di Vincenzo Comito
È in corso una tempesta finanziaria causata dai problemi di Deutsche Bank e, in misura un po’ minore, di Commerzbank. Sono le uniche due grandi banche tedesche rimaste dopo che la terza, Dresdner Bank, è stata comprata molti anni fa dalla concorrenza. Entrambe sembrano nuotare in cattive acque. In particolare i grandi hedge fund anglosassoni hanno venduto i titoli tedeschi in loro possesso e si sono messi a giocare al ribasso. Le difficoltà hanno coinvolto, ovviamente, anche i titoli delle banche italiane, già da tempo sotto il tiro della speculazione.
Per fare un confronto con un passato ben altrimenti glorioso, Le Monde ha ricordato di recente l’epoca dei Fugger. Nel Cinquecento, per circa 50 anni, alcuni grandi banchieri tedeschi dominarono la scena finanziaria mondiale e aiutarono persino Carlo V a conquistare il trono.
Ma, a un certo punto, arrivarono in forze i banchieri genovesi e i primi dovettero sgombrare il campo. «Noi lavoriamo con i soldi veri», dicevano i tedeschi, «i genovesi invece lavorano con la carta». E in effetti questi ultimi avevano inventato o perfezionato tutti i giochi finanziari possibili, gli acquisti a termine senza disporre di risorse, qualche tipo rudimentale di derivati e la speculazione feroce. I tedeschi furono costretti a sgombrare il campo e qualcuno a trasferirsi in America Latina.
Più recentemente, nella seconda metà del secolo XIX, la finanza tedesca ha accompagnato lo sviluppo industriale del paese portando avanti e perfezionando il modello della banca universale, copiato dai francesi. I banchieri sostenevano in tutti i modi le imprese entrando anche nel loro capitale. Arrivano anche in Italia, dove insegnano ai locali un’arte finanziaria che nel frattempo da noi si era un po’ persa. Contribuiscono a fondare la Banca Commerciale Italiana ma poi il fascismo li mandò via in nome dell’italianità.
La fantasia tedesca non ha limite e sempre nell’800 in Germania si mettono a punto i modelli delle casse di risparmio, delle banche popolari, di quelle cooperative. Nel secondo dopoguerra la finanza tedesca accompagna la rinascita dell’apparato industriale .
Da allora, la Deutsche Bank spinge sull’espansione finanziaria all’estero, in particolare negli Stati Uniti e accresce l’attività di banca di investimento. Diventa così una delle protagoniste della finanza mondiale, ma la cosa dura poco. Copiando gli americani si riempie di titoli spazzatura che, con lo scoppio della crisi, diventano una bomba a scoppio ritardato. Non solo, come le banche Usa scivola anch’essa pericolosamente negli scandali finanziari. Così è già stata condannata due volte negli Stati Uniti e ha anche diverse altre cause aperte in alcuni paesi.
Ma ora la preoccupazione principale è la nuova controversia con gli americani, che pretendono 14 miliardi di dollari. Intanto il bilancio per il 2015 ha registrato una perdita di 6,8 miliardi di euro e la banca dovrà accantonare parecchie altre risorse, oltre ai 5,4 miliardi già accantonati, per provare a far fronte agli impegni prevedibili. Per molti ormai la banca è un morto vivente.
Appare quindi, da questo punto di vista, persino grottesco che nei giorni scorsi, in un dibattito svoltosi al parlamento tedesco, i deputati locali abbiano assalito verbalmente Mario Draghi, accusandolo di avere contribuito alle difficoltà della banca per aver abbassato i tassi di interesse. Una polemica che nasconde in realtà altri problemi.
Si sussurra che sarebbero in fase avanzata i colloqui dei dirigenti dell’istituto con il governo tedesco per il suo salvataggio. Il problema è che l’esecutivo teutonico sino ad oggi è stato il più intransigente difensore delle nuove regole europee che proibiscono l’intervento dello stato nel salvataggio delle banche, se non come ultima istanza dopo aver esaurito tutte le altre possibilità. Ma il mondo va sempre allo stesso modo e, se sarà necessario, siamo convinti che Merkel riuscirà a intervenire facendo cambiare idea a Bruxelles. Non è un caso che nell’ultimo periodo si è verificata una vera e propria occupazione sistematica dei posti di potere a Bruxelles da parte di politici e funzionari tedeschi o di loro amici stretti di altri paesi.
Il quadro è quindi fosco. Ma sulle banche tedesche e italiane gravano anche diverse altre minacce, tra cui quella relativa al progetto di Basilea che richiederebbe agli istituti maggiori livelli di mezzi propri rispetto a quelli attuali, la situazione poi di bassi o negativi tassi di interesse, la nuova concorrenza da parte dei signori dell’elettronica e lo sviluppo delle nuove tecnologie numeriche che richiedono grandi risorse e rilevanti conoscenze specifiche.
Non tutti gli istituti riusciranno a cavarsela da soli, neanche quelli tedeschi, specialmente se finanziariamente esposti come Deutsche Bank.
Fonte: Il manifesto
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