di Geraldina Colotti
In Venezuela, il braccio di ferro tra il Parlamento governato dalle destre e il governo di Nicolas Maduro sta producendo conseguenze inedite, sia sul piano politico che istituzionale. Per la prima volta nella storia del paese, a varare la finanziaria del 2017 non sarà l’Assemblea nazionale, ma il Tribunal Supremo de Justicia (Tsj). L’alta corte lo ha deciso martedì scorso, ribadendo che ogni atto del Parlamento unicamerale è da considerarsi privo di valore legale. Per l’opposizione (maggioritaria in Parlamento), si tratta di un atto incostituzionale che dev’essere sanzionato dall’Osa con la Carta democratica interamericana. Per il Tsj è invece il Parlamento unicamerale ad essere privo di legittimità.
Uno scontro tutto politico. L’Assemblea nazionale vuole disarticolare la «democrazia partecipativa e protagonista» per imporre il tradizionale sistema rappresentativo con cui applicare il «programma di transizione», tarato sul modello neoliberista già visto in Argentina e ora nel Brasile di Temer. Il Venezuela è però una repubblica presidenziale basata sull’equilibrio di 5 poteri di cui il Tsj è ago della bilancia. Ignorarlo, significa porsi fuori dall’ambito costituzionale. A settembre, l’alta corte ha così definito l’Assemblea nazionale in «stato di ribellione»: per aver integrato tre deputati eletti nello stato di Amazonas, sotto processo per accuse di brogli elettorali alle legislative del 6 dicembre scorso.
Il Tsj aveva sospeso in via cautelare i tre deputati indigeni, in attesa della sentenza dei tribunali. Il battagliero presidente dell’Assemblea – Henry Ramos Allup, del partito Accion Democratica (Ad) – aveva però deciso di integrarli nell’incarico e, il 1 agosto, l’alta corte aveva considerato il gesto «una evidente violazione dell’ordine pubblico costituzionale». In conseguenza, aveva dichiarato nulla ogni decisione presa con il voto dei tre deputati.
Maduro, che ha recentemente rinnovato il decreto che stabilisce lo Stato di eccezione e di Emergenza economica, dovrà perciò presentare la finanziaria per il 2017 all’approvazione del Tsj e non dell’Assemblea. Per tutta la settimana, il presidente ha discusso il bilancio in numerose assemblee popolari, che hanno coinvolto tutti i settori sociali del paese: dagli operai agli studenti, alle donne, ai pensionati. Un bilancio partecipato, esteso a tutto il Venezuela per sancire che, nonostante la drastica caduta del prezzo del petrolio e la guerra economica intentata dai poteri forti, non ci saranno tagli alla spesa sociale. Anzi. Oltre all’aumento di salari e pensioni, la spesa sociale più in controtendenza rispetto a quanto avviene in Europa è quella destinata alla cultura e all’istruzione pubblica. Non solo gli universitari venezuelani studiano in modo totalmente gratuito, hanno in dotazione computer e libri, ma anche borse di studio per recarsi all’estero, il cui montante è stato aumentato.
Ieri, il presidente ha illustrato il bilancio al Congreso de la Patria, un organismo composto da 100 rappresentanti del potere popolare su tutto il territorio. Il piano di governo, varato all’inizio dell’anno, ne aveva suddiviso il lavoro in cinque aree fondamentali: da quella economica a quella politica e della formazione; dall’organizzazione territoriale, alla costruzione di «un nuovo blocco storico che rafforzi la coscienza progressista dei popoli», a un nuovo modello economico-produttivo, e all’approfondimento delle distinte «vie di lotta», che accompagnino quella elettorale.
Un piano generale per uscire dall’angolo, che sta producendo frutti soprattutto per il buon funzionamento dei Clap, i Comité Locales de Abastecimiento y Distribucion con cui l’esecutivo porta gli alimenti direttamente nelle case dei meno abbienti, per aggirare il contrabbando. Un recente patto con le imprese private sancisce che debbano vendere almeno il 50% dei prodotti direttamente allo stato, che li destina ai Clap. I Comité sono anche una forma di auto-organizzazione, fornita da un’omonima rivista che dà conto dei successi del nuovo modello produttivo.
Ma l’opposizione pensa al referendum revocatorio contro il presidente. Tra il 26 e il 28 ottobre, si procederà alla raccolta del 20% delle firme. A rafforzare il campo delle destre è arrivata ieri anche la nomina del venezuelano Arturo Sosa a nuovo Generale dei Gesuiti (il papa nero), accolta con giubilo dall’opposizione.
Fonte: il manifesto
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