di Francesco Martone
La vicenda delle bombe italiane e dei crimini di guerra in Yemen solleva alcuni pesanti interrogativi. Il primo: inviare bombe all’Arabia Saudita equivale a fare la guerra per interposta persona contro il Daesh in Yemen? Che l’invio di armi a paesi in conflitto fosse considerato una «soluzione win-win» per la quale da una parte si partecipa alla guerra senza inviare «scarponi sul terreno» e dall’altra si privilegia la crescita del settore industriale degli armamenti, è chiaro.
Un articolo uscito nel luglio scorso sul New Inquirer e intitolato «Recoil operation» approfondisce la questione del commercio legale e illegale di armi leggere negli States . «La reticenza a livello nazionale a inviare “scarponi sul terreno” fa il pari con gli impegni a livello nazionale per la crescita del settore occupazionale legato all’industria delle armi, e rende ancor più appetibile l’opzione di armare alleati stranieri invece di andare noi di persona a combattere» si legge. Nel nostro caso invece di mandare aerei o soldati sul terreno, si mandano bombe, ma non è come se a combattere partecipasse anche il nostro paese? E chi partecipa potrebbe essere ritenuto corresponsabile di eventuali crimini di guerra commessi da chi viene sostenuto? Interessanti al riguardo alcune importanti notizie dagli Stati Uniti riportate nei giorni scorsi dalla Reuters e dalla Bbc.
Non che il tema dell’eventuale chiamata a correo dell’amministrazione Usa per il sostegno dato all’Arabia Saudita per complicità in crimini di guerra fosse una novità. Da tempo ormai le organizzazioni per i diritti umani statunitensi sollevano questo pesante interrogativo. Le ultime notizie però sono confortate da una serie di documenti ottenuti grazie al Freedom of Information Act (Foia) e raccontano un’altra storia, i cui dettagli meritano di essere approfonditi anche in riferimento al protratto invio di bombe italiane a Riad.
Va detto che, a differenza del nostro paese, gli Usa collaborano in tre modalità a sostegno dell’Arabia Saudita, ovvero attraverso operazioni di rifornimento in volo, acquisizione di bersagli con drone e fornitura di bombe. Per questo da tempo l’amministrazione di Washington si era impegnata a a fornire ai sauditi una lista di obiettivi «santuarizzati» al fine di evitare vittime civili.
A nulla è valso visto che, come specificato in uno dei documenti desecretati e ora accessibili al pubblico, i Sauditi non hanno esperienza e addestramento necessario per evitare vittime civili, e molti rappresentanti dell’Amministrazione americana erano assai scettici sulla loro capacità di bombardare gli Houthi senza uccidere civili o danneggiare infrastrutture critiche.
Quindi chi autorizza l’invio di bombe italiane ai Sauditi – al netto delle considerazioni circa il rispetto o meno della 185/90 che vieta l’invio di armi a paesi in guerra – sa o non sa?
Se sai puoi essere corresponsabile, se non sai hai commesso una grave omissione che potrebbe corrispondere a corresponsabilità?
I documenti citati dalla Reuters ci raccontano di una discussione interna per meglio comprendere le eventuali ricadute legali del sostegno di Washington a Riad. Anche se poi gli avvocati del governo conclusero di non avere elementi sufficienti per affermare che sostenere Riad equivalesse ai sensi del diritto internazionale, essere considerati come co-belligeranti. In realtà – e a Washington lo sanno molto bene – la definizione di co-belligerante, e con essa di eventuali corresponsabilità in crimini di guerra, oggi è assai ampia.
Non c’è bisogno di partecipare direttamente al crimine in questione, basta fornire assistenza pratica, incoraggiamento e appoggio morale. Questo determinò la Corte Penale Internazionale nel caso di crimini di guerra commessi dall’ex-presidente della Libera Charles Taylor.
Viene da pensare allora a casa nostra. Autorizzare e inviare bombe ai sauditi potrebbe equivalere a dare assistenza pratica? Incontrare nei giorni scorsi il ministro della difesa Saudita potrebbe essere una forma di incoraggiamento?
Quando l’Italia venne chiamata a ratificare il Trattato di Roma che istituì la Corte Penale Internazionale ci si limitò ad accogliere solo le parti che riguardavano la collaborazione con la Corte, ma non a integrare nel proprio codice penale le fattispecie di crimini contro l’umanità previste dal Trattato.
Potrebbero però bastare le norme già previste dal Loac, (Law Of Armed Conflict) le norme di diritto internazionale di guerra.
Lo sapeva bene – come ci dice una e-mail desecretata – il vicesegretario alla Difesa statunitense Anthony Blinken che nel gennaio 2016 convocò i suoi per capire meglio come evitare che gli Stati Uniti potessero essere perseguiti per il loro sostegno alla guerra saudita in Yemen.
Una bomba ad orologeria che rischia di scoppiare nelle mani dell’amministrazione americana e non solo.
Fonte: il manifesto
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