli ecosistemi acquatici, a discapito anche dei settori produttivi che da essa dipendono maggiormente, come l’agricoltura. A dettarci la linea e darci preziose indicazioni sul nuovo approccio da seguire non ci sono solo le costanti emergenze a cui assistiamo anno dopo anno, ma le disposizioni dettate dalle direttive europee a cui avremmo dovuto adempiere già da diversi anni e su cui siamo invece in fortissimo ritardo. La strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del ministero dell’Ambiente pone al centro dell’attenzione le risorse idriche e, in particolare, l’importanza di mettere in campo politiche di tutela dell’acqua attraverso nuovi strumenti. Ora è il Piano nazionale di adattamento a dover mettere in campo questi strumenti.
La sfida si può vincere solo lavorando tutti insieme e mettendo in campo piani innovativi che coinvolgano, fin dalla loro stesura, i diversi attori (pubblici e privati, istituzioni, associazioni, cittadini, tecnici ed esperti del settore) e perseguire l’obiettivo di ridurre i prelievi, e al tempo stesso i carchi inquinanti, e di mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sul territorio e sulla risorsa idrica. Per questo riteniamo urgente la definizione di misure innovative ed efficaci, armonizzando e coordinando i tanti livelli di pianificazione oggi esistenti per tutelare la risorsa idrica, ridurre il rischio idrogeologico e garantire l’accesso all’acqua anche alle generazioni future.
Fonte: Green Report
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