di Francesca Borrelli
Il Nobel per la letteratura a una star della musica pop è una ghiotta occasione per fare sfoggio di conformismo, nella certezza di ritrovarsi in buona e qualificata compagnia. È un’ottima opportunità per (fingere di) godere dell’azzardo (sai che cuccagna), e per allinearsi al sollievo di sentire premiata la convinzione per cui la letteratura non gode di una sua specificità, dunque è fruibile indistintamente da chi non ha di meglio per addormentarsi la notte e da chi ne fa un oggetto da laboratorio. Premiare Bob Dylan significa dichiarare che il campo della letteratura è ormai sterile, non dà frutti maturi, dunque è necessario pescare in altri lidi. Ovvio che ci sarà chi non avrà timore di dichiarare, ancora oggi, che tutto è letteratura.
Ecco dunque, dalla giuria del Nobel, ma soprattutto da chi si appresta a commentarlo, un confortevole modo per sdraiarsi sul mainstream secondo cui il romanzo è morto, locuzione sulla quale sono state allestite innumerevoli paginate di giornali, benché sistematicamente smentite dall’uscita di libri che dimostravano il contrario.
Il Nobel a Bob Dylan spazza via la possibilità che si torni a darlo all’America per chissà quanti anni: né Philip Roth, né Don DeLillo, né Cormac McCarthy faranno probabilmente in tempo a riceverlo, non perché la loro vita sia ancora troppo breve ma perché si è patentemente già esaurita la fiducia nel fatto che la letteratura funzioni, anche, da rifiuto della ratifica dell’esistente, da analisi critica del mondo in cui viviamo, e di cui Dylan è un geniale cantore.
Votarsi a un inventario il più possibile scrupoloso del reale, organizzare una antimetafisica della presenza capace di ricondurre le cose alle loro qualità primarie e irriducibili non è una eventualità da cogliere per la giuria del Nobel: siamo in tempi di trionfo del realismo, ottima cosa, ma il realismo magico è irrimediabilmente alle spalle. Non c’è più niente al di là. E il giubilo per questo Nobel, oltre a segnare un’altra gloriosa tappa del politically correct, certifica l’avvenuta eutanasia della critica.
Così come nel corso del tempo ogni modificazione tipografica ha segnato un nuovo orizzonte della ricezione, e confezioni editoriali apparentemente insignificanti si sono insinuate nell’inconscio dei lettori a orientare le loro scelte – di un libro piuttosto che di un altro –, anche questo Nobel, che sancisce l’irrilevanza della letteratura come forma di vita, genererà nuove strategie per la messa in valore del senso, quella cosa che discende dal linguaggio e che da Aristotele a Bob Dylan fa di un animale un uomo.
Fonte: Il manifesto
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