di Alberto Burgio
Non vi è certo motivo di meravigliarsi del comportamento di Matteo Renzi in questa fase. Si tratta di forzature a cui siamo ormai avvezzi. Paradigmatico è stato il comizio napoletano. Per Bagnoli daremo tanti soldi, ha promesso al dunque. Ma nel quadro della sponsorizzazione della candidata Pd, con l’implicito che gli investimenti arriveranno solo se il suo partito sarà riuscito a conquistare il Comune. È il pasticcio dell’identità tra premier e segretario, che con un tipo così secerne tutti i suoi veleni. Ma Renzi fibrilla. Sente che la situazione pericola. Il che carica questa tornata elettorale di particolare significato. Perdesse – come è ben possibile – la terna cittadina che più conta (Milano, Roma, Napoli), non sarebbe – per lui – solo un disastro in sé (il rovescio delle mitiche europee del 2014). Una débâcle rischierebbe di avere un potente effetto-traino verso la sconfitta allo scontro di ottobre, al confronto referendario che Renzi ha voluto trasformare in un plebiscito sulla propria persona.
Alla luce di queste considerazioni, vale la pena di riflettere a freddo. Osservando due cose che sono sotto gli occhi di tutti, ma che proprio per questo, come accade, tendiamo a trascurare.
Alla luce di queste considerazioni, vale la pena di riflettere a freddo. Osservando due cose che sono sotto gli occhi di tutti, ma che proprio per questo, come accade, tendiamo a trascurare.
La prima. L’Italicum è notoriamente, anzi ostentatamente, programmaticamente, provocatoriamente, anticostituzionale. A dirlo non sono soltanto gli avversari; in certo qual modo, è lo stesso Renzi. La scelta di prevedere il controllo di legittimità dopo l’entrata in vigore di questa legge incredibile (mentre in futuro sarà preventivo) equivale ad ammettere pubblicamente di sapere con certezza che – quando la Corte costituzionale sarà investita del quesito – essa sarà abrogata, per le stesse motivazioni valse nel caso meno aberrante del Porcellum.
Se si riflette su questo dato di fatto, si ha già un preciso elemento di valutazione sulla qualità politica, oltre che etica e morale, del personaggio e della sua squadra. La politica come affare, come trucco, come furbizia. E come esercizio del potere senza considerazione per le regole.
Ma rilevante (e inquietante) è soprattutto la seconda considerazione. Chiediamoci, una buona volta, che cosa animi Renzi in questa smania di imporsi, in tanta volontà di potenza. È il momento giusto per domandarselo, perché può aiutare a meglio definire le ragioni del voto (o del non-voto) anche in queste elezioni amministrative.
Quanto il presidente del Consiglio viene facendo e dicendo in questi giorni si lascia leggere come un libro aperto. Sappiamo perfettamente che cosa significherebbe l’approvazione della sua «riforma» costituzionale in presenza dell’Italicum. D’altra parte Renzi ha voluto iper-drammatizzare il referendum e iper-personalizzarlo, facendone un autodafè. E questo, si badi, senza alcuna certezza sull’esito, per cui l’ipotesi che si tratti di una finta non convince. Il rischio è reale, l’azzardo molto serio. Allora che cosa se ne deve desumere?
L’unico denominatore comune agli elementi che abbiamo ricordato è che a Renzi non basta più governare come sta facendo. Non basta e forse non gli interessa nemmeno. In questa situazione, con le regole e i vincoli dati; in questo contesto istituzionale e con questi rapporti di forza, non si diverte abbastanza (se vogliamo buttarla sullo scherzo): non può fare quel che ha in mente (se intendiamo parlare seriamente).
La domanda che occorrerebbe porsi è allora proprio questa: che cosa può avere in mente? E in effetti: abbiamo davvero contezza di quanto ancora possa essere distrutto in questo pur mal ridotto paese sul piano dei diritti sociali, dei diritti del lavoro, dell’equità, delle politiche formative, delle leggi fiscali, delle prerogative delle organizzazioni sindacali, dei limiti allo strapotere delle imprese, dell’uso del territorio e dei beni comuni – per non parlare del terreno istituzionale, della politica estera, del pluralismo nell’informazione? Con buone ragioni lamentiamo quanto è già stato distrutto e dilapidato (trasformato in patrimoni privati) da un ceto politico incapace e corrotto. Ma spesso dimentichiamo che resta ancora moltissimo da difendere contro appetiti insaziabili.
Siamo abituati a sentirci dire che lanciamo allarmi eccessivi e non ci stupirebbe se lo si dicesse anche in questo caso. Ma preferiamo correre il rischio di esagerare che quello di sottovalutare, vista la condizione disperante in cui siamo ridotti a forza di sottovalutazioni.
E comunque non pensiamo di vedere pericoli inesistenti. Stiamo parlando della Costituzione, costata lacrime e sangue a chi aveva conosciuto la distruttività di una dittatura. E stiamo parlando di una persona che – in un momento critico per l’intera Unione europea – ha più volte mostrato di non avere né il senso del limite né l’intenzione di rispettare chi non sia intrinseco al suo sistema di potere.
Meditiamo su tutto questo finché siamo in tempo.
Fonte: il manifesto
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