di General Intellect
Da qualche tempo l’Università italiana si trova al centro di una nuova attività repressiva. Ci sono i processi penali, certo. Ma anche una strana attività di sorveglianza esercitata da sindacati di polizia, quotidiani di destra e associazioni. Cosa si nasconde dietro questa attenzione per un mondo, quello dell’Università, sino a tempi recenti descritto come separato dalla società e rinchiuso in torri d’avorio? Chi è, perciò, che non gradisce la rinnovata presenza dei ricercatori nella società circostante? Vi sono forse narrazioni che si vogliono impedire e altre, al contrario, la cui diffusione si intende garantire?
E cosa sta accadendo alla magistratura? Cosa sta inducendo settori di quest’organo ad abbracciare posizioni regressive, e persino al limite del costituzionale, quando a essere giudicati sono i movimenti territoriali? Cosa la sta inducendo a ripescare vecchi dispositivi del Codice Rocco, dismessi per anni e ora improvvisamente riattualizzati?
E chi sta autorizzando la polizia a entrare nelle università, non solo in occasione di occupazioni e blocchi della didattica? L’esperienza dell’Università di Cosenza, allorché alcuni ricercatori vennero arrestati per motivi inconsistenti, costituisce forse un esperimento che le agenzie di controllo vorrebbero replicare?
C’è una coltre sospetta che circonda l’Università e la ricerca italiana. Quelle elencate di seguito sono solo alcune vicende, presumibilmente non esaustive della totalità degli avvenimenti che vedono le scienze sociali italiane come protagoniste.
Vale la pena aggiungere che spesso tali dispositivi si intersecano con il dilagare di una precarietà strutturale che non consente orizzonti né diritti ma impone comunque crescenti carichi responsabilità e dispositivi di controllo che rafforzano l’organizzazione feudale tipica del mondo accademico. Quasi che la repressione intervenga a rimpiazzare o a controllare gli accessi, quasi una sorta di “aiuto” alla selezione della specie (accademica). Evidentemente, non tutti i docenti coinvolti nei procedimenti di cui stiamo parlando sono “precari/e” in senso letterale e, perciò, ugualmente ricattabili; tuttavia non per questo risultano meno colpiti da processi di inclusione differenziale, basati sulla retorica meritocratica e valutativa, che spingono al silenzio, al conformismo, alla accettazione della “norma”.
Di certo occorre capire chi è che ha deciso che l’Università è un pericolo, anziché un organo dello Stato dotato della medesima legittimità e importanza di polizia e magistratura. Un organo, cioè, che ha il dovere di essere presente lì ove si compiono i conflitti sociali e di “dire la verità”, dinanzi agli altri poteri e alla cittadinanza, in merito agli abusi che si consumano e alle menzogne che si narrano.
1) Il G8 di Genova si era concluso l’anno precedente. La magistratura tuttavia continua l’opera di repressione dei movimenti “No Global”. A Cosenza un castello accusatorio successivamente rivelatosi del tutto infondato conduce all’arresto di una ventina di persone aderenti alla rete Sud ribelle, tra cui alcuni ricercatori dell’Università della Calabria (2002):http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2002/11/16/LAT01.html
2) Charlie Barnao e Pietro Saitta, ricercatori rispettivamente presso le Università di Catanzaro e di Messina, pubblicano un saggio sull’addestramento delle forze armate e i processi di trasmissione culturale dall’esercito alla polizia. Veterani delle forze armate e quotidiani di destra iniziano un prolungato attacco a base di articoli, blog dedicati al saggio e petizioni per il licenziamento dei due studiosi (2012-2013):
3) Francesco Caruso, ex leader della rete Sud ribelle, a circa quindici anni dai fatti di Genova ottiene un posto di professore a contratto presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro. Il Corriere della sera, un sindacato di polizia, partiti e formazioni di destra iniziano una dura campagna stampa contro il neo-docente e contro l’ateneo calabrese, che, comunque, non ritorna sui propri passi (2015):
4) A Milano, venerdì 16 gennaio 2015, viene completamente fermata l’attività dell’Università Statale pur di impedire un convegno della rete NoExpo. Blindata per “motivi di sicurezza”. Serrata, chiusa la sede di via del Perdono, dal venerdì fino al lunedì, per ostacolare la realizzazione di un’assemblea nazionale di confronto su Expo. Il rettore, Gianluca Vago, prende la decisione coordinandosi con l’allora Prefetto della città, Francesco Tronca:
5) Pressoché impossibile ricostruire il numero delle volte che hanno visto le forze dell’ordine entrare negli atenei italiani, in questi anni, per sgomberare spazi degli studenti, per impedire confronti e dibattiti, per reprimere duramente dissensi e contestazioni. Segnaliamo alcuni casi, a puro titolo d’esempio, a Napoli (2011), a Milano (2013; 2015), a Bologna (2016):
6) A Torino, nell’ambito delle iniziative giudiziarie contro il movimento No-Tav, si celebra un processo tra i cui imputati si rinvengono Roberta Chiroli e Franca Maltese, due antropologhe precedentemente denunciate per avere presenziato, nel corso di una ricerca etnografica dedicata agli avvenimenti della Val di Susa, a una manifestazione conclusasi con l’occupazione di un cantiere. Roberta Chiroli verrà condannata per “concorso morale”. Nella stessa settimana, in Puglia, il docente Enzo Vinicio Alliegro viene rinviato a giudizio per avere partecipato a una manifestazione del movimento contrario all’eradicazione degli ulivi (2016):
(Pdf pagina Il Manifesto Il Manifesto 22 giugno 2016; Pdf pagina de La nuova VeneziaLa Nuova Venezia)
7) Dal 2013, in accordo con la Prefettura e il Ministero degli Interni, ma per lungo tempo ugualmente in barba alle normative sull’accoglienza, l’Università degli Studi di Messina ospita migliaia di rifugiati in una tendopoli allestita presso uno stadio da baseball di sua proprietà. Le proteste del personale docente non sono mancate, così come l’impegno di ricerca volto a comprendere il funzionamento della macchina “umanitaria”. A partire dalla primavera di quest’anno, incominciano le visite in incognito della Digos di Messina. Agenti della Divisione vengono identificati nel corso del workshop Transitory Lives e in occasione della presentazione del libro Per uno stato che non tortura (2016):
Per quale motivo l’Università e le scienze sociali diventano improvvisamente un bersaglio della repressione? Chi autorizza la polizia a entrare nelle aule universitarie? Quali narrazioni si vogliono impedire? Ma, soprattutto, quante Roberta, Franca ed Enzo ci sono in Italia? Quanti processi sono stati intentati ai danni di persone colpevoli unicamente di essere presenti in strada per reclamare diritti? Verso quale modello di società e cittadinanza ci stiamo avviando?
Fonte: Effimera.org
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