di Andrea Papi
Occorre uno sguardo sufficientemente spregiudicato per intuire gli scenari che si stanno prospettando, dacché i vecchi paradigmi interpretativi coi quali è stata educata la generazione post-bellica sono ormai incapaci di aiutare a comprendere il divenire delle cose. Nel mondo è in atto una metamorfosi completa delle geografie sociali, lavorative, economiche e politiche. Non per cambiamenti o riforme che, pur significativi, lasciano però intatti gli assetti strutturali. Stiamo assistendo, impotenti e forse attoniti, a trasformazioni profonde e irreversibili, che stanno modificando l'organicità dei sistemi costitutivi sui quali fino a poco tempo fa si sorreggeva l'equilibrio tra stati, relazioni sociali ed economie.
Inarrestabile, si sta delineando una specie di concomitanza tra due dimensioni esistenziali praticamente parallele. Pur avendo alcune convergenze altamente significative che collidono, sono però a/simmetriche perché soltanto una delle due incide sull'altra condizionandola pesantemente. L'egemonia politico-economica planetaria sta cambiando di qualità e segno. Rispetto a ciò che si sta profilando, per come si manifesta, non è affatto azzardato supporre che il vecchio concetto di dominio non risulti più del tutto appropriato per definire stato e forme dei poteri egemoni. Per un verso o per l'altro, il concetto di dominio si fonda, infatti, sulla dominazione di qualcuno o di qualcosa che comanda e s'impone. Alla fin fine, il dominatore (cosa, struttura o persona) è sempre identificabile e permette d'individuare il “nemico” contro cui combattere.
Ciò che si sta prospettando invece è piuttosto una specie di amalgama reticolare, non lineare e non strutturato in senso stretto, con la potenza d'impostare, dirigere e indirizzare a livello globale l'andamento, i percorsi, le situazioni e lo stato delle cose. Si sta determinando uno status persistente di fortissimo condizionamento su tutto e su tutti, che permette a una minoranza sempre più ristretta di accumulare ricchezze iperboliche attraverso la speculazione finanziaria. Un'élite che s'impone usufruendo di meccanismi che impediscono qualsiasi distribuzione della ricchezza un minimo più equa. Popoli e società sono assoggettati da un continuum di condizionamenti pesantissimi, impediti a poter scegliere e agire autonomamente, costretti a subire una tale imprescindibile situazione generalizzata. Volendo fare un parallelo metaforico, in fondo il terribile Leviatano di Hobbes al confronto rischia di essere un dilettante.
Come nel film “Metropolis”
Così si stanno determinando due dimensioni separate sempre più distanti, in tendenza estranee l'una all'altra. Da una parte il mondo delle élite, sommerso dagli agi e usufruente di infinite possibilità, che ha praticamente accesso a qualsiasi cosa indiscriminatamente e che può permettersi di non occuparsi di ciò che succede all'altra dimensione parallela su cui sovrasta incondizionatamente. Dall'altra una condizione diffusa sovra/determinata dalla prima, quindi pre/determinata, di cui fa parte la quasi totalità del genere umano, dove a una minoranza con possibilità di qualche benessere concesso si accompagna la stragrande maggioranza di poveri, indigenti, sottomessi, ricattati, schiavizzati in numero rilevante, in continuo stato precario e messi in condizione di non poter decidere del proprio destino.
Una condizione che incombe, da cui è praticamente impossibile prescindere, la quale ha ampiamente scavalcato come potere di condizionamento l'ormai superato e obsoleto potere politico degli stati, ridotti giocoforza a strutture meramente amministrative per conto di forze sovrastanti. È irresistibile evocare lo scenario proposto daMetropolis, film muto di Friz Lang del 1927, in cui si rappresenta una netta separazione tra il mondo dei ricchi industriali, che vivono tra agi e lusso in meravigliosi giardini, e il mondo sotterraneo dei “prolet”, che al contrario vivono nell'oscurità immersi nella tristezza di una vita solo stenti e fatica.
All'interno di questa bidimensionalità concomitante e antitetica gioca un ruolo fondamentale la progressione della sofisticazione tecnologica, informatica, robotica e cibernetica. La tecnologia computerizzata rappresenta, infatti, il fattore primario che ha permesso e permette l'avanzare degli scenari di cui stiamo parlando. I robot conquisteranno il mondo, titolava un servizio di Panorama del luglio 2012, spiegando che già allora [...] gli investimenti per l'automazione dei processi industriali schizzavano alle stelle [...] e facendo scaturire la domanda: Quanto manca alla scomparsa della manodopera umana? La massiccia introduzione, ormai imminente, di elementi computerizzati e robotizzati nei processi di produzione cambierà a breve la composizione e la qualità della manodopera, nei termini in cui la conosciamo, predisposta a dileguarsi tra non molto. Un articolo redazionale del marzo 2013 nel sito Automazione integrata è chiaro ed esplicito: Le crescenti pressioni sul fronte economico e della competitività spingono le imprese verso nuove e innovative strade per ridurre i costi e il crescente uso di robot nelle attività produttive e dei servizi potrà causare, in assenza di interventi di riequilibrio, un impatto devastante sul mondo del lavoro.
È importante sottolineare che nell'ambito della produzione la tendenza più sorprendente non riguarda esclusivamente la sorte della mitica “classe operaia”, perché è destinata a scomparire anche la categoria dei manager, che verrà sostituita da programmatori computerizzati. Ne avevo già accennato ne Il futuro è già qui (“A” 400 – estate 2015). La propensione globale è quella di automatizzare completamente i processi produttivi, sostituendo l'incertezza della manualità e della progettazione umane con una standardizzazione sicura. Una tendenza in atto che sta avanzando con grande progressione. Ormai non può più essere ignorata in alcun modo e per nessuna ragione, tanto meno ideologica.
Un altro sviluppo di cambiamento, già ampiamente in corso e in progressione accelerata, è la scomparsa progressiva dell'uso della moneta. Verrà sostituita, totalmente nel giro di circa due decenni secondo le proiezioni di esperti, da smartphone, microchip, sensori, ecc., ogni tipo di strumentazione elettro-computerizzata in grado di svolgere operazioni di scambio mercantile. Anche di questo me n'ero già brevemente occupato inOltre euro e antieuro (“A” 390, giugno 2014).
Una simile eventualità ci precipita verso prospettive nuove e completamente diverse. Se da una parte saranno semplificate, almeno teoricamente, tutte le operazioni di compravendita, dall'altra saremo proiettati in dimensioni futuribili in cui ogni operazione sarà vagliata e controllata. È facile intuire che solo le varie mafie, oltre chiunque si possa permettere percorsi altamente sofisticati, riusciranno a muoversi in modo spregiudicato con azioni e scelte fuori dal conformismo monetario legalizzato. Un aspetto rilevante per l'”uomo comune” sarà senz'altro un sistematico controllo di chi possiede bollettini e conti bancari, mentre getterà nelle braccia spietate delle varie branche malavitose tutti coloro che non hanno reddito, il cui numero è destinato ad aumentare.
Scenario a breve scadenza
Il giro di banconote cui siamo abituati sarà trasformato, sotto ogni aspetto, in un unicum virtuale. Sparirà la concretezza tangibile del denaro ed ogni operazione ammessa, dalla più infima alla più grande, si svolgerà solo attraverso operazioni elettroniche. Verranno eliminate le mediazioni umane dalle relazioni dirette di acquisto. Saremo completamente dipendenti da elettronica e computerizzazione e ci dovremo conformare. Da un punto di vista umanista sarà l'aspetto più terrificante.
Sorge spontaneo chiedersi: se tutta la dimensione monetaria si svolgerà a livelli meramente virtuali, perché nel concreto si continuano a massacrare intere popolazioni? In nome di una tale sfacciata “non concretezza”, si trovano inchiodate da “debiti” che viaggiano puramente nell'etere, assoggettate a un mondo che esiste soltanto nelle interazioni finanziarie che si svolgono nella rete, inesistente sul piano della concretezza quotidiana se non per i suoi rovinosi effetti.
Bisognerebbe cominciare a prender atto che un tale scenario a breve scadenza non può più essere affrontato semplicemente con rivolte rabbiose o con strategie che s'illudono di scalzare poteri che non hanno più “Palazzi d'Inverno” da prendere o abbattere. È impellente ripensare seriamente come sovvertire, ma sul serio, l'ordine che si sta prospettando.
Fonte: A Rivista
Originale: http://www.arivista.org/?nr=410&pag=19.htm
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