La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 14 ottobre 2016

Cattivi e Primitivi. Il movimento No Tav tra discorso pubblico, controllo e pratiche di sottrazione

di Simone Tuzza 
In ”Cattivi e Primitivi” Alessandro Senaldi tratta la questione del movimento No Tav a confronto con il discorso pubblico intorno ad esso e le pratiche di controllo poste in essere. La ricerca propone un avanzamento nello studio dei movimenti di protesta di fronte ai dispositivi del controllo sociale. Questa etnografia parte da un postulato chiaro: si tratta di una ricerca partigiana. Il punto di partenza, però, non significa che l’opera di Senaldi sia meno degna di nota o povera di scientificità; al contrario, il fatto di essere dichiaratamente di parte è il suo punto di forza che spinge il ricercatore-attivista a dimostrare nel modo più rigoroso possibile la reale natura del movimento e la reazione istituzionale allo stesso.
Il libro, nella sua prima parte, concentra l’attenzione sulle dinamiche di costruzione del discorso pubblico sul fenomeno No Tav ponendo l’accento su come gli attivisti decostruiscano la narrazione di un movimento affetto da “nynmbismo” e come ribaltino concetti come quello di “progresso” a loro favore; sottraendosi alle pratiche discorsive che voglio incasellare le ragioni della protesta come conseguenza di un conservatorismo provinciale. Nella seconda parte del testo (“La guerra”) Senaldi si spinge oltre, andando ad analizzare come i dispositivi del controllo sfruttino il conflitto con i manifestanti al fine di fomentare l’idea nell’opinione pubblica di un “nemico” da neutralizzare attraverso ogni mezzo repressivo e giuridico-penale.
L’originalità dell’approccio dell’autore sta nel dare la parola a chi quelle pratiche le ha subite quotidianamente durante il periodo della protesta (ancora in corso), e lo fa in quella maniera autorevole di chi è ben cosciente delle dinamiche che descrive. La voce dei protagonisti del movimento No Tav, dei “valligiani”, esce prepotente dalle pagine del libro e dona una prospettiva inedita e utile a comprendere le ragioni della protesta per chi questi fenomeni li studia e per chi fosse più semplicemente interessato a un’ottica su questa tematica che si discosti dal discorso pubblico. Lo studio scardina gli stereotipi e lo stigma costruito sul manifestante black bloc, terrorista e “professionista della violenza”, e rende invece la complessità di un mondo eterogeneo, consapevole di se stesso e dei propri limiti di fronte all’opinione pubblica.
Altro merito di “Cattivi e Primitivi” è quello di inserirsi nel dibattito teorico sui dispositivi di controllo, argomento trattato mai abbastanza nell’ambito degli studi criminologici e che l’autore cerca di colmare. Interessante a questo proposito è l’analisi di Senaldi sui tentativi di criminalizzazione del movimento di cui i manifestanti sono oggetto non passivo; anzi, essi si dimostrano capaci di ribaltare la retorica del controllo e contrastare la volontà del discorso pubblico che insiste col separare il “manifestante buono” perché “autoctono” dall’”attivista cattivo” perché “venuto da fuori” e dunque alieno alle ragioni della protesta.
Punto nodale nel lavoro di Senaldi è quello della narrazione istituzionale che, quasi immediatamente dopo gli scontri del 2005 tra manifestanti e polizia, ridefinisce la protesta No Tav in chiave di mera questione di ordine pubblico. Tema più complesso di quanto possa apparire. Jean Paul Brodeur definisce la “high police” (Brodeur, 1983), ossia la “alta” polizia o polizia politica, come il paradigma di partenza di un sistema poliziale dove lo scopo principe sia quello di preservare la distribuzione dei poteri in una data società. In questo caso il potere politico cede alla polizia compiti come: la raccolta di informazioni ad ampio raggio; una sostanziale inconsistenza nella partizione di competenze tra governo e polizia che da a quest’ultima ampi poteri discrezionali; la protezione della cosiddetta “sicurezza nazionale” a discapito dei diritti di chiunque la metta in discussione; e il ricorso sistematico ad agenti infiltrati e informatori (Brodeur, 2010). Caratteristiche che sono ben chiare a Senaldi e ai manifestanti intervistati e che sembrano disegnate sugli accadimenti in Val di Susa descritti nel libro.
In ultima analisi, Alessandro Senaldi riesce lodevolmente nel duplice tentativo di “smascherare” la retorica dei dispositivi di controllo politici, giuridici e delle forze di polizia e di far scardinare questi meccanismi direttamente dalla voce degli attori che quella costruzione del “nemico” l’hanno vissuta in qualità di attivisti della causa No Tav.

Fonte: studi sulla questione criminale 

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