di Carlo Clericetti
Nonostante l'età ormai non più verde Lamberto Dini si è assunto la parte del bambino della favola che grida "Il re è nudo", squarciano il velo dell'ipocrisia di tutti quelli che vedevano ma tacevano, per timore o per opportunismo. L'ex numero due della Banca d'Italia e capo del governo in uno dei momenti più difficili per la nostra economia, quello successivo alla crisi del '92, ha fatto una critica devastante della politica economica del governo, arrivando a dire ad un certo punto: "Renzi si comporta come un monarca che quando passa dà l'obolo ai suoi sudditi, 80 euro a quelli, 500 a quegli altri. Ma questa è politica economica? Vogliamo scherzare?".
L'occasione è stata la discussione del X Rapporto dell'associazione Economia reale, presieduta da Mario Baldassarri, economista ed ex vice ministro dell'Economia in perenne conflitto con Giulio Tremonti (qui la registrazione del convegno a cura di Radio radicale). Una discussione che ha coinvolto personaggi di grande livello (qui il programma e la possibilità di scaricare il rapporto) e in cui sono risuonate critiche pesanti per tutti i protagonisti della gestione dell'economia negli ultimi anni, il governo Renzi ma anche quelli che l'hanno preceduto, l'Europa e soprattutto la Germania. Si è salvato, come diremo, solo Mario Draghi, e neanche completamente.
"Gli Stati Uniti - ha esordito Dini - hanno affrontato la crisi immettendo subito nel sistema 5.000 miliardi di dollari, tra politica di bilancio e Federal Reserve. L'Europa non ha voluto farlo. Schäuble ha continuato a ripetere che non si fa crescita con il disavanzo, ma se si stimola la crescita poi il disavanzo scende rapidamente, come è avvenuto in America. La Germania, poi, assorbe risparmio dai paesi dell'Unione e non lo rimette in circolo: ma anche loro non crescono, dovrebbero espandere la domanda interna, a beneficio anche dei loro cittadini. L'ho detto a Schäuble, che mi ha risposto che prima noi dobbiamo fare le riforme strutturali: ma nel frattempo saremo morti".
Quanto a Renzi, quello che ha ottenuto con le richieste di flessibilità l'ha destinato ai consumi ("a misure populiste") invece che agli investimenti. "Anni fa gli investimenti pubblici erano a 35-40 miliardi, oggi mi pare che siano ridotti a 7". Eppure i soldi ci sarebbero, per esempio quei circa 40 miliardi l'anno che vanno sotto la voce "trasferimenti", e che sono "essenzialmente sussidi alle imprese". Con questa politica, si continua anno dopo anno con "gli obiettivi annunciati e mai realizzati. E' un film che ci viene proiettato ogni anno, con la complicità dei mezzi di informazione".
Il copione di questo film è proprio quello che ha spiegato Baldassarri nel Rapporto. Che la prende da lontano, dal Dpef del luglio 2006 (governo Prodi) e poi via via con quelli dei governi successivi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi. Perché il suo intento è di esaminare quali numeri erano scritti nei documenti di bilancio (18 in tutto) e confrontarli con i consuntivi, esercizio poco praticato ma che ha il pregio di esaminare grandezze vere, e non presunte come quelle "tendenziali" in base alle quali viene data l'informazione sulle varie manovre. Che dichiarano quasi sempre che sono state tagliate le spese e diminuiscono le tasse: ma sempre, appunto, rispetto all'andamento "tendenziale". Se però si guardano i numeri reali, quelli del consuntivo di fine anno confrontati con il consuntivo dell'anno precedente, si scopre che, in valore assoluto, la spesa scende solo nel 2010 di 6 miliardi; negli altri anni, anche se di poco, aumenta (tranne il 2015, invariata). I "tagli" (sul tendenziale) del 2013 (governo Monti e poi Letta), addirittura di 75 miliardi, diventano nel consuntivo un aumento di spesa di 18 miliardi rispetto all'anno prima. E questo nonostante che dal 2012, grazie a Draghi, la spesa per interessi sul debito cominci a scendere in modo rilevante, facendoci risparmiare decine di miliardi.
Idem per le entrate: le variazioni rispetto alle previsioni iniziali sono tutte col segno meno, ma a consuntivo c'è sempre un aumento in termini assoluti rispetto all'anno prima, anche negli anni del governo Renzi (2014 +5 e 2015 +7 miliardi). Quanto alla crescita del Pil, risulta regolarmente sovrastimata. Il problema più grosso resta comunque la qualità della spesa. Fosse stata per investimenti avrebbe potuto aumentare anche di più e sarebbe stata una buona cosa. Invece no, gli investimenti restano ai minimi storici. Negli Ultimi dieci anni, ha osservato Baldassarri, il debito pubblico è aumentato di circa 500 miliardi. Se consideriamo quei 40 miliardi l'anno di cui parlava Dini, per dieci fanno 400, ci siamo quasi.
A proposito di Draghi, il Rapporto stima anche che cosa sarebbe accaduto "se il QE non ci fosse stato". E ne vien fuori che sarebbe andata molto peggio, soprattutto per le economie dove il settore manifatturiero è importante: per l'Italia, dunque, ma più ancora per la Germania, che tanto si lamenta delle scelte della Bce. Gli effetti cumulati tra il 2011 e il 2016 avrebbero visto per l'Italia una minor crescita del 7,4%, ma per la Germania addirittura del 10,4, peggio di tutti. L'Italia avrebbe avuto 198 miliardi in più di debito pubblico, ma la Germania 272. I tedeschi, dunque, farebbero bene a ringraziare invece di protestare.
Certo, il QE non è bastato, come era ovvio che accadesse. Ci voleva anche la politica fiscale - come negli Usa - e qui, ha osservato Giorgio La Malfa, Draghi si è limitato ad inviti generici, mentre avrebbe dovuto fare nomi e cognomi di chi più di tutti avrebbe dovuto muoversi: Angela Merkel e Wolfgang Schäuble. La Malfa ha anche espresso un assoluto scetticismo sulla possibilità di riformare questa Europa. "Schäuble l'ha detto chiaramente: togliamoci dalla testa che l'uscita del Regno Unito possa essere l'occasione per varare una maggiore integrazione europea. Fin dagli anni '70 i tedeschi avevano avvertito che qualsiasi unione monetaria non avrebbe dovuto comportare trasferimenti (cioè aiuti ai paesi in difficoltà, n.d.r.). L'unica condizione a cui accetterebbero una cosa del genere sarebbe se tutti i bilanci fossero messi sotto il controllo di un'autorità indipendente - nemmeno la Commissione, che considerano troppo politicizzata - che avesse il potere di modificarli o addirittura riscriverli. Una condizione chiaramente inaccettabile".
La Malfa (ma anche altri partecipanti al convegno) ha poi stigmatizzato le catastrofiche ipotesi di Confindustria in caso di bocciatura del referendum istituzionale. "Che il referendum passi o meno - e io mi auguro che quella porcheria sia bocciata - dal punto di vista economico non cambia assolutamente nulla".
La terza parte del Rapporto è infine dedicata alle previsioni, ed è decisamente sconsolante. L'"effetto Brexit" sarà probabilmente modesto, ma quando la crescita si misura a decimali qualsiasi peggioramento è un guaio. "Si è parlato di "generazione perduta" - ha osservato Baldassarri - ma qui ad essere perduti sono gli attuali ventenni, trentenni e anche quarantenni". Secondo quelle stime, Pil e disoccupazione torneranno ai livelli pre-crisi nel 2028 o 2029. Quanto al rapporto debito/Pil, secondo il Def 2016 scenderebbe al 128% già nel 2018; per le previsioni di Baldassarri non andrà sotto il 130% prima del 2020. Insomma, ha concluso l'economista, " Se tutto va bene... sono rovinati".
Fonte: La Repubblica - blog Soldi e Potere
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