di Simone Pieranni
Proprio nelle settimane scorse la Thailandia aveva fatto un grande favore alla Cina: il giovane Joshua Wong, simbolo delle proteste che nel 2014 misero in grave imbarazzo Pechino a Hong Kong, è stato rimandato nell’ex colonia britannica appena messo piede all’aeroporto di Bangkok. La giunta militare thailandese ha specificato che la decisione dipendeva dalla volontà di non volere in alcun modo creare problemi ad altre nazioni, ovvero a Pechino.
Il gesto è stato subito visto come una importante mossa di Bangkok in direzione Cina, dato che la Thailandia è l’unico paese a non avere alcuna disputa territoriale con Pechino e pare non veda in modo troppo negativo un riavvicinamento al gigante asiatico, in chiara contrapposizione a una storica vicinanza agli Stati uniti (specie durante la guerra del Vietnam).
Il gesto è stato subito visto come una importante mossa di Bangkok in direzione Cina, dato che la Thailandia è l’unico paese a non avere alcuna disputa territoriale con Pechino e pare non veda in modo troppo negativo un riavvicinamento al gigante asiatico, in chiara contrapposizione a una storica vicinanza agli Stati uniti (specie durante la guerra del Vietnam).
Insieme al comportamento di Duterte, presidente delle Filippine, questa scelta di Bangkok è stata letta come un’azione rilevante nell’area, dove si stanno giocando partite importanti.
E Thailandia e Cina, come viene ricordato dopo la morte del re Bhumibol, hanno relazioni stabili da anni. Il re thailandese ha incontrato praticamente tutti i leader cinesi succedutisi negli ultimi anni. Il «link» tra i due paesi, in particolare, è rappresentato dalla figlia del re, la principessa Sirindhorn, che ha studiato a Pechino e parla in modo perfetto il mandarino. È lei ad aver annunciato tempo fa la sua traduzione del libretto rosso di Mao ed è lei che in un discorso all’Asia Society ha ricordato che la famiglia reale thailandese segue antiche tradizioni cinesi, come il ricordo degli antenati nel giorno del capodanno cinese.
Ma tra Cina e Thailandia pesano anche gli investimenti economici fatti da Pechino, come ad esempio quelli in relazione alla costruzione di una ferrovia che dovrebbe unire i due paesi ed esercitazioni militari congiunte.
Manovre che già nel 2015 avevano allarmato gli Stati uniti, poco convinti di questo avvicinamento della Thailandia alla Cina.
E proprio dagli States, o meglio da WikiLeaks, sono arrivate importanti novità sul rapporto che potrebbe esserci nell’immediato futuro tra Clinton e l’attuale leadership cinese, nel caso la candidata democratica superi Donald Trump nel confronto presidenziale. Hillary non ha mai fatto mistero di apprezzare poco l’ex presidente Hu Jintao. Già nel suo libro di memorie aveva specificato che la personalità di Hu era da considerarsi inferiore tanto a Jiang Zemin, quanto a Deng Xiaoping. Il rilascio da parte di WikiLeaks delle mail del responsabile della campagna elettorale di Hillary Clinton ha finito dunque per fornire un ottimo spunto di analisi. In questo caso Hillary si esprime sulla Cina nel corso di alcune conferenze. Xi Jinping viene lodato in quanto capace di puntellare il proprio potere nel giro di pochissimo tempo.
E secondo la candidata democratica Xi Jinping ha avuto un merito in più rispetto al suo predecessore: ha saputo conquistare fin da subito il vertice dell’esercito di liberazione. In questo modo, secondo Hillary, il Pla e il paese hanno una stessa guida, evitando così una dicotomia rischiosa per quanto riguarda gli interessi degli Stati uniti.
Analogamente l’attuale rivale di Trump alla carica di presidente degli Usa riconosce l’assertività cinese – e le sue ragioni – nel mar cinese meridionale. Se loro chiamano quel mare «cinese», spiega Clinton, noi possiamo chiamare il pacifico «mare americano». Una provocazione che nasconde in realtà una visione molto lucida delle problematiche dell’area. Clinton ribadisce che al riguardo gli Usa non possono permettersi una Cina capace di soffocare il commercio internazionale nell’area, pur intravedendone le motivazioni. Clinton dunque probabilmente potrà instaurare con Xi un rapporto più empatico rispetto a Obama, ma non muterà certo la strategia di «pivot americano» in Asia.
Fonte: Il manifesto
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