di Il Simplicissimus
Adesso che il commissario dell’Expò è stato eletto sindaco di una Milano atona e imbevibile, si può cominciare a demolire definitivamente la facciata di cartapesta dell’esposizione. Dopo le clientele e la corruzione selvaggia che hanno reso necessaria la la sceneggiata di Cantone a buoi usciti dalle stalle, adesso spunta la mafia come si poteva facilmente immaginare perché degrado etico e politico vanno di pari passo con la criminalità organizzata, sono nel migliore dei casi convergenze parallele. Ma non è questo il punto: il punto è che chi ha retto questo palese verminaio per due anni dal 2013 al 2015 adesso è sindaco.
Il punto è che l’Expo è stato un completo fallimento, un successo esclusivamente di carta da giornale e le cifre parlano chiaro: per le casse pubbliche la perdita ufficiale è di un miliardo e mezzo, più le spese nascoste, mentre la stima del valore aggiunto, ovvero il conto di tutto il giro di attività dell’Expo e attorno all’Expo (alberghi, viaggi, biglietti, ristoranti e quant’altro) arriva a malapena a un miliardo e 300 milioni.
Il punto è che l’Expo è stato un completo fallimento, un successo esclusivamente di carta da giornale e le cifre parlano chiaro: per le casse pubbliche la perdita ufficiale è di un miliardo e mezzo, più le spese nascoste, mentre la stima del valore aggiunto, ovvero il conto di tutto il giro di attività dell’Expo e attorno all’Expo (alberghi, viaggi, biglietti, ristoranti e quant’altro) arriva a malapena a un miliardo e 300 milioni.
Il punto è che il commissario straordinario dell’esposizione è diventato sindaco pur provenendo da un disastro che stato tale non solo dal punto di vista dei conti, ma anche da quello del ritorno di immagine che ha avuto una risonanza quasi zero e quella poca negativa: sì 21 milioni di biglietti ( anche ammesso che sia vero) di cui molti omaggio, di cui moltissimi a pochi euro per le scolaresche disperatamente inviate a far numero parecchie delle quali mandate due volte, di cui milioni gratuiti per i pensionati e molti altri fortemente scontati, persino dallo stesso Pd che si è trasformato in banditore dell’esposizione a maggior gloria del suo segretario. Sta di fatto che il 38 per cento dei visitatori proveniva dalla stessa Lombardia, il 46% dal resto dell’Italia e solo il 16 per cento da altri Paesi , quasi tutti da Francia e Gran Bretagna, in genere turisti comunque in vacanza da noi e che hanno fatto una puntata a Milano. Per quella che ambiva ad essere una esposizione universale è una catastrofe, una mutazione in fiera da paese. E tuttavia i milanesi vuoi perché hanno visto qualche soldino derivante alla fine dai fondi pubblici o perché sperano che Sala sia un sindaco con abbastanza pelo sullo stomaco da allestire altre mangiatoie per Comunione e Liberazione, amici di Renzi e compagnia cantante o infine perché si fanno facilmente raggirare dall’informazione di regime lo hanno votato, preferiscono illudersi piuttosto che affrontare le fatiche della disillusione. La quale ci dice alla fine che l’Expo è stato voluto, pensato, approntato non per rilanciare l’immagine dell’Italia, peraltro nell’unico campo, quello culinario, in cui non ne ha bisogno, ma con lo scopo principale di favorire e sviluppare affari opachi: purtroppo Milano non è zona sismica e dunque non dispone delle “risorse territoriali” di altre aree, tocca lavurà per crearle. E si vede che questo lavoro premia anche alle elezioni.
Eppure i dati che riporto sono conosciuti da oltre otto mesi e probabilmente sono pure edulcorati: l’immagine della città con i ricatti sui capannoni, la sciatteria dell’insieme, i ritardi biblici, la clientela selvaggia, il lavoro senza salario, il non senso di un Expò che doveva nutrire il pianeta e si è ridotto a una pretenziosa tavola calda, è stata sabotata non certo migliorata. E ora la mafia, anche se colui che doveva vigilare continua a giocare ai quattro Cantoni, minimizza pure l’apparizione delle coppole, finge di non conoscere le indagini dei suoi colleghi della ‘ndrangheta in Lombardia, è palesemente posseduto da un renzismo interiore che non lascia scampo all’onestà intellettuale. Qualcosa sembra frapporsi tra l’opinione pubblica e la realtà, fra l’etica e le scelte, fra gli interessi a lungo termine e l’obolo maledetto e subito.
Non solo da noi: per quanti anni Blair è stato portato sugli scudi nonostante il suo sconcertante ruolo di bugiardo a tutto campo e guerrafondaio senza scrupoli nella vicenda irakena? Il rapporto ufficiale Chilcot che riunisce oltre 100 mila documenti in relazione alla vicenda, comprese le lettere del premier inglese a Bush pubblicate ieri l'altro, mostrano un impietoso e terrificante ritratto del personaggio, aggiungono una pennellata di repulsione, ma i fatti erano ben conosciuti fin dal 2005. Eppure l’uomo viene tuttora lautamente pagato per tenere conferenze, dare lezioncine, arrampicarsi sugli specchi, è richiesto di interviste e moniti. Eppure nonostante fosse già conosciuto come l’autore della colossale bugia sulle armi di distruzione di massa nonché come traditore del labour è stato rieletto. Il collegamento non sta nel fatto che fu proprio Blair, a lanciare Renzi alla ribalta nazionale, sta nel fatto tutto contemporaneo che ad ogni azione non corrisponde una reazione. A un fallimento o a una bugia corrisponde un’elezione.
Fonte: Il Simplicissimus
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