di Francescomaria Tedesco
Gli occhi “guardano il mondo con lo sguardo diretto di chi mira diritto alla meta”, scrisse una giornalista a proposito dello sguardo di Lord Kitchener, il durissimo militare e segretario di Stato alla Guerra del governo britannico durante la Prima guerra mondiale. Kitchener era comparso su un manifesto disegnato dall’illustratore Alfred Leete mentre, coi suoi baffoni e il cappello militare da maresciallo di campo in testa, puntava un dito guantato verso l’osservatore e la didascalia recitava “Britons: Join Your Country’s Army!”.
La faccia di Kitchener veniva associata alla scritta collocata tra il braccio teso in avanti e il petto del generale, che diceva “wants you”: in sostanza, “Lord Kitchener ti vuole”.
La faccia di Kitchener veniva associata alla scritta collocata tra il braccio teso in avanti e il petto del generale, che diceva “wants you”: in sostanza, “Lord Kitchener ti vuole”.
Quell’appello visivo, che ebbe un potente effetto quando ancora in Gran Bretagna non era stata introdotta la leva obbligatoria, è il punto di arrivo di una storia dell’iconografia (anche politica) che risale a tempi antichissimi e che avrebbe avuto importanti sviluppi successivi: si pensi all’analogo manifesto disegnato da James Montgomery Flagg nel 1917 in cui la personificazione degli Stati Uniti (Uncle Sam) punta il dito verso l’osservatore guardandolo dritto negli occhi e sotto di lui una didascalia dice “ti voglio per l’esercito degli Stati Uniti”.
Entrambi i manifesti utilizzavano il confidenziale ‘tu’; in entrambi lo sguardo severo delle figure rappresentate guardava l’osservatore da qualsiasi angolazione lo si guardasse; in entrambi, infine, la mano si protendeva quasi fuori dall’illustrazione, verso chi osservava. Di questa iconografia politica si è occupato Carlo Ginzburg in un maestoso saggio contenuto nel suo Paura reverenza terrore(Adelphi, Milano 2015) intitolato La patria ha bisogno di te, e da cui traggo le presenti riflessioni. Questa figura che guarda chi guarda – Horatio Kitchener, Uncle Sam – ha un che di minaccioso, è come qualcosa che, assieme allo ‘scorcio’ (la mano che sembra bucare la bidimensionalità dell’immagine per avventarsi verso l’osservatore) incute timore, ha una potenza imperativa. Ed è il rovesciamento, secondo Ginzburg che legge Aby Warburg, di una ‘formula di pathos’ (Pathosformel), ovvero di un modello di gestualità antico che veniva recuperato e trasformato di senso.
Se si guarda, seguendo questo ragionamento, il Cristo benedicente di Antonello da Messina, si vedrà quella mano che sbuca dal quadro, mentre gli occhi di Cristo sono fissi sull’osservatore e lo seguono da qualsiasi parte egli guardi il dipinto. In fondo, Niccolò Cusano aveva ipotizzato che l’immagine di Dio dovesse essere rappresentata da un volto panottico, che vede tutto da qualsiasi orientamento lo si guardi. Come il dipinto della Minerva di cui parla Plinio, che era spectantem spectans: guarda chi la guarda.
Questo consumato modello di prossemica ha avuto molti usi nella rappresentazione delle personalità politiche o religiose, variando di volta in volta di significato, fino ad arrivare alla recente copertina della rivista Rolling Stone, sulla quale campeggia il presidente del Consiglio Matteo Renzi mentre con le mani crea uno scorcio che sembra fuoriuscire dalla foto per rivolgersi all’osservatore. Ma stavolta non c’è il dito e la scritta gioca con il titolo della serie tv di Sorrentino The Young Pope, recitando The Young Pop. Perché la posizione è benedicente e, a metà tra il serio e il faceto, è appunto ‘papale’. Sembra voler costituire una comunità, mentre lo sguardo è fisso su chi guarda.
È l’ulteriore rovesciamento di quella formula di pathos che aveva caratterizzato la Minerva, il Cristo, Lord Kitchener e i manifesti pubblicitari che usavano gli stessi stilemi, e quel ‘tu’ confidenziale, per costruire una relazione con l’osservatore e ottenere da lui qualcosa. Renzi gioca a fare il papa, a benedire e a chiamare a raccolta la propria comunità, quella che il 4 dicembre dovrà partecipare al referendum costituzionale e lo dovrà trasformare, nelle speranze del premier, in una dossologia che confermi la sua gloria. Egli ci guarda tutti ma le sue mani non sono rilevate come l’Alessandro Magno dipinto da Apelle e non sembrano contenere un fulmine da scoccare verso di noi: piuttosto, il Young Pop ha bisogno della nostra glorificazione, ce la chiede. L’immagine successiva, interna alla rivista, mostra invece un Renzi con quelle mani sul viso, a simboleggiare la reazione all’eventuale vittoria del No. Quale formula di pathos vedremo il 5 dicembre?
Fonte: Il Fatto Quotidiano - blog dell'Autore
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