di Annalisa Camilli
“Sono italiano a tutti gli effetti, ma ogni mese pago venti euro per esistere, ho fatto un conto di quanto costa per me e mia madre rinnovare ogni anno il permesso di soggiorno”, Xavier Palma ha 23 anni, studia Scienze della mediazione interculturale a Como con ottimi risultati, abita in Italia da quando aveva 13 anni, ma lo stato lo tratta come fosse uno straniero. È arrivato a Como dal Salvador da bambino e non ricorda molto del suo paese di origine.
“Sono arrivato in Italia quando ero piccolo, i miei amici e la mia vita è qui, ma se dovesse succedere qualcosa a mia madre o se lei dovesse perdere il lavoro da colf che svolge da anni io che sono maggiorenne e sto ancora studiando, rischio di perdere il diritto di stare in quello che a tutti gli effetti è il mio paese”.
“Sono arrivato in Italia quando ero piccolo, i miei amici e la mia vita è qui, ma se dovesse succedere qualcosa a mia madre o se lei dovesse perdere il lavoro da colf che svolge da anni io che sono maggiorenne e sto ancora studiando, rischio di perdere il diritto di stare in quello che a tutti gli effetti è il mio paese”.
Xavier Palma vive con sua madre che lavora come collaboratrice domestica e spiega di dover pagare centinaia di euro all’anno per il rinnovo del permesso di soggiorno e di non aver diritto nemmeno alla carta di soggiorno perché è maggiorenne e ancora non lavora. “Non si pensa che i figli degli immigrati possano voler accedere a un livello di istruzione superiore come il liceo e l’università, anche in questo c’è una forma di discriminazione. Quando finisce la scuola dell’obbligo non li si aiuta in nessun modo”.
Xavier racconta che aveva vinto una borsa di studio per andare in Erasmus in Svezia ma non l’ha potuta accettare perché le autorità svedesi chiedevano un permesso di soggiorno di lungo periodo. “Per viaggiare in Europa che io considero il mio continente, ho bisogno di chiedere un visto. La libera circolazione delle persone che questo continente garantisce ai suoi cittadini, per me non vale”, aggiunge Xavier. “Ho gli stessi desideri che hanno tutti i ragazzi della mia generazione: studiare e trovare un lavoro vicino ai miei studi”, racconta Xavier, ma per il momento le difficoltà e le incertezze che deve affrontare sono superiori a quelle dei suoi compagni di origine italiana.
La storia di Palma è simile a quella di Youness Warhou, un ragazzo di 22 anni, un altro italiano senza cittadinanza. “Sono arrivato in Italia a 14 anni con i miei genitori che sono di origine marocchina, vivevamo a Napoli, poi ci siamo trasferiti a Reggio Emilia, dove ancora abitiamo e dove io ho continuato a studiare”. Youness Warhou, che studia ingegneria gestionale ed è attivo in un centro interculturale della sua città, racconta che una volta ha rischiato di diventare irregolare.
“Avevo dimenticato di pagare la tassa del permesso di soggiorno e ho rischiato che il mio permesso fosse revocato per sempre. È come se avessero moltiplicato per zero tutta la mia vita qui in Italia”, racconta Warhou. “Se mio padre che fa il camionista perdesse il lavoro, anche io perderei il diritto a stare in Italia”, aggiunge. “In generale quando il permesso scade ci vogliono due o tre mesi per rinnovarlo e in quel periodo di tempo io non posso muovermi, non posso viaggiare, non posso nemmeno andare dal medico di base, perché non posso chiedere la tessera sanitaria. Le nostre vite sono appese a un filo che si chiama permesso di soggiorno”, dice Warhou, “e per quanto io sia a tutti gli effetti un italiano, attivo nella mia comunità, non ho il diritto di votare come i miei coetanei”.
A un passo dalla riforma
Il 13 ottobre del 2015 la camera dei deputati ha approvato una legge per la riforma della cittadinanza che prevede l’introduzione del diritto ad acquisire la cittadinanza per nascita sul suolo italiano nel caso in cui almeno uno dei genitori di origine straniera abbia il permesso di soggiorno permanente (ius soli temperato) o al termine di un percorso scolastico (ius culturae) proprio con lo scopo di tutelare circa un milione di persone nate o cresciute in Italia, figli di cittadini stranieri, che al momento non hanno nessun diritto.
La legge è bloccata da un anno al senato, in attesa di essere messa in calendario e di essere votata. Per questo il 13 ottobre, in tutta Italia, gli italiani senza cittadinanza hanno deciso di scendere in piazza e di coprirsi il volto con un lenzuolo. “La politica ci tratta come fantasmi, non siamo tra le loro priorità, ma abbiamo deciso di farci vedere, di uscire allo scoperto e abbiamo chiesto a tutti, i nostri compagni di classe, gli italiani di origine italiana, di scendere in piazza con noi per chiedere che la legge sia finalmente messa al voto in senato”, spiega Kwanza Musi Dos Santos, una delle organizzatrici dell’iniziativa. “Ci chiamano seconde generazioni, ma noi non siamo secondi a nessuno, siamo italiani come gli altri, italiani senza cittadinanza e molte volte i nostri compagni di classe non sanno nemmeno che in Italia un milione di persone non ha la cittadinanza pur essendo a tutti gli effetti cittadini”, aggiunge.
Una riforma necessaria
“Questo paese è schizofrenico, chiede alle coppie in età fertile di fare più figli, ma poi non riconosce i figli che già ha, circa 800mila bambini che frequentano le scuole italiane e sono considerati stranieri”, racconta Kwanza Musi Dos Santos, che è nata in Germania da padre brasiliano e madre bolognese e che vive a Roma da sempre.
“Il fertility day ci ha fatto riflettere sull’immobilismo del parlamento sulla legge di riforma della cittadinanza e su internet abbiamo organizzato la protesta del 13 ottobre, un flash mob che si terrà in molte piazze italiane, da Roma a Reggio Emilia, per chiedere che il senato non ci ignori e che la legge sulla riforma della cittadinanza, già approvata dalla camera, sia presto approvata anche dal senato”, aggiunge.
L’iniziativa è stata organizzata su Facebook da migliaia di persone che si sono mobilitate per protestare contro l’immobilismo del parlamento. Alcuni rappresentanti della protesta sono stati ricevuti dalla commissione affari costituzionali del senato e dalla presidente Anna Finocchiaro, a cui hanno consegnato decine di cartoline che raccontano le storie degli italiani senza cittadinanza.
“La presidente ci ha detto che con il referendum costituzionale alla porte non è cauto portare in discussione la legge sulla cittadinanza, perché l’opposizione la potrebbe strumentalizzare. Ma a noi questa non sembra una buona ragione, non sappiamo come andranno le cose dopo il referendum e in Italia sono dieci anni che aspettiamo il momento giusto per riformare questa legge. Se per la politica non è una priorità per noi lo è”, afferma Kwanza Musi Dos Santos che a differenza dei suoi compagni ha la cittadinanza italiana proprio perché sua madre è di origine italiana. “Noi abbiamo detto: adesso o adesso”, Musi Dos Santos ribadisce con energia. “Non è giusto che molti di noi debbano andare in questura a chiedere il permesso di soggiorno, in questura si dovrebbero occupare di chi commette reati, non degli italiani di origine straniera”, conclude.
Fonte: Internazionale
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