di Paola Pietrandrea
Le ricorrenze si festeggiano
Il movimento della Nuit Debout si è insediato il 31 marzo in Place de la Républiquea Parigi, luogo simbolo del lutto collettivo seguito agli attentati terroristici del 2015. Secondo il calendario del movimento, che conta il tempo dalla sua fondazione, oggi siamo al 100 di marzo e con grande sorpresa di tutti, organizzatori compresi, la Nuit Debout non è ancora finita: si continua ogni sera a produrre dibattito e cultura. Visto che le ricorrenze si festeggiano, stasera si farà un bilancio partecipato e poi gran ballo e concerto. E la piazza rinnoverà ancora una volta la sua geometria.
Una nuova geometria per la sinistra
Quando si entra a Place de la République, effettivamente, la prima cosa che sorprende è la geometria del luogo. Ci si aspetterebbe di trovare i due poli del solito campo di tensione verticale tipico dei comizi: giù in basso una folla di facce assiepate che guardano tutte nella stessa direzione e in alto lui, il prescelto, l’eletto, che attira gli sguardi, dice e detta l’agenda. E invece non è cosi’. A Place de la Republique ci s’imbatte in una decina di cerchi intrecciati, disegnati per terra dalle persone sedute in circolo.
All’interno di ognuno di quei cerchi, la comunicazione è posata e ben regolata. La piazza non conosce la fretta e quindi si parla con calma, si parla a turno, e si parla tutti. Un tema per circolo: educazione popolare, clima e ecologia, discriminazione e handicap, droghe e libertà, economia politica, democrazia partecipata, Africa, stato d’urgenza, migrazione, LGBTQIPA+, legge sul lavoro, sciopero generale, TTIP o TAFTA che dir si voglia, azioni locali, scuola, ricerca, islamofobia, problemi della genitorialità, Palestina, risveglio delle coscienze, memoria comune.
Temi diversi, ma inscritti nell’orizzonte di un’utopia comune: la realizzazione di un’uguaglianza sociale e di diritti, precondizione imprescindibile per l’esercizio responsabile, e senza deleghe, di un’uguaglianza politica.
Dal 31 marzo a sera, Place de la République è stata proclamata dagli organizzatori luogo di “convergenza delle lotte”. O - per dirla con le parole usate da Gaël Brustier nel suo recente saggio, Nuit Debout que penser? - Place de la République è stata proclamata luogo di “confluenza di analisi, pensieri e personalità diverse”. Una confluenza che si fa carico di dare forma a una tradizione intellettuale di sinistra che, almeno in Francia, perdura nonostante il ripiegamento elettorale e ideale che scontano la sinistra di governo e la sinistra alternativa.
Cronaca di un movimento annunciato
Cos’è successo il 31 marzo? A conclusione di una giornata d’imponente sciopero generale contro la legge El Khomri sulla riforma del diritto del lavoro - legge che dà un colpo duro alla tradizione socialdemocratica francese, andando tutta nel senso di una limitazione delle garanzie statali nella negoziazione tra lavoratori e imprese - un gruppo di manifestanti ha deciso di occupare la Place de la République per farne un’agorà rinnovata del dibattito politico.
Al 31 marzo non si è arrivati per caso. L’indizione dello sciopero generale era stata decisa già il 23 febbraio, nel corso di un incontro che, al centro di una settimana calda di battaglie e manifestazioni su più fronti (ecologia, scuola, grandi opere, legge sul lavoro) aveva riunito un migliaio di sindacalisti, ecologisti e intellettuali in una serata di dibattito e di “convergenza delle lotte”, che si era svolta alla bourse du travail di Parigi.
A organizzare quella serata era stato François Ruffin, fondatore del giornale “arrabbiato quasi con tutti”, Fakir e regista del film Merci Patron, documentario di protesta sulla precarizzazione della classe operaia, che s’iscrive in una serie di opere cinematografiche a cavallo tra la denuncia sociale e il disegno utopistico che si stanno guadagnando una distribuzione e un successo insperato nelle sale francesi (fra gli altri, i film Demain, En quête de sens, Etre et devenir, Tout s’accèlere, Le potager de mon père, Opération Correa).
Il dibattito svoltosi alla bourse è riecheggiato rapidamente sulla rete, dove dal mese di febbraio già tuonava la protesta contro la riforma El Khomri. A capitanare il movimento sui social, Caroline de Haas, “imprenditrice femminista”, la cui petizione contro la riforma aveva raggiunto già agli inizi di marzo la quota di un milione di firme.
A preparare ancora prima questa convergenza c’erano state nel 2015, le manifestazioni di rivolta contro gli attacchi terroristici, le manifestazioni contro lo stato d’urgenza, le manifestazioni contro il provvedimento che prevedeva la decadenza di nazionalità per i terroristi, le manifestazioni contro le conseguenze nefaste della liberalizzazione ferroviaria, le manifestazioni contro la riforma imposta alla scuola media e ai suoi lavoratori. E a livello internazionale, la campagna di Bernie Sanders negli Stati Uniti, il successo di Jeremy Corbyn a Londra, l’affondo elettorale di Podemos in Spagna, la vittoria (e il conseguente annientamento) di Syriza in Grecia.
Ancora più sullo sfondo, aleggiano su Place de la République, con tutto il peso di quello che sono stati e di quello che non sono diventati, Occupy Wall Street e il 15-M degli Indignados, due movimenti di protesta contro il capitalismo finanziario e l’austerità che si sono magnificamente schiusi, dispiegati, distesi nel 2011, l’uno negli Stati Uniti, l’altro in Spagna, rifluendo dopo pochi mesi, più o meno, in un nulla di fatto.
Nonostante siano finiti in un nulla di fatto istituzionale i movimenti precedenti hanno contribuito a creare una cultura sotterranea, che permette di spiegare, fra l’altro, l’inatteso successo di Bernie Sanders nelle primarie americane. Questa cultura, in Francia, ha potuto risuonare nello spazio aperto ormai da anni dalle pubblicazioni di case editrici militanti, come La Fabrique o Les Prairies Ordinaires, dalle colonne dei blog ospitati da Le Monde diplomatique, come La Pompe a Phynance di Fréderic Lordon, altro animatore, ispiratore della Nuit Debout, dalla riflessione anti-liberista degli economisti attérés, dalle lotte creative dei collettiviGénération Precarie et Jeudi Noir.
Insomma, la convergenza di lotte plurali che occupa Place de La République, ad oggi da 69 giorni, ha preso forma in un humus culturale e civile che la Francia ha saputo (o è stata costretta a, se pensiamo alla reazione alla violenza degli attentati) preservare in questi anni di crisi. E di questo dovremmo forse tener conto, quando troppo frettolosamente confrontiamo la capacità di reazione dei cittadini francesi, con la poca reattività dei nostri connazionali, la cui coscienza civile è stata - non dimentichiamolo troppo facilmente - per vent’anni dileggiata e sfibrata dalla violenza morale del berlusconismo.
Comunicare con grazia la bellezza
ça va sans dire, la fortuna del movimento l’ha fatta la sperimentazione mediatica. Nuit Debout ha creato con disinvoltura dal nulla un imponente apparato di comunicazione: pagina Facebook, conto Twitter, diretta delle assemblee su Stream Debout, commento su Radio Debout, discussione su Tv Debout, approfondimenti suGazette Debout, una pagina web elegante aggiornata costantemente.
Si sperimenta e si innova moltissimo anche nella gestione della comunicazione interna. Qual è la forma di comunicazione più efficace in uno spazio aperto occupato da centinaia, talvolta migliaia di persone? come esprimere consenso, dissenso, l’esigenza di chiedere un tempo di riflessione nella discussione? A Nuit Debout si usa un codice preso a prestito dalla lingua dei segni: si applaude agitando le mani in aria, si esprime disaccordo incrociando le braccia, si chiede di avanzare una controproposta serrando i pugni. Un codice essenziale, condiviso, che prevede e regola con grazia il dissenso nella discussione, senza che questo s’imponga con le sbavature soggettive e isteriche delle urla che inquinano i dibattiti in tv.
L’altro collante che tiene insieme la piazza da 69 giorni è la forza evocatrice della bellezza: a Place de la République, oltre alle proiezioni e alle letture quotidiane, s’impongono spesso la musica dell’Orchestre Debout e l’arte visiva dei Musées Debout, creati da Guillaume Kientz, conservatore del Louvre convinto che “l’appropriazione della bellezza sia un fattore essenziale nella fabbrica del vivere insieme”.
Non solo giovani, non solo borghesi
Nuit Debout è un movimento composito e eterogeneo, e composita e eterogenea è la popolazione che frequenta Place de La République in questi giorni. Trenta sociologi hanno condotto un’inchiesta in piazza, ricevendo risposte da quasi tutti gli intervistati.
La piazza è occupata da generazioni diverse che s’incrociano e si danno il cambio a seconda dell’orario. A inizio serata, la popolazione non è affatto giovane, composta per più della metà da ultra-trentenni e per un 20% da ultra-cinquantenni.
La piazza, come tutte le piazze di sera è frequentata, triste a dirlo, per lo più da uomini.
I partecipanti arrivano da Parigi per il 47%, sono banlieusards per il 33% e vengono dalla provincia per il 10%. Questo non vuol dire che il movimento sia limitato alla regione parigina: la Nuit Debout di Place de la République non è che una delle tante Nuits Debout disseminate in tutta la provincia francese. Alcune di queste Nuits Debout, quelle di Tolosa o Rennes per esempio, hanno una loro forza d’iniziativa autonoma che spesso si riverbera su tutto il territorio nazionale: pensiamo all’iniziativa Jeudi on arrête tout lanciata dalla Nuit Debout di Tolosa, che si è concretizzata in una grande giornata di mobilitazione nazionale il 26 maggio scorso.
Certo, la Nuit Debout non potrà dirsi un movimento autenticamente popolare fintantoché ne resterà esclusa tutta la Francia rurale che rimane saldamente lepenista. Pero’, uno spazio a sinistra si sta disegnando.
Ed è uno spazio, nel quale cominciano a dialogare classi diverse. Benché il livello d’istruzione medio della piazza sia più elevato della media parigina (il 61% dei partecipanti ha un titolo di studio equivalente alla nostra laurea specialistica), la percentuale di operai che occupa la piazza è significativamente più alta (16% degli attivi) di quanto ci si aspetterebbe in un campione normale della popolazione parigina . Alto è anche il numero di disoccupati (20% dei partecipanti). In qualche modo si profila un avvicinamento tra le istanze della popolazione urbana precarizzata, colta e povera e quelle più tradizionali della classe operaia per lo più sindacalizzata.
Più della metà dei partecipanti ha alle spalle una storia di militanza nei partiti politici, nei sindacati o nell’associazionismo cittadino ancora capillare in Francia (consigli di quartiere, liste di rappresentanti dei genitori, aiuto ai rifugiati, ai sans papiers, caffè associativi, ecc.), dato che conferma quanto conti la preparazione civica dei cittadini nella nascita di movimenti come questo.
Quel che più è interessante è l’eterogeneità delle motivazioni: non esistono solo i militanti “innamorati di se stessi” e del movimento, ma un gran numero di persone, solidali, rispettose, curiose, disposte a un impegno parziale o limitato ad alcuni temi. Segno, questo di un coinvolgimento civile pluralista, che non è necessariamente ideologico e che potrebbe essere il prodromo di un modo diverso di stare insieme avendo un orizzonte comune, non condividendo necessariamente tutto, ma rispettandosi comunque.
Un orizzonte comune: porre l’uguaglianza sociale a fondamento dell’uguaglianza politica
Eterogeneità delle motivazioni, eterogeneità delle lotte e dei partecipanti, eppure, dicevamo prima, tutto s’inscrive in un orizzonte comune. Qual è la cifra di questo movimento? Quale la parola d’ordine? A Nuit Debout si teorizza, sperimenta e prepara un antico valore della sinistra: l’uguaglianza.
L’uguaglianza, dicono i militanti, deve essere prima sociale e poi politica.
L’uguaglianza sociale è un’uguaglianza di tempi, di possibilità di accesso allo spazio comune, un’uguaglianza di diritti e di responsabilità che deve permeare, e ancora non lo fa, il nostro quotidiano, la vita familiare, scolastica, cittadina, professionale e questo indipendentemente dal sesso, dal credo, dall’orientamento sessuale, l’abilità fisica, la posizione sociale, l’età, e - aggiungono gli “specisti” - indipendentemente dalla specie (umana o altro) di ognuno di noi. Questa uguaglianza si pratica a Place de La République, per esempio, rispettando alcune regole base di comunicazione orizzontale che fanno si’ che i tempi di parola siano ripartiti in maniera equa tra tutti, evitando il monopolio che il maschio borghese bianco di mezz’età si arroga di solito nei forum.
Un obiettivo comune: fare della democrazia un luogo d’esercizio dell’uguaglianza politica
L’uguaglianza debout è un’uguaglianza che riguarda anche e soprattutto il processo decisionale che si vuole trasparente, collettivo, non violento e ponderato. Le decisioni si prendono pubblicamente, per tappe, assicurandosi ad ogni tappa che ci sia consenso. L’assenza di fretta e l’osservazione delle regole della comunicazione non violenta permettono di comporre progressivamente gli inevitabili dissensi e accompagnano il processo di maturazione di una decisione condivisa.
Si tratta di una sperimentazione che riguarda sia le questioni organizzative, sia le prese di posizioni dell’assemblea. Decisioni tutto sommato locali.
La riflessione sul processo decisionale è pero’ più generale e parte da una constatazione di fondo, ben sintetizzata dal filosofo croato Srećko Horvat in un suo intervento all’assemblea generale di Nuit Debout: se le lotte si moltiplicano su tutti i fronti è perché la struttura che sarebbe teoricamente incaricata di governare non funziona più. La democrazia rappresentativa non funziona più.
La democrazia, come la conosciamo, è stata concepita più di due secoli fa da una società profondamente oligarchica, nella quale l’ineguaglianza dell’accesso all’istruzione e all’informazione era drammatica. Come argomenta in maniera convincente David Reybrouck nel suo saggio Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico, al giorno d’oggi, l’idea stessa che si debba, tramite il voto, delegare un’aristocrazia esigua a governare tutto un popolo non tiene più.
Insomma, la democrazia non è democratica per niente e forse è finalmente arrivato il momento di smettere di citare il monito di Churchill secondo il quale, « la democrazia è la peggior forma di governo, ad eccezione di tutte le altre ». Forse no, forse basta, forse qualcosa di meglio ce lo meritiamo. A Nuit Debout, la commissione costituente lavora esattamente su questo tema pensando, tentando di immaginare come si possano ripensare sul lungo termine radicalmente le istituzioni.
E poi? Verticalizzare l’orizzontalità?
Nuit Debout finirà. Le occupazioni non possono essere eterne. Ma come finirà? Un gruppo tenterà di “verticalizzare” l’orizzontalità del movimento e di proporsi come soggetto attivo a livello istituzionale, come ha fatto in Spagna, Podemos,tradendo per certi aspetti il movimento 15-M degli Indignados? Oppure, questa esperienza resterà un sedimento ulteriore nel progressivo crearsi di una nuova coscienza comune?
A sentire la piazza, si propende per lo più per la seconda ipotesi: che la riuscita sia un obbligo e che l’esperienza non abbia valore in sé, in fondo è una credenza tutta capitalistica, alla quale i militanti di Place de la République non vogliono necessariamente aderire. Verticalizzarsi, poi, per fare cosa? Per finire, comePodemos, a lottare strenuamente per ottenere il successo elettorale all’interno di un assetto istituzionale che si sarebbe voluto rivoluzionare? O per finire, comeSyriza, ad amministrare l’austerity? E davvero c’è bisogno di farsi « partito » per portare avanti la costruzione di un’utopia?
E’ vero pero’ che un movimento che non si assuma la responsabilità di farsi attore del cambiamento, portando una discussione alta nelle sedi istituzionali finisce per disperdere un patrimonio di competenze, conoscenze e pratiche tanto raro quanto necessario nel dibattito contemporaneo. Finisce, insomma, per rendersi corresponsabile di una distopia di troppo, di cui davvero non sentiamo il bisogno.
Chissà forse gli esiti andranno praticati entrambi.
E’ chiaro che non si vede per quale motivo una civiltà “uberizzata”, che sta finalmente smettendo di delegare competenze, iniziative, pensieri e servizi al Capitale, debba appaltare a un sistema di partiti il fermento del dibattito civile e culturale. Su questo nessuno ha dubbi.
E’ anche vero pero’, come ha ribadito in più occasioni Frédéric Lordon, filosofo, economista, pensatore della Nuit Debout, che l’azione di governo è necessaria in una società complessa e l’azione di governo richiede responsabilità e strutture, strutture da ripensare profondamente, ne siamo tutti ormai certi, strutture a cui accedere in maniera egalitaria, ma pur sempre strutture. Una prospettiva telescopica nella quale ci si pongano obiettivi immediati, come il ritiro della legge El Khomri, e obiettivi di più lungo termine, come un’assemblea costituente che ripensi la struttura stessa delle istituzioni che ormai vacillano, potrebbe permettere di superare il dilemma tra orizzontalità e verticalità della lotta.
La questione per ora resta aperta, ma c’è tempo per discuterne con calma: siamo al 100 marzo e la Nuit Debout non è ancora finita.
Fonte: MicroMega online
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