di Gaetano Quagliariello
Il fronte governativo e il fronte del Sì (che poi sono la stessa cosa) devono averla presa proprio male, se da due giorni, tra un annuncio mirabolante e l'altro, hanno deciso di dedicarsi anima e corpo alla character assassination della variopinta platea presente mercoledì pomeriggio all'iniziativa per il No promossa dalla fondazione Italianieuropei di Massimo D'Alema e dalla fondazione Magna Carta da me presieduta. Personalmente, un'idea sulle ragioni di tanto nervosismo me la sono fatta. Il punto è che al di là dell'estetica e delle irrisioni, al di là delle schermaglie e delle rappresentazioni caricaturali, l'immagine di quella sala ha reso plasticamente, come il negativo di una fotografia, la solitudine di Matteo Renzi.
Quel solipsismo anomalo e inquietante che anche gli osservatori esterni - da ultimo Le Monde - non hanno potuto fare a meno di rilevare. Quella solitudine che non è solitudine dei numeri primi, ma solitudine di chi non ha saputo ascoltare per tempo, di chi ha preteso di utilizzare le regole di tutti per plebiscitare se stesso e "spazzare via" - sono parole sue - avversari e oppositori, e ora è chiamato a pagare lo scotto di tanta arroganza.
Quel solipsismo anomalo e inquietante che anche gli osservatori esterni - da ultimo Le Monde - non hanno potuto fare a meno di rilevare. Quella solitudine che non è solitudine dei numeri primi, ma solitudine di chi non ha saputo ascoltare per tempo, di chi ha preteso di utilizzare le regole di tutti per plebiscitare se stesso e "spazzare via" - sono parole sue - avversari e oppositori, e ora è chiamato a pagare lo scotto di tanta arroganza.
Alla Residenza di Ripetta, fra le tante persone venute a una iniziativa aperta a tutti, persone di ogni età (sì, c'erano tanti giovani, anche se non fanno notizia), di ogni orientamento politico (sì, la Costituzione non ha colore), di ogni tipo (sì, c'erano tanti e autorevoli costituzionalisti), c'era forse l'embrione di un soggetto politico, una sorta di contro-partito della nazione? C'era un "governo ombra" pronto a sostituire l'esecutivo attuale? C'era uno schieramento di alleati che condividono programmi e ideali? C'era un'adunata di vecchi amici che hanno attraversato sullo stesso vascello le correnti della politica italiana? C'era una compagine amalgamata da interessi convergenti? C'era una riedizione della "santa alleanza contro il nemico" che abbiamo visto all'opera per vent'anni con la sola variante del bersaglio? C'era una coalizione che aspira a presentarsi insieme alle elezioni?
Nulla di tutto questo. Alla Residenza di Ripetta c'erano avversari politici - a cominciare da Massimo D'Alema e dal sottoscritto - che intendono rimanere tali, che non si presenteranno mai insieme alle elezioni, che ambiscono a interpretare lo scontro politico come confronto tra visioni del mondo alternative in un contesto nel quale le regole del gioco si scrivono insieme e ci si possa dividere sulle idee e sui princìpi senza che questi ultimi vengano espulsi da un agone ridotto a mera lotta per la conquista del potere. Senza voler fare paragoni impropri tra contesti storici diversi, credo di poter affermare senza tema di smentita che ad animare il fronte del No sia un autentico spirito costituente. Quello che nel secondo dopoguerra indusse comunisti, socialisti, democristiani, repubblicani, liberali, azionisti, indipendentisti, a redigere insieme - con i banchi del governo vuoti e l'allora premier De Gasperi ad assistere pressoché silente dal suo scranno parlamentare - le norme fondamentali che avrebbero regolato la convivenza civile nei decenni a seguire.
Nessuno può sospettare che io sia un feticista della Costituzione del 1947, né che la consideri un totem intoccabile e non suscettibile di un aggiornamento che al contrario auspico. Ma quando si mette mano alla Carta fondamentale di una nazione, due presupposti sono irrinunciabili. Primo: che il cambiamento sia in meglio e non in peggio (l'esperienza della riforma del Titolo V del 2001 dovrebbe insegnarci qualcosa). Secondo: che si persegua la massima condivisione (la Costituzione è la fonte di legittimazione di un sistema politico, non può nascere sulla delegittimazione degli avversari né può essere radicalmente riformata spaccando il paese in due come una mela, soprattutto quando è il governo a imporsi come attore principale).
È evidente che nessuno dei due presupposti ricorre nel caso della riforma Renzi-Boschi-Verdini. Non è pregevole nei contenuti, non è condivisa nel metodo. Il testo è pieno di errori, non consegue gli scopi che si prefigge e complica quel che dovrebbe semplificare, al punto che viene il forte sospetto che tanto rumore sulla dimensione estetica del fronte del No sia funzionale a coprire ogni discorso sui contenuti che inevitabilmente metterebbe a nudo il re. Quanto alla condivisione, il problema non è che il premier l'abbia ricercata e per ragioni accidentali non l'abbia ottenuta. Le cose non sono andate così. Il problema è che Matteo Renzi ha pervicacemente perseguito l'obiettivo opposto. Poiché le regole gli servono per la perpetuazione del suo potere contingente, a ogni passaggio invece di allargare in campo ha lavorato per spaccare, per lacerare, per delegittimare. Ha avvelenato i pozzi dai quali il percorso riformatore avrebbe dovuto trarre nuova linfa. Si è spinto fino a imporre la fiducia sulla legge elettorale, facendola approvare in un'aula semi-vuota dalla quale erano assenti le opposizioni e addirittura una parte del principale partito di maggioranza (il partito di cui è segretario!). Ha definito tutto questo "un capolavoro parlamentare" e ha liquidato come "allucinazioni" i timidi inviti a fare ammenda di quella immonda pagina della vita istituzionale del nostro paese.
Il presidente del Consiglio ha dunque ben poco di cui stupirsi se è sufficiente che due fondazioni di opposto colore politico annuncino una iniziativa per il No perché a quella iniziativa accorrano in tanti. Tutti, al di fuori dell'area governativa che si regge su una classica operazione di trasformismo parlamentare che il famoso "combinato disposto" di riforma costituzionale e legge elettorale finirebbe con l'elevare a sistema.
Certo, so bene che in un contesto politico nel quale si vorrebbe ridurre tutto a effimera comunicazione, al posto di D'Alema e mio il presidente del Consiglio avrebbe piazzato dei buttafuori sull'uscio della Residenza di Ripetta selezionando gli ingressi in funzione dell'appeal mediatico della photo opportunity. So che Renzi sta ben attento a non farsi immortalare con Denis Verdini e gli altri "padri costituenti" che gli tengono in piedi il governo (legame umanamente e politicamente ben più forte di una occasionale battaglia trasversale per il No al referendum!) e gli hanno consentito di metter mano a oltre quaranta articoli della Costituzione. Addirittura, da quando è scoppiato lo scandalo di Banco Etruria evita cinicamente anche di comparire accanto al ministro che quella riforma l'ha firmata.
Ma il punto è proprio questo: lo spirito costituente è incompatibile con i buttafuori. Quando si mette mano così incisivamente alla Carta fondamentale, la norma è il coinvolgimento di schieramenti ampi e compositi, soprattutto sul fronte di chi quella riforma la propugna. L'anomalia è che Renzi sia rimasto solo con i pochi e silenti vassalli che addomestica elargendo posizioni di potere.
Lo spirito costituente impone di allargare il campo, e impone di valutare le proposte nel merito. Ho sentito autorevoli intellettuali della sinistra dire che la riforma Boschi è "una schifezza" ma che, nonostante questo, voteranno Sì al referendum. Io credo che parlare di "schifezza" sia eccessivo, credo più semplicemente che questa riforma sia piena di errori, raffazzonata, determini squilibri e inefficienze, in sostanza faccia fare un passo indietro al Paese. Per questo voterò No.
Sono inoltre convinto che l'auspicabile vittoria del No non rappresenti il tramonto del percorso riformatore ma, al contrario, l'alba di una riforma vera. Per questo, al nostro No abbiamo voluto accompagnare una prima iniziativa legislativa, sostenuta da un ampio fronte trasversale e realizzabile in pochi mesi nella finestra temporale che si aprirà per dare al paese una nuova legge elettorale. La proposta è semplice: ridurre il numero dei parlamentari, da 630 a 400 i deputati, da 315 a 200 i senatori, tagliando dunque 345 "poltrone", 130 in più di quanto non faccia la riforma Renzi-Boschi-Verdini (che si limita a sforbiciare i senatori) e intervenendo in maniera proporzionale anche sul ramo del parlamento davvero ipertrofico, che è la Camera dei deputati. Al contempo, per snellire il procedimento legislativo, prevedere una commissione paritetica di conciliazione che esamini le leggi e licenzi i testi definitivi in caso di lettura difforme da parte della Camera e del Senato. So bene che questa non è "La" grande riforma, ma è ciò che si può fare in quel che resta della legislatura prima delle nuove elezioni, per iniziare a rendere più snelle le nostre istituzioni e, soprattutto, dimostrare che dopo il No non c'è la palude né il diluvio ma si apre la prospettiva di una riforma seria e condivisa di cui questo sia solo il primo passo.
Il ministro Boschi, perorando la causa del Sì, ha affermato che siamo di fronte a un'occasione che non tornerà nella storia. Se è "La storia siamo noi" che ha in mente, credo che la celebre canzone di De Gregori avesse un significato un po' diverso dall'arrogante presunzione di questo governo. Una parafrasi più confacente all'attitudine del renzismo potrebbe essere "la storia c'est moi". Ma anche questo ci incaricheremo di smentirlo. Dopo la vittoria del No la storia va avanti, non come prima ma meglio di prima. Nessuno si senta offeso.
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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