di G. Soriano
La presentazione della legge sul lavoro (loi travail) davanti al parlamento è prevista per il 9 marzo 2016. Ci sono state alcune manifestazioni sindacali e dentro la CGT in particolare c'è una rete di sindacalisti di base che premono per un'iniziativa della confederazione che non sia la ripetizione delle rituali “giornate d'azione”. Ma le gerarchie sindacali sembrano prendere la cosa con molta calma: negli ultimi anni hanno lasciato passare parecchie misure dalle pesanti conseguenze sulla vita e le condizioni di lavoro dei salariati e la riforma in preparazione non sembra fare eccezione.
La regola è che non si scende in piazza contro un “governo amico”, anche se fa le peggiori porcherie. Nei due anni precedenti, sono quindi passati senza particolari reazioni l'Accord National Interprofessionnel (ANI), il Pacte de solidarité, (che regala una cinquantina di miliardi al padronato), esenzioni fiscali di varia natura, maggiore facilità nei licenziamenti, una “semplificazione” del codice del lavoro che incoraggi il padronato…
La regola è che non si scende in piazza contro un “governo amico”, anche se fa le peggiori porcherie. Nei due anni precedenti, sono quindi passati senza particolari reazioni l'Accord National Interprofessionnel (ANI), il Pacte de solidarité, (che regala una cinquantina di miliardi al padronato), esenzioni fiscali di varia natura, maggiore facilità nei licenziamenti, una “semplificazione” del codice del lavoro che incoraggi il padronato…
Il contenuto della legge assomiglia molto al Jobs Act italiano. Il cuore del testo è rappresentato dalla “inversione delle norme”, che distrugge il principio “di favore” che reggeva fino ad allora tutta la legislazione del lavoro e la contrattazione: la legge rappresentava uno zoccolo comune per tutte le categorie ed i contratti prima di categoria, poi aziendali, potevano introdurre soltanto miglioramenti per i lavoratori. Il progetto rovescia questo principio e stabilisce il primato dei contratti aziendali, che i padroni possono far passare con l'accordo di sindacati non maggioritari (e se lo desiderano anche indicendo dei referendum tra i lavoratori), aprendo la strada ad una corsa al ribasso di cui è facile prevedere le conseguenze. Le ore straordinarie non sarebbero più pagate come ora, tra il 10% ed il 50% in più, ma soltanto un po' di più (senza riferimenti generali) di quelle normali. Il Medef (la Confindustria locale) e la CFDT sostengono il progetto fin dall'inizio. La CGT, Solidaires e Force Ouvrière sono contrari, come pure le organizzazioni universitarie (UNEF) e liceali (UNL, Fidl). Diverse le loro motivazioni, ma indicono le prime manifestazioni di piazza, pur senza troppo entusiasmo. Gruppi, associazioni e partiti alla sinistra del PS partecipano anche loro.
Il 18 febbraio Caroline De Haas, femminista ed ex militante socialista, lancia insieme ad alcuni sindacalisti una petizione contro la legge in discussione: nel giro di un paio di settimane, vengono raccolte più di un milione di firme, toccando un livello mai raggiunto in Francia.
Il successo della petizione
Il clima generale francese ha avuto modo di riscaldarsi preventivamente: il 13 novembre del 2015 Parigi è stata insanguinata da una serie di attacchi islamisti ed il governo si è affrettato a proclamare lo stato d'emergenza, rinforzando le misure di sicurezza nei luoghi pubblici e vietando le manifestazioni (quelle politiche ovviamente, dato che i mercatini di Natale si sono svolti senza problemi). Alcune manifestazioni, come quelle contro la COP 21, sono state vietate e rimpiazzate da semplici raduni statici, qualche altra ha sfidato il divieto.
Nella gestione dell'ordine pubblico e dello stato d'emergenza il governo vede un modo facile per recuperare la popolarità da tempo perduta e cerca di scavalcare la destra proponendo misure legislative prese nel suo arsenale ideologico.
Dopo una prima fase di scarso entusiasmo, il successo della petizione contro la legge contribuisce a riscaldare la piazza. Se i primi cortei vedono una partecipazione sindacale tutto sommato modesta, lo spezzone di testa, composto da liceali, universitari, sindacalisti di base, vecchi sessantottini, o semplicemente persone che non vogliono manifestare dietro uno striscione sindacale, diventa sempre più consistente ed attivo.
La manifestazione del 31 marzo permette un ulteriore salto di qualità. Un folto gruppo di manifestanti (in seguito ad una proposta lanciata la settimana precedente da un'assemblea di sindacalisti di base), decide di restare in place de la République, sfidando il cattivo tempo e lo stato d'eccezione: Nuit debout è nata.
In sciopero, gli uni dopo gli altri
Le manifestazioni si susseguono ed il loro ritmo si intensifica, anche se i sindacati che le hanno indette fanno relativamente poco sui posti di lavoro per assicurarne il successo. Gli scioperi restano rari durante il mese di aprile e la CGT delle ferrovie sceglie di privilegiare l'unità della categoria (che in maggio doveva entrare in lotta per il contratto) piuttosto che quella del movimento contro la loi travail. Ovviamente, quando i ferrovieri cominciano le trattative, la CFDT e l'UNSA si ritirano rapidamente dallo sciopero unitario dichiarandosi soddisfatte dei risultati ottenuti. La CGT e Sud-Solidaires continuano con un ritmo di due giorni di sciopero alla settimana, ma il momento buono è passato. Dalla metà di aprile e fino alla fine di maggio entrano in sciopero una dopo l'altra varie categorie di lavoratori: ospedalieri, portuali, chimici (raffinerie), elettrici (centrali nucleari), netturbini e lavoratori degli inceneritori… Quasi tutte sono vecchi bastioni tradizionali della CGT.
Se la maggior parte di queste categorie rientreranno al lavoro dopo un paio di settimane di sciopero, bisogna sottolineare che il governo riesce a disinnescare la partecipazione di categorie numerose – come tutta la funzione pubblica, che ottiene un aumento di salario, ed in particolare gli insegnanti che ottengono una consistente indennità mensile – o dalla forte capacità di nuocere, come gli autotrasportatori, che dopo solo due giorni di blocco, ottengono la promessa che i loro straordinari (che rappresentano a volte la metà della loro paga) non verranno toccati dallaloi travail.
Ma le manifestazioni da sole non bastano a spiegare la popolarità della lotta (circa il 75% dei francesi sono contro il progetto del governo nel corso dei 6 mesi esaminati): gli scioperi garantiscono uno zoccolo duro della mobilitazione ma non arrivano a superare i confini delle categorie dove la CGT è egemonica. È Nuit debout che garantisce una costante visibilità al movimento, polarizza la detestazione della destra che non smetterà di chiedere la sua evacuazione, costituisce una spina nel piede del governo che non può trattarla come un puro problema di ordine pubblico (non spaccano niente, discutono, animano la piazza), e sembra considerarla come parte della sua possibile base elettorale. Nuit deboutcostituisce una specie di tappeto che collega lo spazio vuoto tra una manifestazione e la seguente, tra uno sciopero che il governo finge di non vedere e quello della categoria vicina. Non si può fingere di non vederla, dato che è sotto gli occhi dell'intera città che resta il centro della Francia. Peggio: comincia ad espandersi nella banlieue e in parecchie città di provincia – con un successo limitato, bisogna dire – ma sfida tutti i pronostici che la davano per moribonda fin dalla fine di aprile.
I giovani di Nuit debout contribuiscono ad aumentare il numero delle persone che formano lo spezzone di testa dei cortei, alimentando la dinamica d'insieme del movimento: la lotta non sarà soltanto contro il progetto governativo, ma contro la loi travail ed il suo mondo. Se gli studenti liceali ed universitari utilizzano altre sedi per incontrarsi, i “gruppi d'azione” si ritrovano piuttosto alla vicina Bourse du Travail, i vari gruppetti dell'ultrasinistra o dell'area post-autonoma1 guardano con malcelato disprezzo le assemblee che si susseguono sulla piazza, preferendo per alcuni le manifestazioni non autorizzate che spuntano come funghi, e per altri la semplice condanna di una ideologia democraticistica che trovano rudimentale, subalterna ed insoddisfacente. Nella larga pletora di testi prodotti da queste aree, si mescolano facilmente la spocchia e il disinteresse per le dinamiche che permettono al movimento di esistere e tener duro. Si direbbe che non hanno occhi che per i suoi limiti.
La questione della violenza
Ovviamente di questi limiti bisogna tener conto: le commissioni “sciopero generale” e “convergenza delle lotte”, che continuano a riunirsi sulla piazza e mantengono i contatti con altri settori del movimento contro la loi travail, esprimono più una esigenza, una tensione (ed a volte un discorso un po' ideologico) che un superamento concreto degli scioperi categoriali: più di una volta tentano di mettere in pratica i discorsi sul blocco (delle imprese, dei flussi, delle merci), ma i risultati saranno assai modesti. Il radicamento della CGT nei settori in sciopero non viene scalfitto da gruppi più radicali o critici delle confederazioni ed i sindacati riescono a mantenere il controllo sui tempi, le modalità e le strutture della mobilitazione. L'unico momento in cui l'egemonia sindacale viene rimessa in discussione è nelle piazze, durante le manifestazioni, con gli spezzoni di testa che sfuggono al controllo sindacale (fino a scontarsi con il servizio d'ordine che collabora con la polizia). Ma se il peso politico di Nuit deboutè modesto, è tuttavia capace di fornire una ventata autonoma che manca nelle iniziative sul terreno dell'impresa, dove persiste il controllo dei sindacati. Non assicura l'autonomia del movimento nel suo insieme, ma sposta – poco ma significativamente – gli equilibri interni al movimento stesso.
Tra questi limiti possiamo inserire la propensione a dare maggiore importanza alla forma della discussione, alla ritualità assembleare, che ai contenuti sul tappeto. I processi decisionali sono lunghi e laboriosi. Le commissioni riproducono in buona parte la “specializzazione” tematica dei collettivi preesistenti (antispecismo, femminismo, educazione popolare...).
Nell'insieme Nuit debout esprime un'ideologia contraria alla violenza, ma allo stesso tempo rifiuta di negare la propria solidarietà a quelle componenti del movimento che spaccano le vetrine, che la violenza la usano ed a volte la teorizzano. Anche questo fattore ha una certa importanza nella dinamica unitaria del movimento e vanifica gli sforzi del governo per creare divisioni.
Se molti giovani sembrano avere un approccio democraticistico e non aprioristicamente anti-statale, a differenza dell'estrema sinistra classica ragionano in termini morali, di valori, e assai poco in termini di rapporti di forza, cosa che li porta a dare importanza alla creazione di una specie di contro-società, va detto che le dinamiche del movimento e la repressione si incaricheranno di ridurre le illusioni dei primi tempi e contribuiranno in maniera determinante alla formazione politica di una intera generazione militante.
Il governo usa infatti delle forme di repressione selettiva nei primi mesi, riservando le cariche ai cortei studenteschi. Vedendo che il movimento non molla, tra il 28 aprile ed il primo maggio si registra un aumento dell'uso della violenza da parte delle forze dell'ordine. Il messaggio politico è chiaro e viene indirizzato questa volta a tutti quelli – giovani e vecchi, organizzati o no – che compongono i cortei di testa, e successivamente a tutti i manifestanti: restate a casa, altrimenti rischiate legnate o addirittura la pelle. Ci sono infatti centinaia di feriti ed è quasi un miracolo che non ci sia scappato il morto.
Una vittoria di Pirro
Ma la repressione non ottiene l'effetto sperato. Se i sindacati non si fanno problemi per denunciare i casseurs nei loro comunicati stampa, l'insieme del movimento sa bene da che parte sta la responsabilità politica delle violenze. Lo stato d'emergenza viene votato per tre mesi il 20 novembre del 2015, prorogato il 19 febbraio 2016 ed il 20 maggio. Una versione più hard sarà prorogata per altri 6 mesi il 21 luglio 2016. Servirà a poco contro il terrorismo islamista, ma permetterà di impedire a centinaia di persone di manifestare, fornirà migliaia di perquisizioni e di fogli di via. L'uso di armi, dette “non letali”, diventerà moneta corrente e le ultime manifestazioni sindacali si svolgeranno sotto stretta sorveglianza poliziesca, al punto che per arrivare al luogo di concentramento bisognerà subire fino a tre perquisizioni. I fermi saranno migliaia, con centinaia di processi per direttissima. Il governo sembra ottenere un risultato, dato che non c'è più lo spezzone di testa. Ma centinaia di persone vanno a manifestare altrove, senza chiedere autorizzazioni, e viene assaltata la sede della CFDT. La manifestazione successiva ritroverà lo spezzone di testa.
Siamo ormai agli sgoccioli: le varie categorie in sciopero rientrano al lavoro una dopo l'altra, la manifestazione del 14 giugno é l'ultima di grande ampiezza. Il governo ed i media fingono di non vederla e si focalizzano sulla vetrata di un ospedale per bambini che ha subito danni. La legge viene approvata in parlamento, in vari passaggi davanti alla camera ed al senato, utilizzando la fiducia. Il 21 luglio viene promulgata ufficialmente.
Ma è probabilmente una vittoria di Pirro, dato che applicarla rischia di scatenare quella conflittualità d'impresa che i contratti di categoria avevano a suo tempo inquadrato. A breve termine, ha lasciato in tutti gli oppositori alla legge una detestazione del partito socialista che difficilmente potrà trasformarsi in consenso elettorale alle prossime elezioni presidenziali. Il partito socialista ha vinto contro la propria base elettorale, ma regna su un campo di rovine.
Fonte: A Rivista
Originale: http://www.arivista.org/?nr=410&pag=30.htm
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